Immaginate un normale orologio, con le lancette che segnano ore e minuti e un quadrante rigorosamente analogico. Ora al posto dei numeri, inserite le date più importanti del calendario NBA. A questo punto dovreste visualizzare la lancetta delle ore che punta verso il 18 aprile, domani, l’inizio dei playoff.
Anche il Rolex di Lebron indica che manca poco. L’orologio degli Spurs, con le ore in numeri romani e un’antica cassa in legno, ha invece appena ripreso a scandire il tempo.
Alcuni giocatori sono alla loro prima apparizione e stanno ancora decidendo il cinturino, il modello e la marca dell’orologio più adatto per sincronizzarsi a questo appuntamento.
Per altri è solo routine, qualificati per la 16° volta consecutiva, non hanno più segreti di manutenzione. Sanno come regolare i loro orologi per non arrivare mai in ritardo o in anticipo, per prevenire i guasti e per essere a pieno regime nel momento giusto, quasi a voler rallentare l’ invecchiamento, guardando già alla seconda ora: le Finals.
Ecco, ora immaginate tre membri della redazione di NBAReligion che, alla vigilia dei playoffs, tentano di escogitare un modo simpatico e diverso dal solito per dare il bentornato al periodo – cestisticamente parlando – più bello dell’anno. Non ce n’è stato per nessuno: l’esame di maturità, le fidanzate, gli amici… Tutto è passato in secondo piano fino a che non è stato partorito questo lungo articolo, con l’ausilio tecnico di un altro membro della redazione, Cosimo Sarti e di Giuseppe Bruschi (aka Bruce), Presidente Supremo (da leggersi esclusivamente con la voce di Ugo Fantozzi) di Pick&Goal. L’intento non è quello di profetizzare il finale della stagione, né tantomeno quello di fare i simpaticoni a tutti i costi. E’ un esperimento che – speriamo – vi strappi un sorriso, coscienti che qualsiasi dichiarazione o frase di questo pezzo è del tutto frutto delle menti (depravate, senza dubbio) degli autori. I riferimenti sono del tutto voluti, ma senza alcun intento di offendere. Bene, le premesse sono state snocciolate tutte.
E ora, come direbbe Enrico Papi… MOOOSECA.
EASTERN CONFERENCE
CHICAGO BULLS
I Chicago Bulls sono al punto di volta della loro avventura con Tom Thibodeau: win or go home. Troppe cose sono andate storte dopo il 2011, punto massimo della gestione-Thibs, coincisa con l’arrivo alle finali di conference. I molteplici infortuni a Derrick Rose (e a tutto il resto del roster, a volte con i Bulls costretti a giocare alcune partite addirittura con le rotazioni ridotte a otto uomini) hanno condizionato le ambizioni di titolo della squadra della Windy City, ma quest’anno doveva essere #lavoltabuona (ok, non si parla di politica, ma questa era servita su un piatto d’argento). Tuttavia, così non è stato: i Bulls hanno alternato momenti di grande basket a buchi neri in cui la squadra si è persa e ha raccolto figure… Non decorose. Da aggiungere al quadro poi le tensioni tra head coach e front office si fanno di giorno in giorno più irreparabili: secondo Nick Friedell, insider di ESPN, a meno di una favolosa cavalcata nella post-season, alla fine di questa stagione le strade dei Bulls e di Thibs si divideranno. Non si sa quanto ci sia di vero, ma tant’è. Quest’anno, come si diceva, la squadra era costruita per vincere, ma gli irreparabili problemi di salute sono sopraggiunti e hanno complicato la corsa dei Bulls: basti pensare che Thibodeau ha potuto disporre dell’intero quintetto titolare in appena 23 occasioni (il record è 18-5, per gradire). E ora? C’è bisogno di qualcosa di speciale per riuscire a prevalere sui Milwaukee Bucks prima e poi sulle altre corazzate della Eastern Conference, Cleveland Cavaliers (ancora voi!) e Atlanta Hawks. Thibodeau è chiamato a dare una prova della sua bravura: la squadra è talentuosa, può disporre di un Nikola Mirotic decisamente ON FIRE e – dopo tre anni – Derrick Rose è finalmente arruolabile. Finals, here we go?
