La fine del periodo d’oro del basket legato al territorio della ex-Yugoslavia, quello che vide il three peat europeo della Jugoplastika, la finale olimpica della Croazia contro i marziani del Dream Team ed una miriade di campioni che oggi sarebbero titolari fissi in molte squadre NBA, viene di solito fatta ricadere su quel maledetto 7 giugno 1993, giorno in cui un incidente stradale si portò via prematuramente uno dei più grandi giocatori di pallacanestro che abbia mai graziato la nostra Terra, l’indimenticato Drazen Petrovic. Da quel momento qualcosa è cambiato nel basket balcanico, nessuna squadra del territorio è tornata sul tetto d’europa e anche a livello di nazionale maggiore si è assistito ad un progressivo calo, non degno di squadre passate alla storia del gioco. Alcuni dei migliori giocatori hanno fatto il salto in NBA, ma era una lega differente che dava meno spazio agli europei (Danilovic ed il primo Petrovic ai Blazers) o che li relegava al ruolo di (ottimi) comprimari, tarpando però le ali al loro incredibile talento e in questo caso non possiamo che pensare a Toni Kukoc. Drazen aprì la via e la sua scomparsa in un certo senso chiuse un’era e ora, in un’ NBA sempre più globalizzata, tra i tanti nomi francesi, turchi, italiani, africani, brasiliani, tedeschi e spagnoli mancano giocatori di alto livello (l’unico che viene in mente è Dragic) provenienti da quell’area che tanto aveva fatto sognare dagli anni 70 fino a quel maledetto 7 giugno, o poco oltre. Dopo oltre 20 anni però, proprio un ragazzo croato che ha appena guidato alla conquista di un insperato titolo il suo Cibona, il cui più grande giocatore di sempre sarà da qui all’eternità proprio il croato Drazen, sembra poter riportare alta la bandiera di una nazione che non c’è più, ma il cui spirito cestistico riecheggia ancora in molti cuori. Ala grande con istinti da playmaker, Dario Saric ben si inserisce nella tradizione di precoci super-uomini (per mix di doti tecniche, mani e lunghezza) costruiti per il basket direttamente da Madre Natura in cui lo hanno preceduto fenomeni come Cosic, Divac e, il più simile a Saric, Toni Kukoc.
Ovviamente mettere sulle spalle di un ragazzo così giovane una storia così importante è ingeneroso e sicuramente la strada per anche solo avvicinare certi nomi è ancora lunghissima, ma Saric è uno dei prospetti europei più interessanti degli ultimi anni e verrà verosimilmente scelto tra le prime 15 chiamate con buona ragione. Cerchiamo quindi di conoscerlo meglio:
A 2.08 di altezza per 100 kg circa ed un’apertura alare sempre di 2.08 Saric dispone delle misure necessarie per ricoprire il ruolo di ala grande e a queste abbina una buona struttura fisica e muscolare, seppur ancora esile. Quello che colpisce è però l’uso che il ragazzo fa di tutti questi centimetri, con un trattamento di palla ed una coordinazione che di solito graziano solamente giocatori una decina di centimetri più bassi, trovandosi a suo agio nel giocare sul perimetro con la palla tra le mani. Offensivamente è un giocatore con una serie quasi infinita di armi in faretra: letale nel guidare in contropiede, può attaccare dal perimetro sfruttando i blocchi dei compagni, sa muoversi bene senza palla ed è molto pericoloso in situazioni di catch and shoot specialmente con i piedi a terra, sa attaccare dalla media, possiede buoni movimenti in post ed è un efficace rimbalzista offensivo, il che gli frutta altri punti a referto. Il suo jumper è migliorato nell’ultima stagione, anche dalla lunga distanza, e nelle Final Four della Lega Adriatica ha dominato tirando anche 8-16 da oltre il perimetro.
Ora lo vediamo in azione proprio nella finale della Lega Adriatica, conclusa con 23 punti, 11 rimbalzi e 7 assist. Notare come dalla lunga distanza preferisca le conclusioni piedi a terra, la voracità con cui si getta sui rimbalzi e le doti di passatore, aspetti che ora esamineremo:
A rimbalzo abbiamo detto delle sue ottime doti nella metà campo offensiva (circa 3 a partita sui 40 minuti), ma in difesa non è da meno grazie al suo senso per il gioco, la già citata aggressività e l’ottima posizione che riesce quasi sempre ad avere: dalle situazioni di rimbalzo difensivo riesce poi spesso a creare situazioni di contropiede o portando avanti la palla in palleggio e correndo ottimamente il campo, oppure aprendo con passaggi a tutto campo che smarcano i compagni. Proprio le capacità di passaggio di Saric sono forse l’aspetto più impressionante di tutto il suo gioco: il ragazzo mostra un’incredibile visione di gioco, tempi perfetti, capacità da playmaker nel veder i compagni liberi e servirli, tanto in contropiede quanto a difesa schierata, in post o penetrando in area e poi scaricando sul perimetro ai compagni piazzati. Dario Saric non è solo un eccellente passatore per il suo ruolo, ma è, secondo il parere di chi scrive, il miglior passatore di questo Draft.
