E’ ormai da tempo appurato che lo sport non sia una scienza esatta. La scorsa stagione dei Toronto Raptors ha certamente convinto anche gli ultimi scettici. Gli ingredienti erano quelli perfetti per un tanking di qualità: un record di 6-12 a metà dicembre e l’uomo di punta, o meglio quello che sarebbe dovuto essere l’uomo di punta, scambiato per una manciata di discrete riserve. E invece no, invece succede quello che non t’aspetti, la squadra inizia a ingranare, mette insieme 48 vittorie stagionali (record della franchigia) e un terzo posto nella pur modesta Eastern Conference, totalmente inimmaginabile ad inizio stagione. Il clima in Ontario è cambiato: l’ingresso in società di Tim Leiweke (che ha già annunciato l’addio a fine della prossima stagione) così come la sostituzione di Bryan Colangelo con Masai Ujiri hanno portato nuove idee e maggiore organizzazione, il GM ex Denver è stato in grado di liberarsi dei due contratti più pesanti (Andrea Bargnani e Rudy Gay) in modo impeccabile.
A fine regular season c’era persino la sensazione che si potesse fare di più, le semifinali di Conference non sembravano un obiettivo irraggiungibile, e infatti i Raptors sono arrivati a un canestro dalla vittoria in gara-7. Kyle Lowry, vero protagonista della stagione, aveva 6 secondi sul cronometro e la palla tra le mani. Un’impeccabile difesa dei Nets ha permesso però alla squadra di Brooklyn di portare a casa pallone, partita e serie: fine della corsa per Toronto. La sconfitta al primo turno rappresenta però un punto di partenza: proprio cominciando dall’analisi della serie e delle maggiori difficoltà incontrate si è cercato di ripensare la squadra per la stagione 2014-15.
La bassissima età media e la grande chimica di squadra imponevano innanzi tutto di cercare di riconfermare gran parte del roster, al contempo due principali problematiche erano emerse. Innanzi tutto la serie contro Brooklyn ha evidenziato la difficoltà dei Raptors a difendere contro esterni di grande fisicità come Joe Johnson (2.01 m per 100 kg): Casey è stato costretto a fare innumerevoli tentativi, provando persino a mettere Greivis Vasquez in marcatura in gara-7. La guardia ex Atlanta è stato però il principale fattore della serie: 21.9 punti di media nella serie contro i 15.8 in regular season e un plus/minus di 51 contro il +11 di Brooklyn nella serie nel complesso. Secondo punto critico è stato l’apporto della panchina, nonostante le prove positive di Vasquez e Patterson: il complesso delle 7 sfide ha visto lo starting five dei canadesi imporsi con un netto +22, confrontando le panchine invece il +33 dei Nets è stato un fattore decisivo.
Date queste fondamentali considerazioni Masai Ujiri ha deciso innanzi tutto di risolvere le situazioni contrattuali complesse: i due restricted free agent, Greivis Vasquez e Patrick Patterson, hanno rinnovato a cifre convenienti se paragonate con giocatori di egual livello; infine Kyle Lowry uomo simbolo della squadra ha deciso di proseguire il suo rapporto con i Raptors per altre quattro stagioni e 48 milioni complessivi. Sul fronte trade invece John Salmons è stato scambiato con Atlanta per Lucas Nogueira e Lou Williams, mossa chiave per avere più volume realizzativo dalla panchina. Infine il ritorno di James Johnson ha permesso di avere quell’esterno fisico e forte difensivamente tanto bramato contro i Nets.