Thibodeau, onestamente: ci sono più possibilità che lei riesca ad ottenere un appuntamento con Kate Upton di quante ne hanno i Bulls di vincere il titolo?
“Uscire con Kate Upton e vincere una partita di playoffs è la stessa cosa. Non ci sono scorciatoie, niente trucchi, come dico sempre ai miei ragazzi “la magia sta nel lavoro”. Devi sapere qual è il tuo compito e portarlo a termine, abbiamo più di quel che serve per vincere. I tre fattori fondamentali per avere successo sono: poche palle perse, rimbalzi e second efforts in difesa: se saremo bravi in questi tre aspetti riusciremo a portarci a letto Kate Upton. E anche ad arrivare in finale. Abbiamo avuto molti infortuni in stagione ma il problema vero è la difesa. “Next man up” come dico sempre, non possiamo pensare agli assenti, dobbiamo concentrarci sulla difesa! E’ sempre la difesa il problema! Devo dire che siamo migliorati, a inizio stagione mi svegliavo tutto sudato urlando “RIVOGLIO BOOZ” perchè facevo incubi sulla difesa del pick’n’roll con Brooks e Gasol in campo”.
Come ha deciso di gestire Derrick Rose? Quali sono le difficoltà nell’avere un giocatore come lui a roster, da cui dipendono le sorti della squadra?
Beh, fare il gameplan con derrick è molto più divertente, posso concentrarmi sulla difesa (ho già detto che non difendiamo abbastanza bene?) e io adoro la difesa. Sarò ripetittivo quando parlo della difesa, ma senza difesa non si vince. Dobbiamo difendere di squadra, aiutarci, comunicare! Tornando a derrick, l’unica differenza è che abbiamo un giocatore in più che deve difendere e spingere le penetrazioni verso il fondo. Mi han detto che è bravino anche in attacco, anche se io non l’ho mai visto perchè guardo solo la metà campo in difesa e quando attacchiamo penso alla prossima difesa. E se vinciamo, gliela faccio vedere io a quei fighettini della dirigenza…
MILWAUKEE BUCKS
Dopo una stagione infernale, il sole dei playoffs torna a splendere sopra il Bronze-Fonz, nella movimentat(issim)a città di Milwaukee. Diciamoci la verità: in quanti credevano nella squadra di Jason Kidd ad inizio anno, dopo il disastro dell’anno scorso e le vicissitudini aziendali interne alla franchigia che hanno visto l’ex head coach dei Brooklyn Nets subentrare in modo quantomeno poco simpatico a Larry Drew? Eppure. Eppure la squadra ha iniziato a difendere fortissimo, raccimolando 41 vittorie e mettendo alle strette gli avversari con quintetti poliedrici e – nonostante l’infortunio di Jabari Parker e la cessione di Brandon Knight – hanno conquistato l’accesso alla post-season, dove se la vedranno con i Chicago Bulls. Simbolo di questi Bucks è senza dubbio Giannis Antentokounmpo, un concentrato pazzesco di talento e futuribilità che già quest’anno qualcosina ha fatto vedere. Ma il bello viene ora – anche perché tra i Bulls c’è anche Taj Gibson che deve vendicare… questo.
Giannis, come arrivi a questi playoff?
Bene, coach Kidd dopo avermi fatto stare una partita in panchina senza motivo apparente, mi ha insegnato a fare la faccia cattiva, così che quando posterizzo qualcuno (non preoccupatevi: chiunque voi siate, state tranquilli che un giorno vi troverò e vi schiaccerò in testa) posso sembrare ancora più cattivo. Stink face, mode on.
