Nella terra dei Mormoni è arrivata l’ora di cogliere i frutti della semina realizzata negli ultimi anni. Le ultime stagioni non sono state granché esaltanti, piene di alti e bassi sia sotto il profilo dei risultati sia soprattutto negli aspetti tecnici dei vari prospetti messi insieme dal general manager, Dennis Lindsey, che ha preso una linea e con grande coerenza l’ha portata avanti. L’ha portata avanti dando ai suoi giovani talenti il tempo per giocare con continuità, le occasioni anche di sbagliare e di imparare dagli errori, i momenti per dar loro maggior responsabilità a poco alla volta in campo e fuori. Il tutto però è avvenuto sì con discontinuità sul parquet, con prestazioni individuali e di squadra da montagne russe, ma anche con pazienza e fiducia nelle potenzialità di quei giocatori in erba messi al centro del progetto qualche annata fa e che ora compongono l’ossatura base del quintetto degli Utah Jazz. Per il definitivo salto di qualità Lindsey ha deciso di cambiare la loro guida: non più Tyrone Corbin, bensì ora largo a Quin Snyder. L’ex delfino di Jerry Sloan ha condotto la squadra nelle ultime stagioni ad un non invidiabile record complessivo di 122-146, con una sola apparizione ai Playoffs nella postseason 2012 (secco 4-0 al primo turno inflitto dai San Antonio Spurs). Da allora vacanze anticipate per tutti da metà aprile in poi, con un un drastico calo nel rendimento visto che si è passato dalle 43 vittorie della stagione 2012/2013 alle misere 25 W dell’ultima annata. Il roster a sua disposizione non era di certo quello dei fasti dell’epoca dell’asse Stockton to Malone e nemmeno degli anni dei discussi Deron Williams e Carlos Boozer, che tuttavia assicuravano la presenza fissa nelle settimane successive al termine della regular season, ma nemmeno quello di una formazione dalla pochezza tecnica e senza frecce in faretra come un bottino di appena 25 successi su 82 partite farebbe presupporre. Ora toccherà a Snyder avere un ruolo chiave nella maturazione finale dei vari Favors, Kanter, Hayward, Burke e riportare il sole nel cielo nuvoloso delle ultime stagioni a Salt Lake City, dove il sole si identifica nel ritorno a quei Playoffs che i tifosi della EnergySolutions Arena erano abituati a veder splendere.
EnergySolutions Arena
MERCATO
Nel complesso la squadra non è stata rivoluzionata. Rispetto ad un anno fa, non ci sono più Marvin Williams – accasatosi a Charlotte – e Richard Jefferson – volato alla corte di Cuban in quel di Dallas: per il resto lo zoccolo duro della rosa è rimasto pressoché il medesimo, con in più qualche aggiunta per aumentare la profondità della panchina. Su tutti c’è grande attesa attorno a Dante Exum, guardia australiana selezionata all’ultimo Draft con la quinta scelta assoluta ed in possesso di qualità tecnico-fisiche che alla lunga potrebbero farlo diventare una star di prima grandezza nella Lega. Nel reparto esterni sono arrivati altri due elementi che possono garantire un buon contributo alla causa, specie nella metà campo difensiva: si tratta di Touré Murry, proveniente dai Knicks con cui si è messo in buona luce nonostante la pessima stagione di New York, e di Dahntay Jones, veterano in uscita dagli Hawks e che con le sue 34 primavere sarà il “nonno” di una formazione la cui età media è di 24 anni. Per quanto riguarda invece la batteria dei lunghi, sono sbarcati a Salt Lake City due giocatori dalle caratteristiche molto diverse tra loro ma entrambi in cerca di riscatto dopo alcune stagioni sottotono: stiamo parlando di Trevor Booker, ala grande vogliosa di rilanciarsi dopo l’esperienza di Washington, e di Steve Novak, che può agire come stretch four o anche da small forward all’occorrenza, in possesso di uno dei rilasci di palla più armoniosi della Lega e capace di infilare triple a raffica dal perimetro, reduce dall’esilio canadese a Toronto in cui è sembrato a dir poco smarrito dopo un buon biennio nella Grande Mela.
