Una lacrima. Il manifesto dell’emozione può raccontare gioia o svelare sofferenza, senza filtri capaci di intromettersi. Una lacrima è lo sfogo di un attimo, è la liberazione dalle ansie, è la comunicazione di un sentimento nascosto, è lo strazio all’idea di smettere e abbandonare i compagni di una vita. Una lacrima è la tentazione alla quale ha saputo resistere Tim Duncan, glaciale nel mascherare l’ebrezza di un momento indimenticabile. Su quel viso segnato dalle rughe scorrevano gocce di sudore (prima e durante) e accenni di champagne (dopo). Liquidi senz’anima se paragonati a quelli contenuti nel cuore e nella memoria. Asciutta è la narrazione delle telecamere. Quale sia stato l’epilogo “off records” non ci è dato saperlo. In quello spogliatoio dell’AT&T Center si saranno intrecciati migliaia di pensieri, una mescolanza paragonabile soltanto alla miriade di accenti di una squadra multietnica. Qualcuno si sarà alzato in piedi, e in francese avrà gridato “merci Tim”. Gli avrà fatto eco un ragazzotto brasiliano, aggiungendo un sentito “obrigado”. Persino un italiano, simpatico e genuino, gli avrà dedicato un “grazie”. In fondo, questo anello, è sopratutto per lui.
Lasciare cullati dal trionfo non ha prezzo. Duncan non si è ritirato, o perlomeno non lo ha ancora fatto ufficialmente. Ci si attendeva l’annuncio shock in conferenza stampa, e invece nulla. Davanti ai microfoni il caraibico ha chiuso il lucchetto, indossando il paraocchi e preferendo la goduria del presente alle scelte del futuro. C’è tempo per guardare avanti. La decisione andrà presa entro il 24 Giugno e a condizionarla potrebbero intervenire alcuni pesanti fattori. Niente capello bianco, niente carta d’identità, niente pancia piena. La fame ci sarebbe ancora. Il riferimento è a quei due bambini, stretti forte al petto nell’euforia dei festeggiamenti. Gli Spurs restano una grande famiglia, ma i legami di sangue marcano a uomo anche le passioni più dirompenti. Stare a casa, indossare giacca e cravatta, intraprendere strade parallele, magari dietro una scrivania. Tutte ipotesi plausibili. In caso di addio non ci sarà un parquet, ma soltanto una serie di perchè. Sensati e logici. Tim le leggi del buon senso le ha già sconfitte a ripetizione. Ha cavalcato un’annata da protagonista, lontano dagli infortuni e dai malanni fisici. A 38 anni si è preso la rivincita, spazzando via i Miami Heat e le loro velleità di egemonia. Ha scattato la foto da appendere al muro, abbracciato a Parker, Ginobili e coach Pop. Un maestro, un padre. Un quadro immacolato da consegnare ai posteri, senza sporcarlo con inutili aggiunte di colore. 5 titoli in 15 anni: i numeri non mentono. Va a finire che le lacrime, per quel 21 riposto in un cassetto, saremo costretti a versarle noi.