Se vi piace il bel basket mettendo a 0:20 e osservando i due passaggi (o siluri) consecutivi a una mano dal palleggio che sfoggia dai suoi 2.08 la reazione dovrebbe essere all’incirca questa:
Dario dimostra di essere poi un giocatore di intelligenza cestistica non comune anche nelle sue scelte di tiro, i suoi numerosi assist sono frutto anche della capacità del giocatore di non forzare tiri e di riuscire a trovare l’uomo libero nel momento in cui viene raddoppiato e questo si nota nella sua rara ricerca di conclusioni improbabili in area dove legge le difese e riconosce i suoi limiti, affidandosi ai compagni. Ragazzo dalla competitività spiccata Saric è un vincente (due ori europei nelle nazionali under e il titolo della Lega Adriatica in cui ha guidato i suoi) che non si risparmia per nulla sul campo da gioco e ciò oltre che dai rimbalzi si può notare dal suo impegno difensivo: generoso nel cercare di aiutare eventuali buchi difensivi della squadra, dotato di tempismo per la stoppata, sempre attento e con un grande istinto per le linee di passaggio, Saric mostra grande impegno anche nella difesa sul perimetro dove, nonostante alcuni limiti di velocità che vedremo dopo, fa di tutto per bloccare le linee di penetrazione e mostra intelligenza nel cercare di mandare gli avversari verso la linea di fondo che come ci insegna Bob Knight è “il miglior difensore della storia insieme a Bill Rusell”, infine anche in area, nonostante il fisico esile, lotta con spirito gladiatorio per avere la meglio sui giocatori più fisici.
Vero. E nemmeno Dario Saric lo è.
Gli aspetti che creano più perplessità sono innanzitutto legati all’aspetto fisico-atletico: come abbiamo già detto Saric è un’ala grande, ma è piuttosto gracile e dotato di scarsa esplosività e rapidità di piedi, il che solleva non pochi dubbi sulle sue possibilità di incidere nelle aree della NBA contro le ali più fisiche. Al contempo il tiro per quanto con una buona meccanica e migliorato nell’ultima stagione non è ancora un’arma letale costante, impedendogli ora come ora un gioco da ala piccola. In area già in Europa tende a soffrire giocatori più grossi e non tende ad assorbire al meglio i contatti, ma la buona struttura fisica di base lascia ben sperare per un aumento di massa futuro. Rimane la limitata elevazione, ma non è solo quella a contare a rimbalzo o nel gioco in post e lo sappiamo bene. Ottimo trattatore di palla non è però del tutto a suo agio nel concludere dal palleggio quando non sfrutta i blocchi dei compagni, tuttavia non è un obbligo vivere di isolamenti alla Kobe Bryant. Difensivamente non ha la velocità laterale per tenere i giocatori più rapidi, e in NBA ce ne sono, e spesso per un uso non buono dei piedi ed una limitata rapidità si ritrova con problemi di falli: spesso un secondo troppo lento sui close out, dove commette fallo o si fa facilmente battere dal palleggio, quando porta gli aiuti poi risulta molte volte in ritardo ed un po’ impacciato, andando a impilare falli.
Come detto il jumper è ancora migliorabile, specialmente in situazioni dinamiche o dal palleggio dove tende ad uscire piuttosto piatto, il rilascio è un po’ lento e se il tiro dalla media entra con buona continuità lo stesso non può dirsi del tiro da oltre l’arco (34%), sebbene si siano visti miglioramenti. Anche i liberi seppur non un tragico problema possono essere migliorati rispetto al 71% in stagione, già comunque superiore al 66% della stagione precedente. Un aspetto che sicuramente si nota vedendolo giocare è l’alto numero di palle perse: anche qui il problema è parzialmente legato al fisico che tiene poco i contatti e spesso lo porta a finire fuori equilibrio e perdere palloni, sicuramente poi c’è da rifinire la scelta degli assist, con forzature che ricordano se vogliamo Manu Ginobili, un altro eccellente passatore che forse proprio per le sue straordinarie doti tende a provare passaggi nelle sue possibilità, ma esageratamente rischiosi quando addirittura non compresi dai compagni o dalla forza di gravità. Infine qualche dubbio sorge sul suo carattere, ultra-competitivo, forse troppo, che a volte sembra rendergli troppo facile il puntare il dito contro i compagni, cosa che verosimilmente non sarebbe presa bene da esperti giocatori NBA, e anche fuori dal campo non è sempre ineccepibile con un arresto per guida in stato di ebrezza e un padre fin troppo presente nei suoi affari.
Talento cristallino già in mostra ad alto livello da almeno 4 anni nonostante la giovane età, Dario Saric è un ragazzo già uomo per esperienza sul campo, il cui valore non dovrebbe in nessun caso passare oltre la quindicesima chiamata del prossimo Draft. Molto di quello che mostrerà alla sua prima stagione NBA (sempre che non decida di rimanere in Europa ed è in scelte di questo tipo che il padre sembra onnipresente e quasi ostacolare Dario) sarà legato al contesto in cui finirà: per fortuna non dovrà affrontare i pregiudizi subiti in passato da giocatori anche fenomenali come Petrovic, ma sarà importante che l’allenatore per cui giocherà sia capace di sfruttare le sue potenzialità e di lasciargli la palla tra le mani, piuttosto che sfruttarlo in uscita dai blocchi o in situazioni a lui meno congeniali, rischiando di mettere esageratamente in mostra dei limiti che è normale siano presenti in un ragazzo di 20 anni.
Visto l’orgoglio del ragazzo qualora non dovesse trovare la situazione a lui più adatta non stupirebbe un suo repentino ritorno in Europa. Ma l’impressione è che il talento sia troppo strabordante perché venga relegato al vecchio continente: è’più facile, e bello, immaginarselo tra qualche anno leader di una squadra, magari ad alzare un trofeo di MVP in quello che sarebbe uno dei momenti più alti di un basket che non c’è più.