Tornano i playoff, e tornano dunque anche le pagelle targate NbaReligion. Cominciamo dalla prima gara della serie all’apparenza meno equilibrata della Western Conference, quella tra Warriors e Pelicans, vinta dai primi con qualche affanno nel finale: difficoltà dovute a un giocatore totalmente fuori dal comune come Anthony Davis, accesosi forse troppo tardi ma con cui i Warriors dovranno fare i conti per l’intera serie.
GOLDEN STATE WARRIORS
Stephen Curry: 8.5. Lui e Harden, i due sostanziali “finalisti” nella corsa all’MVP, hanno giocato due rispettive stagioni egualmente straordinarie, ma si vede che Steph ci tiene particolarmente, e lancia l’ennesimo segnale a chi a breve avrà l’ingrato compito di dare un voto tra questi due fenomeni. I numeri sono eccezionali come sempre (34 punti, 4 rimbalzi e 5 assist), ma dicono pochissimo della leadership e della sua importanza in campo per la squadra: accende l’Oracle Arena con le sue giocate impossibili, quando viene raddoppiato sul pick’n roll trova sempre il passaggio in uscita generando puntualmente un buon tiro (in particolare per il fido Draymond Green). Quando l’uragano Davis si abbatte sui suoi compagni, ormai certi della vittoria, e rischia di distruggerne le certezze, Kerr lo reinserisce e il suo solo carisma porta all’allungo definitivo.
Draymond Green: 8. L’avevamo detto: attenzione, il buon Draymond, al di la degli ovvi Splash Brothers, potrebbe essere la chiave tattica e l’uomo in più anche in questa serie. Detto fatto: annulla splendidamente per 3 quarti un giocatore dal talento nemmeno comparabile al suo come Davis, e in attacco il suo pick’n roll o pick’n pop con Curry rimane dilemma insoluto per Monty Williams; quando non trova in prima persona il canestro si improvvisa addirittura assistman pescando puntualmente l’uomo libero sugli scarichi o in taglio, non andando così molto lontano da una clamorosa tripla doppia (15 punti, 12 rimbalzi e 7 assist). Era arrivato nella Lega come versatile specialista difensivo, poi si è costruito un tiro sugli scarichi molto più che affidabile e ora diventa pure all around player: imprescindibile, il segreto ormai nemmeno troppo celato della fuoriserie di Steve Kerr.
Andrew Bogut: 7.5. Solito, impagabile lavoro difensivo a protezione del pitturato, fondamentale per dare poi il via alla letale transizione dei Warriors, oggi la prima scelta assoluta del 2005 si improvvisa anche finisseur nei pressi del ferro (12 punti con 6-8, a cui aggiunge 14 rimbalzi), stravincendo la sfida con un lungo dalle caratteristiche simili come Asik. Bravo anche in aiuto sull’osservato speciale Davis, che fatica così a mettersi in ritmo per 3 quarti; altro elemento poco sotto i riflettori ma dal lavoro oscuro impagabile per Kerr.
Klay Thompson: 6.5. Di certo non la miglior gara in carriera del “fratello” di Steph: litiga spesso col ferro, sbagliando conclusioni anche piuttosto semplici per uno come lui, e rischia addirittura la frittata con un incredibile 1/4 ai liberi nel finale, quando New Orleans con un po’ di fortuna poteva forse compiere il miracolo. Ma ha la sinistra capacità di accendersi in un secondo anche in serate come questa: un tiro qui, una tripla la, una schiacciata di qua, e alla fine sono comunque 21 per Klay, silenziosi ma importantissimi. La sua sola presenza ovviamente incute timore creando spazio per i compagni, anche quando tira 6-17 con 5 perse.
Harrison Barnes: 6.5. Ottimo avvio del prodotto di North Carolina, valorizzato quest’anno da Kerr dopo una stagione non facile. Suona la carica son due bombe in rapida successione, si fa sentire a rimbalzo (8 carambole catturate) e anche nei pressi del ferro. Cala alla distanza, ma porta certamente il suo contributo al primo successo nei playoff 2015 dei suoi Warriors.
Andre Iguodala: 6. Solito enorme contributo difensivo e di energia dalla panchina, litiga un po’ col ferro soprattutto dalla lunga tirando anche un paio di clamorosi mattoni e subendo addirittura l’hack-a-Iggy nell’ultimo quarto, ma lotta come un leone in difesa e a rimbalzo e crea molto per i compagni con la sua esperienza. Sesto uomo extra-lusso, che non può mancare nei roster di chi ha ambizioni molto importanti.
Shaun Livingston: 5.5. Gioca solo 13 minuti, non riuscendo a sfruttare i mismatch inevitabilmente creati dalla sua maggiore fisicità rispetto agli esterni avversari. L’anno scorso a Brooklyn giocò dei playoff eccellenti, tornerà sicuramente utile anche in California.
Leandro Barbosa: 5. Tanta energia, tanta volontà e voglia di fare bene, ma veramente troppe conclusioni comode al ferro sbagliate, e nemmeno la consolazione della convalida del bel canestro sulla sirena del secondo quarto (effettivamente fuori tempo massimo). Non paga dazio stavolta, ma a questi livelli non ci si può permettere sempre certi errori.
