ESPN ha riportato un dato statistico curioso: nell’83% dei casi la squadra che vince gara 3 di Finale poi vince serie e Larry O’Brien. Se siete tifosi dell’una o dell’altra squadra, ora siete liberi di esultare o di disperarvi, anche in relazione al vostro grado di scaramanzia; oppure potrete pensare che anche l’anno scorso San Antonio vinse gara 3, anzi, la dominò con un perentorio +36, e che quindi le statistiche possono essere indicative ma talvolta lasciano un po’ il tempo che trovano. Quel che è certo è che in questa gara 3 gli Spurs hanno mostrato un gioco che spesso rasentava la perfezione, ma che Miami nonostante ciò si è mostrata, se ancora ce ne fosse bisogno, squadra vera e vincente, andando molto vicina a riaprire un match in cui a un certo punto agli avversari entrava letteralmente tutto. Vediamo dunque come si sono comportati i protagonisti delle due squadre.
SAN ANTONIO SPURS
KAWHI LEONARD: 9. Come in gara 2 non si poteva non partire da Lebron James, oggi non si può esimersi dall’iniziare da lui. 18 punti equamente distribuiti nei primi due episodi, i primi detrattori a dire che non è il Leonard determinante delle scorse Finals, e lui con il solito atteggiamento silenzioso ma tutta sostanza che tanto ricorda un suo illustre compagno di squadra, reagisce da vero e proprio campione che ormai, incontrovertibilmente, è a tutti gli effetti: inizio a razzo, piscina olimpionica al posto del canestro (come pure i compagni nel primo tempo), e difesa eccezionale su un due volte MVP che aveva dominato la gara precedente, alla fine fate career high da 29 con 10/13 dal campo (pazzesco 7/7 da due) e l’highlight della gara in faccia al povero Birdman. Una reazione da vero veterano reduce da mille partite determinanti, peccato che l’anagrafe dica 23 a fine giugno: se ancora ce ne fosse bisogno, è decisamente nata una stella. STELLA AFFERMATA
DANNY GREEN: 8. Altro giocatore in chiaroscuro nelle gare a San Antonio, rovescia la tendenza di questi playoff che lo vedeva sontuoso in casa e balbettante in trasferta con un’ottima prova al tiro (7/8 dal campo, e anche lui 6/6 da 2): al di la dei freddi numeri, da apprezzare la lettura sui precipitosi close out degli Heat appena riceve sul perimetro e l’aggressività nell’attaccare il recupero dal palleggio, che porta a soli due tiri da 3 tentati ma tantissimo penetro e scarico (e qui la mano dell’ex agente della CIA in panchina potrebbero aver giocato la sua parte) che coglie impreparati gli avversari. La perla comunque è anche per lui difensiva: mani veloci e 5 recuperi, di cui 3 nel primo tempo, importantissimi per costruire il grosso vantaggio che i suoi, con alti e bassi, e porteranno fino al termine. SCASSINATORE
BORIS DIAW: 7. Il pianista col fisico da saltatore sul divano viene promosso in quintetto e si rivela l’arma tattica vincente (e anche qui, mandare buona parte del merito all’agente di cui sopra): in attacco porta a scuola un Rashard Lewis che sarà anche ritrovato ma fisicamente non può contenerlo, e soprattutto può cambiare su qualsiasi pick ‘n roll in difesa, e crea quasi vantaggio per i suoi visto che statisticamente parlando è l’uomo che riesce a limitare di più Lebron; come ciò sia possibile sarebbe da annoverare tra i misteri di Fatima, ma ormai è risaputo che con lui le normali leggi fisiche prendano un andamento diverso. JOLLY
