“I San Antonio Spurs sono campioni NBA 2014”.
Un mantra, un desiderio, un obiettivo, un’ossessione per chi negli ultimi 12 mesi non ha fatto altro che ripensare alla gara 6 dello scorso anno. Alla tripla di Allen, ai cordoni che vengono tolti, a quell’anello che sembrava essere già pronto per essere indossato. Sfuggito dalle mani possenti di chi era abituato, nel momento della contesa decisiva, a strapparlo sempre dalle grinfie dell’avversario.
Ritornare sul luogo del delitto però è un’occasione troppo ghiotta da lasciarsi sfuggire. Diversa convinzione, diversa intensità, diversa voglia da parte dei nero argento. Prima ancora dei sistemi di gioco, della perfetta circolazione degli Spurs, della capacità di cambiare pelle a seconda di chi si ha di fronte.
E poi il gruppo. La magnificazione del concetto di squadra, a partire dal vertice. Da Duncan e Popovich. Un abbraccio. L’ennesimo giunto nel momento del trionfo, a sancire stima, rispetto, affetto.
Se alla carica dell’argentino poi, si somma l’impatto dei vari Mills (che ha finito in crescendo siglando una fantastica gara 5), Diaw (poi diventato Splitter, visto che il francese era troppo importante per non essere titolare), ma anche dei vari Bonner, Joseph, Baynes e Ayres, la profondità e poliedricità degli Spurs è stata l’arma in più per Gregg Popovich.
E poi lui, il nostro Marco. Le sue lacrime, la sua emozione, il tricolore sulle sue spalle a sfiorare il Larry O’Brien Trophy, protagonista multiforme di una stagione NBA che noi appassionati difficilmente scorderemo.
Dall’altro lato del parquet invece, gli sconfitti e i loro dubbi, le loro ansie e l’incertezza verso un futuro tanto insondabile quanto poco promettente. Il solito enciclopedico Lebron James non è bastato neanche ad allungare la serie, ritrovatosi di colpo 7 anni indietro. Come nel 2007, a capo di un roster sfiancato, con poco da dire, umiliato dagli Spurs nell’atto finale (in Ohio in realtà, le sue cifre in primis furono deludenti).
Futuro che si deciderà tutto nei prossimi giorni, con quelle Player Option che i vari James, Wade e Bosh dovranno decidere se applicare o meno. Restare altri 2 anni in Florida e provare a continuare a scrivere la storia (magari con l’aggiunta di Carmelo Anthony) oppure separare le proprie strade e cercare nuove avventure in altri lidi (con Chicago, Cleveland e tante altre alla finestra).
Tutte speculazioni, voci di corridoio, indiscrezioni che seguiremo e commenteremo nei prossimi mesi. Adesso restano negli occhi le immagini del festa, del trofeo alzato al cielo da chi più di chiunque altro e meglio di chiunque altro ha saputo insegnarci come giocare questo sport meraviglioso.