Il riepilogo del mercato
Acquisti: Will Cherry, Louis Williams, Jordan Hamilton, Bruno Caboclo, James Johnson, Greg Stiemsma, Lucas Nogueira
Cessioni: Nando De Colo, Dwight Buycks, Julyan Stone, John Salmons, Steve Novak
Quintetto base per la stagione 2014/15
La panchina
Tabella dei salari
Il Coach
Dwane Casey sta per iniziare la quarta stagione alla guida dei Raptors. Lui che è sempre stato considerato un coach difensivo (questo era il suo ruolo nei Mavs dell’anello 2011), è riuscito a dare alla sua squadra questo tipo di identità, tanto che il DRtg è passato da 112.1 nel 2010-11 a 105.3 nella scorsa stagione. Ciò in cui però si nota maggiormente la mano del coach ex Kentucky è la chimica di squadra, Casey si è sempre dimostrato un coach pronto a battersi per i propri ragazzi, coriaceo e capace di creare un gruppo unito, vera e propria forza di questi Raptors. D’altra parte a tratti emergono ancora varie lacune specialmente nella gestione dei momenti decisivi e nel disegno di schemi offensivi, tanto che nella scorsa stagione è stato introdotto nel suo coaching staff Nick Nurse, prevalentemente incaricato di occuparsi di questa fase del gioco. Altra nota dolente è la gestione delle rotazioni, troppo spesso scelte sbagliate hanno portato a bruciare vantaggi in doppia cifra o a vere e proprie fughe degli avversari. I grandi miglioramenti della panchina dovrebbero però aiutare in questo senso.
Giocatore Chiave Attacco
Difficile negare che la squadra vada al ritmo di Kyle Lowry: il playmaker ex Villanova è il cuore pulsante dei Raptors. “Contract year” potrebbe dire qualcuno, e in effetti il sospetto che l’avvicinarsi della fine del proprio contratto abbia giocato un ruolo nella fantastica stagione del playmaker è innegabile. Guardando con più attenzione però sembra esserci qualcosa in più: il giocatore ha firmato con Toronto, certamente per la vantaggiosa offerta economica (12 milioni a stagione), ma al contempo ha mostrato attaccamento e dedizione alla causa. Lowry è stato il leader e vuole continuare ad esserlo. Le vicende nella Lega di Kyle Lowry sono state spesso travagliate, a Memphis ha faticato a trovare spazio, a Houston ha dovuto convivere con l’ingombrante presenza di Goran Dragic, non riuscendo mai a ottenere la certezza di un posto in quintetto. Poi, nel 2012, quella che pare la svolta: arriva a Toronto dove ha le chiavi della franchigia, inizia con cifre realizzative impressionanti ma finisce per cedere per lunghi tratti della stagione il posto a Josè Calderon. La scorsa stagione per forza di cose era titolare indiscusso, e finalmente ha risposto presente, giocando a modo suo ma al contempo adattandosi alle necessità della squadra. Alla fine per l’All Star Game di New Orleans gli sono stati preferiti altri, come Joe Johnson e il compagno di squadra DeMar DeRozan, però Lowry ha espresso un gioco completo, mostrandosi tenace in difesa (è soprannominato The Bulldog non a caso) e produttivo in attacco. E’ stato al career high in buona parte delle statistiche rilevanti, tirando dal campo con il 42.3%, e si è spesso mostrato letale sia in penetrazione sia sui tiri dalla lunga distanza (poco meno del 40% da 3 punti). Buona parte delle possibilità di successo dei Raptors nella prossima stagione passa nelle mani del playmaker originario di Philadelphia (è per distacco il giocatore con il Win Shares più alto), starà a lui dimostrare che la scorsa stagione è stata molto più di una semplice parentesi positiva. Molte responsabilità sulle sue spalle certamente ma, come dichiarato da Lowry quest’estate in un’intervista a Las Vegas, vuol essere il giocatore per eccellenza della sua squadra, quello su cui gli altri possono contare, quello che deve sempre rispondere presente.
Giocatore Chiave Difesa
Abbiamo già parlato ampiamente delle lacune difensive mostrate dai Raptors nella scorsa stagione, della difficoltà di avere uno specialista capace, in situazioni complesse, di dare filo da torcere alla stella della squadra avversaria. Lowry è un ottimo difensore nella sua posizione, Ross allo stesso modo, ma entrambi hanno difficoltà a marcare esterni fisicamente molto più importanti. Proprio per questo Ujiri ha deciso per il ritorno di James Johnson. Il giocatore, ex Wake Forest, si è fatto notare come specialista della fase difensiva. Ha mezzi atletici notevoli, e un’altezza di 2.06 che gli permette di non patire la differenza di centimetri anche con le ali piccole più possenti. In una conference con giocatori del calibro di LeBron James e Carmelo Anthony, un difensore abile come Johnson può rivelarsi un’arma fondamentale. Pare avesse lasciato Toronto due stagioni fa per difficoltà relazionali con il coach Dwane Casey, sembra però strano che Masai abbia optato per questa mossa senza consultare l’allenatore: appianati quindi i conflitti passati sarà fondamentale trovare la sintonia tra due soggetti defensive minded come James Johnson e Coach Casey.
