Dopo una gara di grande sofferenza contro degli ottimi Pelicans, i Golden State Warriors escono vincitori dallo Smoothie King Center di New Orleans ipotecando la serie giunta ormai sul 3-0; nessuno infatti nella storia ha mai ribaltato uno svantaggio di 3 lunghezze ai playoff, ma in fondo nessuno prima di questa notte aveva mai rimontato 20 punti nel solo ultimo quarto. Il problema per i Pelicans è che se in questa serie c’è una squadra in grado di riscrivere record, per quanta buona volontà ci mettano e abbiano messo anche in questa gara, probabilmente non sono loro.
NEW ORLEANS PELICANS
Anthony Davis: 8. Altra super prestazione del gioiello dei padroni di casa, che chiude anche stanotte con 29 e 15 rimbalzi risultando come al solito sempre pericoloso. Ma pecca ancora d’inesperienza e in una gara come questa la paga cara: quando infatti la pressione sale a mille e i Warriors iniziano ad alzare l’intensità e a credere nella rimonta, lui non sale di livello allo stesso modo. Non scompare, batte qualche colpo, ma sono proprio in questi casi che la squadra ha più bisogno del suo leader mentre lui segna un solo canestro dal campo nell’overtime, faticando troppo su un avversario molto più piccolo come Thompson e sbattendo contro l’enciclopedica difesa di Bogut sul possesso del possibile pareggio. L’esperienza non è innata e non gli si può certo fare una colpa, ma macchia in parte una gara altrimenti sublime come sempre.
Tyreke Evans: 7. Buonissima gara dell’ex Kings, che nei primi tre quarti propizia l’allungo e guida emotivamente i suoi con ordine e leadership, attaccando bene il ferro e cercando un po’ a sorpresa una transizione inusuale per la sua squadra, che coglie impreparati i Warriors. Peccato che a sua volta scompaia un po’ col salire dei Pascal nell’ultimo quarto e nell’overtime.
Eric Gordon: 4. Inizia subito con una bomba, ma sarà la più classica delle rondini che non fanno primavera: la spalla designata di Davis fatica tantissimo in attacco (2/10 e 1/6 da 3), pagando come sempre dazio in difesa, risultando addirittura deleterio: l’immagine della sua gara è in due azioni dell’overtime, quando prima si fa battere da Green in penetrazione (non esattamente un fulmine di guerra e ben più grosso e lento di lui) spendendo anche un fallo inutile per il libero supplementare, poi, dopo aver provato a smuoversi con un bel long-two, scheggiando il ferro con una tripla avventata per provare a riaprire la gara. Per quanto possieda la classe per potersi accendere in qualsiasi momento, in serate come queste diventa quasi un peso.
Quincy Pondexter: 5. In attacco dopo gara 1 si è spento e anche oggi si vede pochissimo, in difesa gli esterni dei Warriors gli fanno vedere i sorci verdi. Anche lui si salva finché la squadra gira e ha la partita in pugno, ma scompare completamente nel momento di difficoltà.
Omer Asik: 4.5. Media invariata per il centro turco, anche oggi impalpabile. Come al solito è presente a rimbalzo ma in attacco è totalmente abulico, non riuscendo a concludere nemmeno quando riceve nei pressi del ferro.
Ryan Anderson: 8.5. Finalmente il Mr. Hyde delle prime due gare torna ad essere il Dottor Jekill ammirato a Orlando e sul quale New Orleans punta parecchio. Carico e motivato, tiene per lunghi tratti in scacco la difesa dei Warriors coi suoi tiri chirurgici (10/14 e 2/3 da 3 per 26 punti totali), andando spesso e volentieri anche in isolamento dal post medio senza che nessun difensore avversario riesca a contenerlo. Non contento, piazza anche una bomba pesantissima nell’overtime, forse l’unico canestro che dia un po’ di energia a una squadra nel panico più totale dopo l’incredibile rimonta subita: non basta e i suoi cadono comunque, ma dimostra quanto sarebbe cruciale tatticamente un suo apporto importante per mettere in grossa difficoltà i Warriors.
