Categorie: Editoriali NBA

Quei giovani di buone speranze

Piccolo flashback: playoffs 2013, i Bucks hanno l’ottavo seed ad est ed incrociano al primo turno i neocampioni Heat. Sono sotto 2-0, poche le speranze per un capovolgimento della serie. A frenare ogni pronostico negativo, la dichiarazione di Brandon Jennings: ( che insieme a Monta Ellis, formava la coppia di esterni più solista  della lega. Per entrambi, lasciare Milwaukee è stato un toccasana per le rispettive carriere NDR)

“Dico che la chiudiamo in 6 gare”

La sfrontatezza di chi sa che sta per andare incontro ad un rovinoso cappotto di 4-0, ma va dritto nel “ciclone” Heat a testa alta. I Bucks escono di scena senza nemmeno registrare una W, oggi, di quel roster sono rimasti solo tre componenti, è cambiato il coach e il BMO center, l’arena di casa, non è mai stata così piena.

Sesti ad est, con un record di 30-23 ampliamente sopra il 50% di vittorie. Per arrivare al trend positivo di questa stagione non è bastato schioccare le dita. La ricostruzione è partita l’anno scorso con l’arrivo di Mayo e Knight a rimescolare le carte del back court, la scomessa greca (per ora vincente) dal Filathlitikos pescata alla numero 15 al draft del 2013, più una serie di role players da cui ricavare un buon impatto.

Ma, come per altre franchigie ad est, la stagione 2013-2014 è stata all’insegna del tanking per i Bucks, 15-67 il bilancio di vittorie-sconfitte al termine della Regular Season, penultimi per efficienza difensiva con 108.9 punti concessi su 100 possessi, non corrono, tirano male e in attacco si ha l’impressione che nessuno sia sincronizzato con i movimenti dei compagni, che avvengono un secondo prima o un secondo dopo. Allineando i puntini, il disegno che viene fuori è quello di una stagione propedeutica, di rodaggio per le nuove leve e di sconfitte per agguantare una lottery pick al draft, scelta conquistata e poi ricaduta su Jabari Parker.

Tuttavia, a differenza di altre franchigie ad est, l’anno di transizione ai Bucks ha dato i suoi frutti, vediamo quali sono stati.

Larry Drew viene esonerato dal ruolo di head coach, subentra Jason Kidd da Brooklyn, che nella stagione precedente ha dimostrato di essere più capace a guidare una squadra dentro che a bordo del campo. Dopo una partenza da 5 vinte e 5 perse e un dicembre ondivago, arriva la prima tegola: rottura del legamento crociato anteriore ( il più classico, ma anche il più lesivo degli infortuni in NBA) per Jabari Parker, out for the rest of the season. Proprio quando la seconda scelta assoluta stavo cominciando a sintonizzarsi sulle frequenze di gioco NBA. Un incidente che avrebbe dovuto azzoppare i Bucks, ma il numero ingente di possessi di Parker viene ridistribuito tra i pariruolo in squadra. E il primo a beneficiarne è Giannis.

The Greek Freak è evoluto sotto ogni aspetto tecnico: raddoppiata la media di punti a partita( da 6.8 a 12), più incisivo a rimbalzo( ne cattura 6.6 a gara),migliorato anche in veste di passatore:

qui non rinuncia ad attaccare spalle a canestro Bogdanovic

ma la difesa dei Nets è talmente collassata sotto che perdono Gutierrez , prontamente servito da Giannis.

L’upgrade più pauroso, alla luce dei 2.11 m di altezza, è quello fatto sul trattamento di palla. Vederlo condurre un coast-to-coast con la proprietà di palleggio di una point guard e servire i compagni passandola schiacciata al millimetro, fa venire la pelle d’oca. Non è un caso, se Jason Kidd ha deciso di schierarlo per qualche minuto da playmaker.

Ma è nella propria metà campo che Giannis dà il contributo più sostanziale. La sua mobilità laterale gli consente di difendere sia sulle guardie che sulle ali. I Bucks, in difesa, eseguono spesso una zona match up in cui Giannis ha il ruolo chiave di muoversi sul perimetro e marcare a uomo su chi ha la palla, ma di scalare anche sotto se la palla arriva ai lunghi e c’è la possibilità di un raddoppio. La match up serve per confondere le idee all’attacco, perché mescola insieme aspetti della zona e della difesa a uomo.