Rivelazione della squadra
Difficile parlare di giocatore rivelazione analizzando il roster dei canadesi. Al momento sembra piuttosto prevedibile sapere cosa aspettarsi da ognuno, e i giocatori con maggiori margini di miglioramento, Caboclo e Noguiera, sono molto, troppo acerbi per rivelarsi validi contributori. Il nome che viene più facilmente in mente quindi è quello di Jonas Valanciunas. Il centro lituano ha sempre mostrato grande fiducia nei propri mezzi e quando coinvolto si è dimostrato una valida alternativa offensivamente. Su di lui c’erano grandi aspettative, a tratti disattese. Al Mondiale però, pur difficile e altalenante, ha mostrato sprazzi di grande gioco e affidabilità; ha chiuso la competizione con 14.4 punti e 8.4 rimbalzi di media. Ciò che fa ben sperare è stata la capacità di essere produttivo pur essendo raramente al centro degli schemi offensivi, sia con i Raptors che con la nazionale lituana, facendosi trovare pronto e attento allo sviluppo dell’azione. Inoltre un’altra caratteristica chiave di Valanciunas è la capacità di rispondere al meglio sotto pressione: in Spagna ha risolto praticamente da solo la partita contro la Nuova Zelanda, spronando i compagni intimoriti dalla rimonta dei Tall Blacks. Anche in maglia Raptors si è fatto notare, nella serie contro Brooklyn, per la capacità di incrementare il livello delle sue prestazioni nei momenti di massima necessità, specialmente mostrando ampi miglioramenti nelle percentuali dal campo e nella media rimbalzi rispetto alla stagione regolare. In estate inoltre ha lavorato a più riprese sulla velocità di base con Jim Radcliffe, massimo esperto del settore e membro dello staff degli Oregon Ducks. Valanciunas è ancora giovane (ha soli 22 anni), acerbo e talvolta troppo portato a perdere palloni, però il materiale perché diventi un solidissimo centro difensivamente e offensivamente è assolutamente presente.
Miglior comprimario
Non c’è contesto migliore per aprire il capitolo Amir Johnson: l’ala grande ex Detroit può essere considerato a buon diritto il giocatore più sottovalutato dell’intero roster. Il contratto quinquennale da 34 milioni di dollari firmato nel 2010 era sembrato a molti, se non a tutti, una follia. Il numero 15 ha invece mostrato di valere ogni singolo penny. Uno sguardo complessivo al suo apporto statistico potrebbe ingannare, Amir non ha notevoli cifre realizzative, e pur essendo un ottimo rimbalzista nemmeno quella voce statistica lascia sbalorditi. Una piccola idea di quale sia il vero apporto del giocatore ci può essere data dal real plus/minus, indicatore statistico avanzato studiato da ESPN e volto a comprendere quale sia il vero contibuto difensivo e offensivo di un giocatore, tenendo in considerazione la prestazione dei compagni e il valore degli avversari. In questa speciale classifica Amir Johnson si piazza al sedicesimo posto in tutta la Lega, preceduto perlopiù da All-star del valore di LeBron James o Chris Paul, e primo tra tutti i giocatori dei Raptors (solo Lowry è molto vicino). Guardando con attenzione le partite di Toronto, questa statistica è prontamente spiegata dall’intensità di gioco di Amir: fondamentale per i meccanismi difensivi e indispensabile in attacco. Poche volte nell’arco di una stagione si vedono giochi appositamente disegnati per la sua conclusione, eppure è in grado di lavorare palloni sporchi, facendo del tap-in un’arte. E’ inoltre capace di regalare seconde chance ai compagni, lavorando duramente sui rimbalzi offensivi. Ciò che non va trascurato è infine il carisma, e l’importanza all’interno dello spogliatoio di un giocatore che ha recentemente dichiarato: “Toronto è parte di me, amo i Raptors e vorrei chiudere qui la mia carriera”.