NEW ORLEANS PELICANS
Anthony Davis: 8. Impatto iniziale non facile con i playoff per il gioiellino da Kentucky: i Warriors scelgono di concedere molto agli esterni sui pick’n roll per raddoppiarlo e non lasciargli i letali tagli in area in cui diventa immarcabile. Tenuto quasi sempre fuori dal pitturato per 3 quarti, in cui fatica a trovare ritmo e continuità anche per qualche problema di falli, esplode fragorosamente in un ultimo quarto impressionante, in cui guida sostanzialmente da solo una rimonta dal -20 abbondante di fine terzo periodo, e per poco non la completa pure. Mette a referto 20 dei suoi 35 punti (tra le migliori prestazioni realizzative di ogni epoca all’esordio ai playoff) solo in questa frazione conclusiva, dimostrando quanto possa potenzialmente diventare un problema insoluto per la difesa dei Warriors. Al momento pecca ovviamente un po’ di esperienza e malizia, ma a 22 anni e con questi mezzi Dio ci aiuti nel momento in cui arriveranno anche quelle…
Quincy Pondexter: 7.5. Ottima prestazione per Q-Pon, che dopo un anno di sostanziale pausa forzata a causa di un grave infortunio conferma nuovamente il suo feeling con i playoff dopo l’ottima post season del 2013 in quel di Memphis. Specialista difensivo, ha l’ingrato compito di stare sulle tracce di Steph Curry e riesce solo a tratti a limitarne le soluzioni con la maggiore altezza e le braccia lunghe, ma dà il meglio in attacco, giocando senza paura con l’esperienza di chi ha già giocato anche una finale di Conference: 20 punti alla fine per l’ex Grizzlies, a cui aggiunge 9 rimbalzi, 6 assist e la perla del buzzer da centrocampo sulla sirena del terzo quarto che suona la carica ai suoi per la rimonta dell’ultimo periodo.
Eric Gordon: 6. Sì, alla fine segna 16 punti ed è sempre un pericolo dall’arco (4-7), ma gioca troppi isolamenti e pare spesso estraniato da una squadra che, giustamente, cerca i giochi a due che coinvolgano il Monociglio e non certo gli 1 contro 1 degli esterni. Elemento certamente importante, tra i pochi ad avere punti nelle mani oltre a Davis, dovrà maggiormente adattare il proprio gioco alle esigenze della squadra e sacrificarsi di più in difesa, specie in una serie in cui si trova di fronte un back court devastante: in gara 1 ci è riuscito solo in parte.
Omer Asik: 4.5. Un fantasma. Spesso sacrificato anche per esigenze tattiche (contro il quintetto piccolo dei Warriors i Pelicans non possono permettersi a lungo l’assetto coi due lunghi di ruolo), non è che nei 22 minuti in campo combini granché oltre all’ordinaria presenza a rimbalzo, e Bogut può così battezzarlo tranquillamente per aiutare sul ben più pericoloso Davis. L’impressione è che in una serie come questa con le proprie caratteristiche possa risultare più un peso che una risorsa.
Tyreke Evans: 5. Sfortunatissimo, abbandona la prima gara di playoff in carriera dopo soli 12 minuti per un problema al ginocchio, l’ennesimo infortunio in una stagione piuttosto nefasta per i Pelicans da questo punto di vista. In realtà in questa gara la sua assenza si nota poco, visto che in quel periodo in campo non si vede praticamente mai, ma è un giocatore cruciale di questa squadra, in grado di segnare ma anche di giocare molto per i compagni e per Davis in particolare (6.6 assist in stagione, career high): sarà dunque importante recuperarlo se New Orleans vuole avere qualche speranza in più con questi Warriors.
Norris Cole: 6. Chiamato agli straordinari visto l’infortunio di Evans e le condizioni ancora molto lontane dalla forma migliore di Holiday, il play ex Miami porta in campo la sua già ampia esperienza ai playoff maturata alla corte di Lebron James: segna qualche punto, smazza qualche assist, non perde nemmeno un pallone, ma non incide nemmeno in modo così determinante sul match e anche le percentuali al tiro sono rivedibili. Né infamia né lode, ma se Evans non dovesse farcela servirà un apporto molto maggiore anche da parte sua.
Alexis Ajinca: 7. Solamente 4 minuti in campo e 6 punti realizzati (3/3): altissimo, buon tocco in area, ma anche molto mobile e in grado di concludere al ferro sugli scarichi. Molto più positivo di Asik, forse Williams dovrebbe provare a concedergli più spazio proprio ai danni del turco.
Jrue Holiday: 5. L’ombra del play di bellissime speranze ammirato a Philadelphia. Certo, è rientrato da pochissimo da un lungo infortunio e la forma è lontanissima da quella migliore, ma questi sono i playoff e si decide la stagione, e dovrebbe quindi provare ad essere più incisivo visto l’importante ruolo che ricopre nella squadra di Monty Williams: prova a mettersi in ritmo con qualche assist e segna anche tutti i 5 punti della sua gara in due azioni consecutive avviando la rimonta dell’ultimo periodo, ma rimane un po’ pochino per un giocatore del suo talento, seppur con tutte le attenuanti del caso.
Ryan Anderson: 4.5. Unico elemento di grande esperienza ai playoff con Cole e Pondexter, giocati peraltro da protagonista in quel di Orlando, sarebbe importantissimo tatticamente per aprire il campo per le incursioni di Davis in area, ma prosegue il leitmotiv della stagione che l’ha visto chiudere con la peggior percentuale dall’arco in carriera (34%): in questa prima gara di playoff prende solo 2 triple mandando a bersaglio la prima con spazio, ma chiude comunque con 1/6 e non si vede praticamente mai, né dall’arco né in area. Altro giocatore chiamato a portare un contributo ben maggiore alla causa di Monty Williams.
Dante Cunningham: 5.5. Difende, va a rimbalzo, si sbatte, ma può poco contro avversari di talento infinitamente superiore. Apprezzabile la buona volontà, ma pare un role player sovrautilizzato per l’assenza di Evans che fa fatica a stare in campo proficuamente a questi livelli.