Questo set difensivo, ai Bucks funziona così bene (concedono agli avversari soltanto 99.7 punti a partita, seconda miglior difesa della lega) anche per via del roster atipico. Non hanno veri centri di stazza, Sanders ed Henson sono 2.10 m , ma dispongono di esterni oversize: vedi il caso estremo di Giannis, che è 2.11 m and counting, Jared Dudley, 2 m di guardia tiratrice -schierato da coach Kidd anche da 4 per allargare il campo e poter sfruttare il suo tiro da fuori- Parker e Middleton entrambi più ali che guardie, sopra i 2 m. Vanno piccoli, specialmente sotto canestro e a rimbalzo, ma sono così agili ed aggressivi da forzare gli avversarsi ad una palla persa o ad un passaggio affrettato. Infatti, dall’ottima pressione sul perimetro, i Bucks realizzano 15.6 punti a partita in contropiede( quarti in NBA in questa specifica categoria) e 19 punti di media su palle recuperate.

Lopez accerchiato da Bayless e Ilyasova, andrà vicino alla palla persa e sprecherà secondi preziosi

Di conseguenza, quanto fatto di buona nella propria metà campo, si traduce in positivo anche nell’altra. Il 15.8 % dell’attacco dei Bucks viene eseguito in transizione e finalizzato con il 60% dal campo. I Bucks spendono 16.8 possessi a partita correndo in transizione offensiva e il 56% delle volte realizzano almeno 1 punto.

Gli attriti in attacco della scorsa stagione sono stati sciolti abbassando il quintetto, giocando dentro-fuori con un solo lungo in campo e tirando meglio da tre. Certo, poter disporre di un barely all star come Brandon Knight( ceduto ieri sera  ai Suns nella trade che ha portato Michael Carter Williams, Miles Plumlee e Tyler Ennis a Milwaukee) in cabina di regia e di un sesto uomo di lusso come O.J. Mayo, aiuta ad alzare il ritmo offensivo. Solo da questo mese hanno seriamente accelerato il passo, collezionando prima della pausa dell’ All Star Game 5 vittorie in 6 gare, anche contro squadre temibili e potenziali avversari al primo turno dei playoff come i Raptors.

Un dato curioso che rispecchia l’identità dell’attacco di Milwaukee è il numero di punti registrato nel primo quarto di gioco, sempre basso, spesso in svantaggio, quasi ad indicare un costante inizio di gara in sordina per i Bucks. Con 23.9 punti nel primo periodo di gioco( 11° peggior primo quarto della lega), il sistema di Kidd è come un diesel che impiega più di 12 minuti di tempo per carburare

I Bucks faranno i playoff, come due stagioni fa, ma arriveranno alla postseason con un record più dignitoso e un core strutturato. Un primo turno contro i Bulls o i Wizards darebbe comunque Milwaukee come squadra sfavorita per il passaggio alle semifinali di conference. Non hanno la stessa profondità a rimbalzo delle altre due, inoltre, a pregiudicare un eventuale avanzamento aggiunge la lista infortuni, di cui fanno parte:

– Jabari Parker, fuori per il resto della stagione

– Larry Sanders, fuori a tempo indeterminato per motivi personali e molto vicino al rilascio

– Damien Inglis, fuori a tempo indeterminato

– Jerryd Bayless , in dubbio per venerdì 20 febbraio contro Denver

Esclusi gli ultimi due, che dovrebbero rientrare nel breve periodo, l’assenza o addirittura la possibile partenza di Sanders crea un abisso alla voce big man. Senza un vero rim protector è difficile fare strada ai playoff, anche se proprio gli Heat, che nel 2013 asfaltarono Milwaukee 4-0, hanno dimostrato il contrario.
Giocare small ball è vincere anelli è possibile, per i Bucks il percorso verso quella direzione è ancora lunghissimo, ma in campo aperto divertono, hanno un organico ultra giovane( età media 23 anni) e sono finalmente tornati competitivi. Poi, se come Reggie Evans ve lo state chiedendo, il greco che ha partecipato alla gara delle schiacciate lo scorso sabato ha solo 20 anni.

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Pubblicato da
Pietro Caddeo

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