Norris Cole: 7.5. Altra gara da incorniciare per il play ex Miami, che sta continuando a salire di colpi in questa serie. Entra con voglia e piglio giusto, attacca il ferro, trova la retìna dalla lunga e contribuisce fortemente a creare il divario che i Pelicans terranno per quasi tutta la gara. Viene risucchiato nel crollo finale dei suoi, ma è uno di quelli che ha meno colpe giocando molto meno in questi frangenti.
Jrue Holiday: 6.5. Dopo il DNP di gara 2, l’ex All Star di Phila non resta in campo molti minuti ma sopperisce con una buona qualità, a tratti degna dei tempi migliori, contribuendo a sua volta a creare il solco soprattutto nella prima metà di gara. Segnali interessanti, anche se ormai probabilmente non recupererà pienamente prima che la serie sia finita: un peccato, perché per i Pelicans il miglior Holiday avrebbe fatto parecchia differenza.
Dante Cunningham: 6.5. Tantissima energia, tanta presenza, tanta voglia di dare un contributo per la vittoria della propria squadra. Role player dai mezzi limitati ma dal grande cuore, partecipa alla festa mentre i Pelicans girano che è una meraviglia, poi non è certo l’uomo che possa raddrizzare la piega presa dalla gara.
Monty Williams: 6.5. La sufficienza è dovuta perché nei primi 3 episodi della serie la sua squadra ha sempre giocato meglio della precedente, segno che di accorgimenti ne ha fatti. Anche in questa gara 3 i suoi attaccano molto bene con un’ottima circolazione di palla, ma sono bravi soprattutto a sorprendere i Warriors con l’inedita transizione, cogliendoli più di una volta totalmente scoperti per la schiacciata in solitaria. Ma poi vede inerte la propria squadra sciogliersi come neve al sole non appena gli avversari alzano l’intensità e provano il tutto e per tutto: i Pelicans vanno totalmente nel pallone soprattutto da un punto di vista mentale, lui tatticamente può poco ma non riesce a scuotere i propri giocatori e finisce col perdere anche una gara dominata per 3 quarti. Ora dovrà ricostruire le residue energie mentali della squadra andate in frantumi dopo una sconfitta del genere per provare a salvare almeno la faccia.
GOLDEN STATE WARRIORS
Stephen Curry: 9.5. Spaventoso, addirittura più da un punto di vista caratteriale che prettamente tecnico: i suoi patiscono le pene dell’inferno nell’infuocata arena di New Orleans e vanno rapidamente in svantaggio in doppia cifra, non trovando più il canestro tra primo e secondo quarto e subendo spesso parziali a sfavore. Ma ogni volta lui c’è a tenere lì l’intera squadra, con un assist, un finger roll contro la difesa schierata, o la tripla in faccia all’avversario di turno. E, come tutti i grandi campioni, sale in cattedra quando la gara si decide: prima segna gli ultimi 6 punti dei suoi, compresa la tripla sulle braccia infinite di Anthony Davis che vale un pareggio a dir poco insperato solo 5 minuti prima, poi nel supplementare smazza due assist e la chiude in modo glaciale dalla lunetta. Tira tanto e un po’ sparacchia, visto che i suoi si affidano quasi totalmente a lui in mezzo alle enormi difficoltà riscontrate in questa gara, ma alla fine saranno 40 e 9 assist, col marchio indelebile su una vittoria già storica: vero che ci sono altri candidati validissimi, vero che non si dovrebbe valutare i playoff per quanto concerne i premi individuali, ma a prescindere dalla vittoria o meno del trofeo quest’uomo è un MVP nel senso più letterale del termine.
Klay Thompson: 7.5. Killer silenzioso, segna 28 punti che quasi non si notano, frutto soprattutto dell’eccellente avvio della squadra prima del lungo momento di difficoltà in cui i Warriors sono costretti a rincorrere. Rischia la frittata quando da un suo fallo futile nasce un tecnico che rischia di dare il pareggio nell’overtime a New Orleans, ma batte spesso un colpo quando serve e alla fine i suoi punti pesano, inoltre nei momenti topici viene provato con buoni risultati in difesa su Davis, a cui rende centimetri ma non velocità: chissà che Kerr possa aver trovato un insperato jolly difensivo sul pericolo numero uno per i suoi.