PATTY MILLS: 7. Forse sembrerà esagerato, ma il maratoneta aborigeno con la sua dinamo corporea sta dando molto più di una semplice mano alla sua squadra e fin qui sta giocando una serie da incorniciare. Non gioca molto, non segna vagonate di punti (che pure potrebbe avere in faretra), ma è sempre in movimento, non sta sbagliando una scelta e nonostante sia il tipo di giocatore che tende a forzare è assolutamente sotto controllo. La sua energia è contagiosa e sul doppio tuffo nell’ultimo quarto che permette a Danny Green di schiacciare in campo aperto dev’essere venuto un tuffo al cuore anche al sergente Popovich, peraltro perfettamente in grado di apprezzare questi gesti. GLADIATORE
TIM DUNCAN: 6.5. Partita come sempre solida per il sempreverde caraibico, ma per lunghi tratti non c’è nemmeno bisogno faccia gli straordinari grazie all’efficace gioco di penetro e scarico degli esterni. Chiude con 14 punti con soli 7 tiri presi, a cui aggiunge solo 6 rimbalzi, anche perché può permettersi di stare in campo una mezz’ora appena; e un Duncan preservato per una gara 4 in cui gli Spurs, facendo il colpo gobbo, ammazzerebbero virtualmente la serie, è una vittoria nella vittoria per Popovich. PRESERVATO
TONY PARKER: 6. Che Tonino non giocherà ai suoi livelli in questa serie per i fastidi fisici è ormai appurato, ed è abbastanza evidente dai jumper sbagliati, dalle poche accelerazioni, dalle difficoltà a concludere al ferro. Ma la classe e la stoffa del campione non scompaiono certo per una caviglia dolorante, e chiude comunque a 15 con un paio di canestri pesanti proprio quando gli Heat cercavano di rientrare: anche a mezzo servizio, i tiri di peso specifico notevole non li sbaglia neanche bendato, e in generale sembra sempre poter dare un paio di giri a un Chalmers per la verità fin qui imbarazzante. MONEY IN THE BANK
MARCO BELINELLI: 6. Menzione puramente onorifica per il connazionale, incensato forse eccessivamente dalla stampa locale per una singola giocata, per quanto importante. Però bisogna entrare dopo quasi 40 minuti di panca, prendere quel tiro in quel momento così difficile della gara e infilarlo: le big balls gli erano costate caro, ma oggi ripagano decisamente con gli interessi. BORN READY
MANU GINOBILI: 5.5. Non una partita da buttare per il Narigon di Bahia Blanca, ma in generale non si vede moltissimo. Mette alcuni canestri dei suoi, cambia il gioco coi soliti passaggi immaginifici, ma sbaglia anche abbastanza (brutta la mattonata da 3 da posizione centrale) e il “suo” quintetto, con Parker e Duncan in panchina, non gira come spesso è accaduto e rischia di propiziare il ritorno degli avversari. Poco male, in una serata da 60% complessivo al tiro il miglior Manu non era strettamente necessario. ASSENTE GIUSTIFICATO
TIAGO SPLITTER: 5.5. 15 minuti senza infamia né lode per il lungo brasiliano, che però sembra un po’ accusare la retrocessione in panchina, peraltro dovuta a ragioni puramente tattiche e non tecniche: 3 falli in quei pochi minuti in campo sono decisamente troppi, e finisce con avere un impatto molto più limitato rispetto alle gare casalinghe. RETROCESSO
MIAMI HEAT
LEBRON JAMES: 7. Viene da una gara che ha praticamente vinto da solo in trasferta dominando in lungo e in largo, e pare riprendere da dove ha lasciato: gli Spurs segnano letteralmente tutto, e lui con calma olimpica piazza due bombe di fila dal pick ‘n roll che dimostrano se ce ne fosse bisogno quanto sia in grado di cambiare rotta anche alla miglior serata di grazia degli avversari. Stavolta però alla lunga soffre un po’ troppo la difesa fisica soprattutto del giovane Leonard, e chiude sì con 22 e 9/14 al tiro, ma anche 7 palle perse che gridano vendetta. Ciò nonostante, l’impressione rimane a lungo che se voglia segnare, ci sia poco da fare; e in gara 4 sarà pure motivato… MONSTER