Miglior innesto
Due stagioni altalenanti (specialmente l’ultima) ad Atlanta potrebbero aver fatto dimenticare che giocatore fosse il Louis Williams di Philadelphia. Nel 2012 la guardia nativa del Tennessee si è piazzata seconda nelle votazioni per il Sesto uomo dell’anno alle spalle di James Harden e ben al di sopra del terzo classificato Jason Terry. Certo parliamo di un giocatore totalmente votato alla fase offensiva, con grosse lacune sull’altro versante del campo ma la trade nel complesso può considerarsi un ottimo affare. Come abbiamo anticipato Williams risponde a quella necessità dei Raptors di avere punti dalla panchina, è un grande attaccante capace di spezzare le partite nei momenti di necessità, poco importa se si tratta al contempo di un difensore sotto la media. L’ex Hawks potrebbe trovarsi in diverse occasioni a togliere le castagne dal fuoco, è un buon tiratore dalla media e anche dalla lunga distanza nonché un discreto passatore. Nonostante i “soli” 188 cm è un giocatore che può alternarsi tra la posizione di playmaker e quella di guardia senza troppe difficoltà, così come Greivis Vasquez suo compagno di backcourt in uscita dalla panchina: proprio questa duttilità potrebbe dimostrarsi un’arma fondamentale.
Punti di forza
Bryan Colangelo, quando ancora era GM della squadra, si è spesso trovato a parlare di organic growth, specialmente tra il 2012 e il 2013. In effetti gli spazi di manovra erano pochi e una maturazione interna del roster era l’unica soluzione. Ciò in cui il GM ex Phoenix Suns aveva molto sperato non si è mai realizzato sotto la sua conduzione. Per assurdo però, con l’arrivo di Masai e l’epurazione di Bargnani e Gay, è stato finalmente avviato un processo in questa direzione. E’ già stata sottolineata l’importanza degli arrivi di Johnson e Williams ma quello che più conta per la squadra è che il resto dell’organico si mostri ad un livello uguale o superiore rispetto a quello della scorsa stagione. E’ proprio la stabilità del gruppo dunque uno dei punti di forza di questa franchigia che ha fatto della chimica di squadra un’arma in più. I Raptors sono inoltre molto giovani, solo Hayes supera i trent’anni e sono una squadra atletica, capace quando necessario di ragionare le azioni e quando invece possibile di sfruttare i contropiedi fulminei. La squadra è complessivamente molto completa, ha diverse soluzioni offensive, ottimi elementi sul fronte difensivo e una panchina lunga e completa. Infine il capitolo DeMar DeRozan, finora trascurato in questa preview, merita una menzione speciale: la guardia ex USC è molto migliorata di stagione in stagione (anche se il tiro dalla lunga e la gestione di alcune situazioni di gioco continuano ad essere un problema) arrivando nel 2014 ad essere eletto tra gli All-star. Il numero 10 ha sempre mostrato un’incredibile fame e motivazione, e proprio dalla sua determinazione potrebbero scaturire ulteriori piacevoli sorprese per i Raptors specialmente dopo la positiva esperienza con Team USA.
Punti deboli
La carenza numero uno dei Raptors è certamente l’esperienza. Lo scorso Aprile per una grandissima parte dei giocatori quella contro Brooklyn era la prima esperienza in postseason, lo stesso valeva per Dwane Casey all’esordio ai playoff da head coach. Questa mancanza di abitudine a certi palcoscenici si è notata a più riprese durante la regular season e la serie contro i Nets. Molto spesso, troppo forse, la squadra si è trovata a commettere ingenuità e a mal gestire momenti delicati delle partite. Un esempio piuttosto rappresentativo è la gestione degli ultimi possessi: nessuno dei due uomini chiave, ovvero DeMar DeRozan e Kyle Lowry si è mostrato letale con il pallone tra le mani, e come precedentemente ricordato, la stagione dei Raptors si è concluso con un errore del numero 7, proprio sulla sirena. Altro aspetto da tenere in considerazione è la costanza, nella scorsa stagione i Raptors hanno alternato strisce molto positive a strisce negative con sconfitte palesemente evitabili, specie sul fronte difensivo la concentrazione non è sempre stata al cento per cento, aspetto da non trascurare nelle partite che contano.
