Quando l’adrenalina e la trance agonistica hanno la meglio durante una partita è molto probabile che la lingua si sciolga più del dovuto e spinga un giocatore ad apostrofare un avversario (ma anche un compagno di squadra) con epiteti non troppo gradevoli e graditi; ed è stato Dwight Howard a diventare una delle ultime vittime del trash talking, venendo prima chiamato “soft” da Kobe Bryant durante la prima stagionale tra L.A. Lakers e Houston Rockets, per poi essere preso a male parole anche da Kevin Durant che addirittura da “inattivo” a causa del suo infortunio al piede ha definito il gigante ex Orlando Magic come una “femminuccia“, ma in termini molto meno edulcorati.
Ma come già detto spesso è la tensione che porta ad esasperare pensieri ed affermazioni e proprio nel “rematch” giocatosi in nottata tra Lakers e Rockets vinto dai Californiani 98 a 92, KB24 ha voluto chiarire lo spiacevole diverbio avuto con il suo ex compagno di squadra Howard, il quale non ha però preso parte al match: queste le parole del Black Mamba raccolte da Mark Medina del Los Angeles Daily News che ha chiesto a Kobe se anche lui fosse della stessa opinione di Durant:
“Non la penso in quel modo e credo che neanche Kevin lo pensi. In alcuni momenti dici delle cose dovute alla tensione, conosco Dwight e credo che anche Kevin lo conosca, non pensiamo certe cose di lui. È una situazione simile a quella in cui litighi con qualcuno e dici cose dettate dalla rabbia o dalla frustrazione, ma che non pensi realmente.”
Alla domanda volta a sapere se fosse consapevole di cosa stesse dicendo e facendo durante il suo alterco con Howard, Kobe ha risposto:
“In quel momento? No. Con il senno di poi mi sono reso conto, specialmente in questo che è il tempo dei social media. Ormai chiunque ha una videocamera e cerchiamo sempre di essere coscienti del fatto che potrebbero esserci anche dei bambini che ci stanno guardando”.
Passo indietro dunque di Bryant che nonostante la travagliata relazione con Superman (uno dei motivi che sancì la fuga di Howard da Los Angeles nel 2013) ha voluto riconoscere un errore dettato dalla frenesia dei ritmi di una partita: un gesto che dimostra come sia un campione a 360 gradi.