ROSTER
QUINTETTO BASE
COACH
Per Quin Snyder sarà la prima stagione da capo allenatore in NBA, ma non è un nome nuovo all’interno della Lega. Infatti il nativo di Mercer Island, Washington, ha ricoperto il ruolo di assistente negli anni passati per molte franchigie in giro per gli Stati Uniti: ad appena 26 anni diventa assistant coach di Larry Brown ai Los Angeles Clippers per un anno nel ’92-’93’, nel 2010/2011 sotto Doug Collins è il responsabile dello sviluppo giocatori ai Philadelphia 76ers, la stagione successiva vola di nuovo nella città degli Angeli ma stavolta sulla sponda Lakers come collaboratore di Mike Brown, quindi l’ultima esperienza dell’annata scorsa agli Hawks come assistente capo di Mike Budenholzer. Per Snyder non è stata una carriera facile, anzi non è mancata la gavetta con diverse esperienze che ne hanno arricchito il bagaglio tecnico ed umano: 6 anni spesi come assistente di Mike Krzyzewski a Duke, 7 stagioni come allenatore all’università di Missouri, 4 anni agli Austin Toros con cui conquista anche il premio di Coach of the Year nel 2009 e un anno oltreoceano al CSKA Mosca come braccio destro di Ettore Messina per la campagna 2012/2013. Ora a quasi 48 anni la chance della vita offertagli dalla famiglia Miller che lo ha messo sotto contratto per i prossimi tre anni con opzione per il quarto e su cui fa affidamento per valorizzare un gruppo giovane ma con grandi potenzialità.
GIOCATORI CHIAVE IN ATTACCO
Statistiche alla mano, Gordon Hayward può sembrare all’apparenza la prima punta della squadra, visto che nella passata stagione è stato il miglior realizzatore dei suoi con 16.2 punti di media a partita, ma le chiavi dell’attacco sono affidata in toto a Trey Burke. Dal folletto uscito da Michigan dipendono in gran parte le fortune offensive dei Jazz: il playmaker in casacca numero 3 ha dalla sua parecchie armi per poter innescare sé stesso ed i compagni ed è in grado di battere l’uomo dal palleggio con un primo passo fulminante, può arrivare al ferro con decisione ed il suo tiro dalla lunga distanza è più che affidabile. Inoltre è abile a giocare il pick ‘n roll coi lunghi, specie con Derrick Favors, discreto bloccante ma ottimo tagliante a canestro che può andare a convertire giochi a due ed alley oop. Al contrario del compagno di reparto, l’altro lungo titolare, Enes Kanter, preferisce giocare situazioni stanziali, nelle quali riceve palla spalle a canestro ed attacca dal post basso in 1vs1 dall’alto dei suoi ottimi fondamentali.
GIOCATORI CHIAVE IN DIFESA
Se le opzioni offensive non mancano, in difesa avrà da lavorare parecchio Snyder per imprimere una mentalità solida in una squadra giovane ed inesperta. In area i mezzi ci sono: Kanter e Favors sono due lunghi con caratteristiche differenti, con buone doti potenziali ma che in questi primi anni di NBA hanno palesato limiti sostanziali. Il centro turco è un ottimo difensore nel pitturato e sugli attacchi dal post basso, in quanto dispone di un’ottima mobilità coi piedi che gli permettono rapidi spostamenti nello stretto e tenere alcuni scivolamenti nonostante la stazza. Il discorso cambia se portato lontano da canestro, soprattutto nelle situazioni di pick n’ roll sul quale deve migliorare ancora molto. Idem per il prodotto di Georgia Tech che è più dinamico anche se attaccato dal palleggio ed intimidatore sotto il ferro, capace di piazzare 1.5 stoppate di media a gara nell’ultima stagione, ma ancora lacunoso nell’interpretazione dei giochi a due avversari. Per contro, nel reparto esterni ci sono ottimi e versatili difensori sulla palla quali Gordon Hayward, di gran lunga il giocatore più completo del roster, Alec Burks – dotato di braccia lunghissime oltre ad avere una velocità di base da centrometrista – e Dahntay Jones, il più smaliziato nonché più esperto della compagnia.