Draymond Green: 8. Prosegue l’eccezionale serie dell’ala dei Warriors, che piazza la terza doppia doppia in 3 gare (12+17), ma risultando come al solito decisivo in molti settori che i numeri non raccontano: la solita difesa, ma soprattutto l’energia, in particolare sotto i tabelloni e a rimbalzo offensivo, con la quale suona la carica dei suoi per l’incredibile rimonta degli ultimi 5 minuti. Sempre in movimento, difficile da tagliare fuori e da contenere, continua ad essere una spina nel fianco dei Pelicans in più settori risultando decisivo al di la dell’apporto offensivo, stasera sottotono eppure non decisivo.
Harrison Barnes: 7. Già in passato aveva mostrato la sinistra capacità di accendersi nei momenti caldi, a prescindere dalla giovane età ed inesperienza: e anche oggi l’ala al terzo anno nella Lega, dopo una gara piuttosto silente, ingrana la quarta negli ultimi, decisivi minuti, portando a sua volta tanta energia soprattutto a rimbalzo offensivo e caricando i suoi con due schiacciate al volo proprio su tiro sbagliato. Apporto preziosissimo in una serata in cui invece Iguodala fatica non poco.
Andrew Bogut: 6. Né infamia né lode, non lo si vede quasi mai né a referto (non una novità) ma nemmeno, stranamente, a rimbalzo (solo 5 palloni catturati). Fatica con la circolazione di palla avversaria che genera buone soluzioni anche nell’area da lui presidiata, ma si guadagna pienamente la sufficienza con una lezione difensiva su un mostro molto più veloce e atletico di lui come Anthony Davis nell’ultima, decisiva azione del supplementare, che impedisce all’Eyebrow di segnare regalando ai suoi la vittoria.
Andre Iguodala: 4. Serata totalmente da dimenticare per Iggy, mai in partita in attacco e poco presente anche in difesa e a rimbalzo. Anche nelle difficoltà i compagni continuano a giocare la propria pallacanestro facendo circolare bene il pallone, ma quando arriva a lui con spazio c’è da piangere (2/8 e 0/5 da 3) e per una squadra che gioca in questo modo le sue difficoltà balistiche potrebbero diventare un problema non da poco.
Shaun Livingstone: 7. Ottimo contributo dalla panchina della guardia arrivata da Brooklyn, a dir poco fondamentale per tenere Golden State in gara in particolare nell’ultimo periodo, quando segna sia a rimbalzo in attacco sia andando in post con un avversario comunque alto come Pondexter. Kerr legge la situazione e saggiamente lo tiene in campo, lui lo ripaga solo in parte sbagliando un libero che avrebbe potuto valere subito la vittoria: gli va bene e la sua prestazione non ne esce macchiata.
Leandro Barbosa: 5.5. Trova qualche canestro importante ma gioca nei momenti più difficili per i Warriors e fatica a sua volta a dare un contributo importante.
Marreese Speights: 4. Entra per dare i soliti punti rapidi che consentano a Kerr di ricucire il gap che si è andato formando quasi subito e invece finisce con l’allargarlo quando è in campo: molto nervoso e falloso, spara a salve (1/7) prendendosi pure due poderose stoppate, una addirittura da Holiday. Non certo le risposte che cercava Kerr.
Steve Kerr: 7.5. Viene preso in contropiede dall’energia e dal cambio di atteggiamento e filosofia dei Pelicans, più coinvolti in attacco e alla ricerca del contropiede specie dopo il recupero, inoltre deve fare i conti con un Anderson in serata di grazia che consente agli avversari di tenere spesso il più congeniale quintetto piccolo; non si scompone e continua a far giocare ai suoi la propria pallacanestro senza farsi prendere dalla frenesia, e appena New Orleans crede di vedere il traguardo alza il volume della radio piazzando il parziale. La sua squadra soffre, fatica a trovare il proprio ritmo e subisce l’entusiasmo avversario ma non si scompone mai né perde la testa, finendo per vincere una gara che sembrava già persa: è esattamente così che si comportano le grandi squadre, e i suoi Warriors, al di la della giovane età dei componenti di roster e staff, dimostrano di esserlo per davvero.