Categorie: Editoriali NBA

Memphis Grizzlies, primi non per caso!

Nella Lega più spettacolare al mondo, essere antidivi può certamente rappresentare un segno distintivo, oltre che un modo per lenire parzialmente la pressione che costantemente ricade sulle spalle dei giocatori NBA. Ma spesso ti fa cadere nel dimenticatoio.

Troppe partite giocate, sempre, di continuo, in una Regular Season che non conosce tregua (tranne che per il “Thanksgiving” di ieri). Difficile star dietro a tutto. Allora lo spietato processo di selezione dello spettatore inevitabilmente ti scarta. Guardo le schiacciate, i quarantelli, i buzzer beater. E guardo soprattutto quello che fa notizia (chiedere a Lakers e Knicks per ulteriori informazioni). Difficile trovare il tempo per i cosiddetti “Small Markets”.

Un 13-2 come record iniziale di vittorie/sconfitte però finisce sempre, di diritto, in primo piano. Anche se fatto in Tennessee, lontano dai riflettori, magari non offrendo il gioco più spumeggiante dell’NBA. Ma l’essere spettacolari non sempre coincide con l’essere vincenti e coach Joerger conosce bene entrambi i membri della disuguaglianza. E sa che la variabile più pesante, quella che conta di più, è la seconda.

Seconda come la stagione alla guida dei Memphis Grizzlies, che con la loro ottima partenza guidano division, conference ed NBA.

Merito di un mix di giocatori, staff e allenatori bene assortito, ma, a mio avviso, frutto di un concetto tanto antico quanto calzante: “in medio STAT virtus” (si, il gioco di parole tra il verbo latino e l’abbreviazione di “statistica” è voluto, chiedo venia), locuzione latina che spesso ritorna nei discorsi d’ogni giorno.

E’ l’idea di equilibrio che ha portato i Grizzlies ad affermarsi in maniera così perentoria. Senza venir meno a quei pochi, semplici precetti che solo le grandi squadre riescono a far propri. Difesa e controllo del ritmo. Ma ho davvero tirato in ballo troppi concetti, svisceriamoli con calma.

Equilibrio. Memphis ha 10 giocatori che segnano di media almeno 5 punti a partita (l’undicesimo è Kosta Koufos, che sul parquet fa tante altre cose utili), di cui 4 in doppia cifra, nonostante sia il 15esimo attacco NBA (per un decimo di punto non raggiunge le 3 cifre, 99,9 punti segnati ad ogni alzata).

Inoltre Memphis è la 14esima per percentuale dal campo, per rimbalzi totali catturati, per assist smistati. In medio stat virtus, più chiaro di così.

Certo è che giocatori di maggior (o minor) peso ci sono. E non solo perché da giovani portavano a spasso una trentina di chili di troppo (ogni riferimento a Marc Gasol non è puramente casuale). Il fratello di Pau difatti sta acquisendo sempre più consapevolezza e continuità di rendimento, le doti che gli mancavano per affermarsi definitivamente come una star del Gioco.

Quando metti insieme cifre e prestazioni balistiche come quelle messe in mostra dal catalano, difficile pensare che se ne possa fare a meno. Soprattutto in un attacco così mediocre (nell’accezione più positiva del termine, ormai è chiaro), al quale Marc riesce a dare due (se non tre) dimensioni.

Le qualità di passatore non sono mai state un mistero.

Il video è riferito a giocate delle passate stagioni, ma la sostanza anche quest’anno non è cambiata (secondo di squadra per assist totali dopo Conley) e l’intesa con Zibo è sempre più affinata. Passaggi spesso figli di conoscenza reciproca più che di schemi barocchi disegnati dal coach. 

A questo però il catalano ha aggiunto una qualità (e quantità) offensiva che sui parquet americani non aveva mai messo in mostra. Career High all’esordio stagionale, ripetuto poi anche a Boston e 30ello contro i Clippers. Per quel discorso iniziale sui riflettori, gli occhi di bue di tutte le emittenti giornalistiche sono (per forza di cose) puntati su di lui.

La prima azione d’attacco (minuto 0:30 della clip) è folgorante. Partenza da esterno puro contro Pekovic che scivola bene difensivamente, non concedendo penetrazione diretta al ferro. Ma il movimento di finta dello spagnolo manda letteralmente al bar 2 avversari e gli permette la “facile” conclusione. Uno dei canestri successivi (minuto 1:05) offre altri spunti.

Il fatto che Gasol possa segnare con continuità questo tipo di tiro apre un’infinità di opzioni per l’asfittico attacco dei Grizzlies. Pekovic gli lascia spazio (memore della penetrazione precedente), concedendo al lungo avversario la possibilità di passare sotto, aprire al giocatore in angolo libero, tirare, attaccare il ferro ecc ecc. Versatilità che, fatte le dovute proporzioni, garantisce anche Leuer in uscita dalla panchina.

Difesa (per tornare a quanto solamente accennato all’inizio dell’articolo). Terzi per punti concessi (92,4 a partita), sesti per % da 2 concessa (giocando costantemente con 2 lunghi, la protezione del pitturato diventa un mantra), primi per numero di liberi “subiti” (soltanto 15 a partita).

Numeri questi non certo nella media. Anzi. Perché l’identità difensiva è la base sulla quale costruire i successi, con Tony Allen (ma non solo) eccellente nella propria metà campo. E capace anche di movimenti Indiana “rondeggianti”.

Controllo del ritmo. Pace, per dirla all’americana. Concetto molto caro a Joerger, che saggiamente chiede ai suoi di non correre (ovviamente non concedendo facile transizione), di “aspettare” i lunghi, di giocare a più basso numero di possessi. 91,8 di media a partita, 23esimi in NBA.

Le solo 5 triple e mezzo realizzate di media a partita invece, sono il vero (enorme) tallone d’Achille della squadra, 27esima per tentativi con i piedi dietro l’arco ed in cerca di una dimensione offensiva accettabile dalla distanza. Alle note liete Lee e Conley difatti si affianca un roster in affanno, con Carter e Pondexter imputati principali (entrambi al di sotto del 30%).

La partita contro Sacramento però sembra essere di buon auspicio.

Riuscire a rimontare e vincere gare del genere è segno più che incoraggiante. Triple o non triple. Nonostante le rivedibili spaziature offensive e la parziale assenza di ritmo.

Difatti 13-2, questi sono gli unici 2 numeri che contano in questo articolo grondante di cifre. Per mettere a posto tutti gli altri c’è tempo, magari continuando ad accumulare W.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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