Sì, sei decisamente tu The Greek Freak. E per il resto, come ti senti a Milwaukee? La tua storia…
No ecco, alt, calma. Ti fermo subito perché onestamente non ne posso più: io so qual è la mia storia personale e sono un po’ stufo che venga tirata fuori in ogni intervista. Non guardo con dispiacere a quanto mi è successo: ora ho una missione, tutto quello che ho passato mi ha aiutato ad avere più killer instict. Quindi ecco, se si evitasse di parlarne ogni volta che metto piede in campo…
Bé, ora vi aspettano i Bulls. Qual è il tuo desiderio per questo esordio ai playoffs?
Vincere. Magari non arrivare al palazzetto di corsa. Difendere fortissimo e… I Bulls perdono molti palloni in attacco, no? Bene, voglio schiacciare in testa a qualcuno conducendo il contropiede. Tanto a me basta poco per arrivare di là.
ATLANTA HAWKS
Le sapienti mani di coach Budenholzer hanno plasmato la squadra con il secondo miglior record della lega. Vero, sono nella Eastern Conference, ma quello che hanno fatto resta in ogni caso una delle cose più belle di questa stagione. Approfittando della ricerca della felicità dei Cavs, gli Hawks hanno raggiunto la vetta dell’Est, esprimendo un gioco piacevole e soprattutto concreto. La presa di coscienza da parte dei componenti del roster e il sistema strutturato sulle capacità di ogni elemento hanno esaltato un mercato troppo spento da sempre, che ora si confronta da favorita con la post-season che conta. Ci sono state tante polemiche di varia radice, ma il GM Danny Ferry ha messo su una macchina pronta alla battaglia.
Cosa pensa un GM vedendo una squadra così forte da sorprendere tutta la lega?
Se almeno mi facessero entrare al palazzo…
Nel mese di gennaio il quintetto Hawks ha condiviso il premio di giocatore del mese, cosa mai successa nella storia NBA. Vorrei chiedere a tutta la squadra, chi è la superstar del gruppo?
…
CLEVELAND CAVALIERS
L’apice della stagione dei Cavs si può riassumere in due foto, scattate subito dopo la vittoria per 127-94 contro i Mavs, il settimo successo nelle ultime dieci partite giocate tra fine febbraio e metà marzo. Lebron decide che è giunto il momento di dare un segno tangibile di questo trend positivo, quasi a sancire una trait d’union anche fuori dal campo. Su Instagram, il primo scatto ritrae la squadra al completo, in volo verso San Antonio per continuare la trasferta texana, la seconda vede Lebron in compagna di JR Smith e la didascalia sottostante che recita:
“Siamo qui per restare e con uno scopo”
Ironico, per due giocatori che a fine anno avrebbero la player option per decidere di tornare a Cleveland la prossima stagione o diventare free agents questa estate. Ma il messaggio vorrebbe far passare proprio il contrario, che nessuno dei due attualmente, sta pensando ad altri lidi al di fuori di Cleveland.
In Marzo, i Cavs hanno avuto il secondo migliore attacco della lega( 111 punti segnati su 100 possessi, dietro solo agli Spurs), i nuovi giocatori si sono integrati pienamente nella Princeton di Blatt e un redivivo Lebron tornato in modalità caterpillar, di nuovo dentro al discorso MVP che in questa stagione,però, vede rivali più quotati di lui.
Chiediamo direttamente e JR, arrivato dai Knicks il 4 gennaio, come si è trovato in questi 3 mesi e mezzo ai Cavs e perché pensa che “si stia divertendo più qui, che in qualsiasi altra squadra sia mai stato”.
Dal fascino metropolitano della Grande Mela, all’ambiente più suburbano di Cleveland, il passo è grande. Lo sai, vero, che non ci crede nessuno che ti “diverti” di più in Ohio?