RASHARD LEWIS: 7. Strano dare a un giocatore a lungo comodamente seduto in panchina durante la stagione lo stesso voto di Lebron. Ma l’ex Sonics in questa Finale sembra vivere una seconda giovinezza, e lo dimostra anche stavolta, mandando a referto le terza gara su tre in doppia cifra con una prova balistica degna dei tempi migliori: si mette in visione, i compagni lo cercano e lui tira e segna con fiducia (5/7 dal campo, 4/5 da 3), andando a bersaglio dalla lunga anche durante il tentativo di rimonta. Dirlo alla vigilia sarebbe valso un biglietto di sola andata per un buon ospedale psichiatrico, eppure se continua così il suo tiro potrebbe risultare tatticamente importantissimo. RINATO
DWYANE WADE: 6.5. Non si vede granchè, sembra giocar male, perde palloni… Poi però quando serve è li a piazzare le giocate che suonano la carica ai suoi, e alla sirena il referto dice un buonissimo 22 con 8/12. Inoltre, e ormai è una costante in questi playoff, sta segnando il tiro dalla media che la difesa gli concede sempre, ed è un altro potenziale problema per il sistema Spurs. L’altra faccia della medaglia è un primo tempo a lungo impalpabile e le tante perse (addirittura grottesche le due in fotocopia in collaborazione con Chalmers sul consegnato), che gli negano un voto migliore. DOUBLE FACE
RAY ALLEN: 6. Serata in ufficio per il tiratore scelto, che litiga un po’ col ferro (3/8) ma in generale non gioca una cattiva gara. E poi è sempre uno spettacolo in movimento anche in giornate di ordinaria amministrazione: eccellenti le letture e gli scarichi per il bloccante sulla linea di fondo quando gli Spurs escono forte sulla sua uscita dai blocchi, poesia la classica finta con cui manda al bar Green e mette la tripla quando i suoi si stanno riavvicinando. POETA
CHRIS BOSH: 5. Chiude la gara col 100% al tiro. Sì, peccato che ne prenda 4 in 34 minuti, e per poco all’AAA non iniziano ad affiggere il più classico dei “Have you seen this guy?” col suo faccione stampato sopra. Spoelstra dopo gara 2 l’ha esplicitamente definito il giocatore più importante per gli Heat, e probabilmente ha ragione, visto che il suo impatto più o meno positivo condiziona fortemente la prestazione dell’intera squadra: un Bosh desaparecido quindi è doppiamente deleterio per Miami. DESAPARECIDO
CHRIS ANDERSEN: 5.5. Solita energia sempre preziosa per Birdman, mezzo voto in meno per il poster che gli rifila Leonard nella giocata che sostanzialmente chiude la gara. POSTERIZZATO
NORRIS COLE 4.5. Chalmers in questa serie è ai limiti, e forse oltre, del disastroso, ma lui non fa niente per approfittarne e guadagnare minuti e responsabilità. Anzi, in realtà fa troppo: troppi tiri presi, spesso forzati (3/9 in 17 minuti, Lebron per dire ne prende 14 in 40 minuti…), troppe palle perse (2, ma sempre in 17 minuti: sarebbero quasi 6 sull’intera gara), in generale troppi brividi quando è in regia. Miami, abbiamo un problema: il settore playmaker. TROPPO FUMO, POCO ARROSTO
MARIO CHALMERS: 3. E dire che l’alaskano era stato, se non uomo chiave, pedina sicuramente importante nei primi due titoli di Miami, con tiri pesanti, personalità, anche una certa pressione difensiva sulla palla quando serviva. Per tutti i playoff non ha brillato, ma ormai siamo ai limiti dell’irritante: non segna mai (0/5), perde palloni, fa un fallo per ogni assist smazzato (4 entrambi), fatica a contenere un Tony Parker su una gamba e chiaramente limitato fisicamente. Deve reagire in qualche modo, perché Cole sta riuscendo nella poco edificante impresa di non far meglio: e anche per i campioni in carica si fa dura se si gioca senza playmaker. DISASTRO