POSSIBILE RIVELAZIONE
Non è un mistero che a Salt Lake City ci siano grandi aspettative su Dante Exum, ragazzone australiano che sbarca in Utah per stupire i Mormoni e la Lega intera. Nativo di Melbourne da genitori statunitensi, qualche gene cestistico lo eredita dal padre Cecil, campione NCAA con North Carolina nel 1982 insieme ad un certo Michael Jordan. Dopo aver frequentato il Thomas Carr College, il piccolo Dante si trasferisce a Bruce, piccola cittadina alle porte della capitale Canberra, dove ha sede l’AIS – centro federale dello sport australiano dove convergono tutti i migliori prospetti del Paese di qualsiasi disciplina per permetter loro di sviluppare al meglio e perfezionare le loro abilità. All’Australian Institute of Sport, Dante cresce soprattutto dal punta di vista caratteriale più che dal profilo cestistico. 198 centimetri di altezza, mezzi atletici spaventosi per una guardia: dotato di un buon ballhandling anche se ancora migliorabile, può attaccare dal palleggio e volare al ferro (sì, volare) come tirare con disarmante fluidità coi piedi oltre la linea dei 3 punti. Gli astronomi NBA hanno avvistato il meteorite Exum finora in particolare con la Nazionale australiana, prima ai Mondiali Under 19 del 2013 e poi nei recenti Mondiali FIBA giocati in Spagna, Mondiali nei quali ha mostrato un talento debordante ma allo stesso tempo troppa discontinuità nel corso di una partita oltre che palesare problemi nella metà campo difensiva. Il che è più che comprensibile per un ragazzo comunque di 19 anni compiuti a luglio, anche perché – se fosse già perfetto nei vari aspetti del gioco alla sua età – non calcherebbe di sicuro i parquet terrestri. The best has yet to come si dice in alcuni casi, e pare proprio che sia il caso di Exum.
SCENARI POSSIBILI
Difficile prevedere come andrà la stagione di una squadra che riparte dalle 25 vittorie della passata stagione, con lo stesso roster in pratica di un anno fa, con in più un nuovo condottiero alla guida che quindi necessiterà di tempistiche supplementari per capire bene le pedine presenti nello scacchiere a disposizione e dare un’identità precisa di gioco. Nella stagione appena trascorsa l’ultimo posto dei Playoffs ad Ovest si raggiungeva con 49 vittorie, ovvero quelle dei Dallas Mavericks che hanno strappato l’ultimo biglietto per la postseason, quindi quasi il doppio delle W messe insieme dai Jazz, che sono risultati la peggior franchigia nella Western Conference ed addirittura la 25° in assoluto dell’intera Lega con ben 57 sconfitte al passivo, al pari dei Boston Celtics. Tanto dipenderà dalla capacità di Snyder di approcciare bene la realtà di Utah in prima persona, e non è da dimenticare che si tratta del suo primo incarico come capo allenatore nella NBA, cosa alquanto diversa e ben più ardua che ricoprire il ruolo di assistente. Ancor di più dipenderà però da cosa vogliono fare i vari Favors, Kanter e Hayward: il loro tempo è arrivato, o fanno quello step soprattutto dal punto di vista mentale e raggiungono quella consacrazione su cui la franchigia ha investito forte, o verranno bollati come eterni incompiuti sebbene siano sì giovani, ma l’età passa anche per loro. In più si può contare su un leader nato come Trey Burke che non può far altro che migliorare ancora nel suo secondo anno tra i Pro, sul talento smisurato di Dante Exum e su altri giocatori da cui si aspetta un’ulteriore crescita come Burks ed il sottovalutato Rudy Gobert, centrone francese ancora un pò grezzo in attacco ma che in difesa può diventare un fattore non da poco (vedi quarto di finale del Campionato del Mondo contro la Spagna in cui ha letteralmente annichilito il trio delle Furie Rosse formato dai fratelli Gasol e da Serge Ibaka). Manca forse un pò di esperienza che in una stagione lunga e logorante può servire in particolare nella gestione dello spogliatoio ma non manca di certo l’entusiasmo della gioventù e l’esuberanza atletica di giocatori dai mezzi fisici potenzialmente devastanti. I pezzi del puzzle sono tanti e sparsi: se Snyder sarà bravo fin da subito a rimetterli insieme si prospetta una stagione nella mischia per i Jazz, pronti a lottare col coltello tra i denti nella giungla della Western e candidarsi anche – perché no? – ad una possibile outsider nella corsa ai primi 8 posti del seeding. In caso contrario, si prospettano tempi duri nello Utah…