Lo ammetto, le luci di New York mi mancano. Essere sempre sotto i riflettori, andare nel privè with my homies Carmelo e Amar’e, calcare ogni sera lo storico parquet del Madison Square Garden, il parterre con i VIP, Rihanna…(pausa)…Sono tutti ricordi che porterò con me, ma il mio futuro è qui, a Cleveland. Dove non ho molte distrazioni e posso pensare solo ed esclusivamente alla pallacanestro, che mi diverte di più di una qualsiasi serata in discoteca. Ed essere nella stessa squadra di Lebron, trascorrere del tempo insieme dentro e fuori dal campo, è decisamente meglio di come avrei immaginato”
Sei uno dei più efficaci gregari NBA, da dietro l’arco hai il 41% di realizzazione, ai Cavs hai tentato più tiri da fuori che da dentro l’area. Cosa ne pensi di questa evoluzione del gioco che vede un maggiore utilizzo dei tiri da fuori? E cosa è cambiato rispetto alla realtà dei Knicks?
A Cleveland mi sono trovato da subito bene perché ho compagni che sanno come e quando servirmi. Ad esempio Lebron, sa che preferisco tirare dall’ala destra anziché dagli angoli. Io e Kevin abbiamo questa funzione, tenerci liberi come bersagli primari degli scarichi di Lebron e Kyrie. Non è stato facile integrarsi nel sistema di coach Blatt, perché a New York…(pausa)… Scoppia in lacrime*
Qualcosa non va, JR?
Troppi ricordi, sto male, rivoglio Rihanna, sopra di me. Si ricompone* Perché a New York avevo molti più possessi, ero la seconda opzione offensiva dopo Melo e non c’era la stessa disciplina che ho trovato con Blatt. Mi piace la direzione che sta prendendo il Gioco, sono sempre stato un buon tiratore da fuori e se le triple diventano di anno in anno più importanti, la mia carriera è destinata ad allungarsi.
WESTERN CONFERENCE
DALLAS MAVERICKS
I Dallas Mavericks, ad inizio anno, erano una squadra offensivamente devastante. Monta Ellis e Dirk Nowitzki giocavano un pick’n roll calibrato al millimetro e l’arte di attaccare era portata ai massimi livelli. Poi c’è stata la possibilità di arrivare a Rajon Rondo e il vulcanico Mark Cuban non ha perso l’occasione di imbastire un quintetto All-Star: Rondo, Ellis, Parsons, Nowitzki e Chandler è un quintetto tanto intrigante quanto da testare. E le difficoltà non sono mancate: per sua stessa ammissione, Rondo non difendeva da un paio d’anni. Le percentuali al tiro dell’ex Celtics sono inoltre scese drasticamente (soprattutto ai tiri liberi) e si sono paventate le prime difficoltà con Monta Ellis, oltre a qualche problema con il coach della squadra, Rick Carlisle. Insomma, era tutto pronto per un’esplosione del gruppo ma… I Mavs sono arrivati ai playoffs e giocheranno contro una squadra… particolare, per i tifosi dei Mavs. Non è mai corso buon sangue tra loro e gli Houston Rockets del GM Daryl Morey, le cui teorie sul basketball lo hanno portato a diversi scontri proprio con il proprietario dei Mavs, Cuban. Ma non solo: i due si sono scontrati anche durante la free-agency (leggasi Howard e Parsons) e non perdono occasione di rimarcare le differenze del loro stile di gioco. Questa sarà la resa dei conti.
I tuoi Mavs arrivano ai playoffs per la dodicesima volta in quattordici anni. Com’è stato possibile questo?
Bé… fondamentalmente, perché noi non siamo i Lakers. Ho già detto che spero che i gialloviola soffrano parecchio e per tanto tempo? Ehm, scusate, talvolta mi lascio prendere dall’impeto della competitività. In realtà io sono un uomo molto calmo, vivo benissimo la tensione. Potete guardare voi stessi…
Giocare contro i Rockets, vuol dire confrontarsi con il Morey-Ball. Qualche volta vi siete scontrati, ma come sono ora i vostri rapporti" layout="responsive" width="640" height="360">
di Marco Lo Prato, Claudio Silvestro e Pietro Caddeo