Miglior scenario
55-27
Il punto di partenza sono le 48 vittore della scorsa stagione: in un’ottica ottimistica non c’è motivo per cui le cose dovrebbero andare peggio, anzi! Il record dei Raptors dalla trade di Rudy Gay in poi, applicato a tutte le 82 partite, avrebbe significato 54 vittorie. A Est il livello complessivo rimane molto basso, persino Cleveland, con tutti i problemi derivanti dalla costituzione di un gruppo con molti elementi nuovi, potrebbe non risultare imbattibile. Molti giocatori sono ancora giovani, come Valanciunas, Ross o lo stesso DeRozan, e dunque potrebbero mostrare miglioramenti importanti in diversi aspetti del gioco. Tenendo presente tutti questi fattori sembra possibile azzardare, come miglior scenario possibile, un secondo posto a Est con 55 o più vittorie e di conseguenza una cavalcata rilevante nei playoff, magari fino alle Finali di Conference, mai raggiunte dai Raptors, ma solo sfiorate con quel tiro di Vince Carter in gara-7 nel 2001 a Philadelphia.
Peggior scenario
40-42
Messo da parte l’ottimismo è il momento di pensare cosa potrebbe andare storto. Pare un’ovvietà dire che questa squadra sia fortemente dipendente dal proprio miglior giocatore, Kyle Lowry, ma il numero 7 non è nuovo ad acciacchi fisici di maggiore o minore rilievo, proprio per questo eventuali soste in infermeria dell’ex Villanova potrebbero rappresentare una tragedia per i Raptors, pur con valide alternative dalla panchina come Vasquez e Williams. Un altro rischio fondamentale è quello di partire con eccessiva fiducia nei propri mezzi: il successo dei Raptors nella scorsa stagione è stato il frutto di tanto lavoro umile e dedizione e partire con la convinzione di essere certamente al livello di squadre come Cleveland e Chicago potrebbe essere un errore fatale. La fiducia nei propri mezzi è essenziale, eccedere è però un peccato che si paga caro. Considerando al contempo l’ascesa di squadre come Washington e Charlotte, e il pericolo sempre vivo di squadre di veterani come New York, Miami e Brooklyn la classifica a Est sarà molto compatta. Toronto al verificarsi di molti se non tutti dei precedenti accadimenti potrebbe quindi trovarsi a scivolare in sesta o settima posizione con un record intorno al 50 per cento.
Previsioni
50-32
L’est è lievemente migliorato rispetto alla passata stagione, ma più che altro si sono spostati i valori internamente. Miami ha passato a Cleveland lo scettro di potenziale regina con il ritorno a casa di LeBron. Per un infortunato che torna, c’è una stella che si infortuna: Chicago è pronta a riaccogliere Rose e a tornare a dire la sua, i Pacers invece senza Paul George sembrano lontani persino dai Playoff. New York e Brookyln, chi per un motivo chi per l’altro, non sembrano avversari molto temibili: entrambi possono tornare ai playoff ma probabilmente dalla porta di servizio agganciando uno degli ultimi due, tre posti utili. Le situazioni più interessanti sono forse quella di Charlotte, molto giovane e con materiale su cui lavorare, e Washington che al pari dei Raptors può puntare sulla crescita interna, l’aggiunta di Pierce è certo importante ma fa il pari con la partenza di un uomo fondamentale come Trevor Ariza. Sembra quindi onesto immaginare che i Raptors possano finalmente superare il muro delle 50 vittorie per quanto non di molto. Ipotizzando Cleveland certamente davanti, i principali avversari saranno presumibilmente Bulls e Wizards. I primi dipendono molto dalla risposta ad alcune domande chiave (“Gasol sarà quello dei Mondiali?” “Il Rose dei Mondiali, pur con tutte le giustificazioni del ritorno dall’infortunio, era invece solo il gemello scarso di quello che vedremo in campo?” “Mirotic si adatterà rapidamente?”), se tutto andasse per il verso giusto sarebbero forse fuori portata e quasi alla pari di Cleveland. Sembra quindi realistico ipotizzare un terzo posto con 50 vittorie o poco più. Passare il primo turno quest’anno diventa un obbligo, sul resto eviteremo di azzardare, ci sono molti, troppi fattori ancora in gioco.