TOP
Il Game-winner. I numeri non saranno roboanti, ma l’uomo-copertina di gara-4 non può non essere Jerryd Bayless. La sua partita era iniziata con le schermaglie con Aaron Brooks, è terminata con il primo buzzer-beater di questi Playoffs, neanche così facile come potrebbe sembrare, visto il cronometro prossimo allo zero. Nel mezzo la solita energia dalla panca, doppia cifra raggiunta (condita da 5 assist) e la scarica di adrenalina strumentale alla causa dei Bucks.
La redenzione. L’anno passato era stato uno dei più disgraziati in una stagione alquanto disgraziata per Milwaukee. In questa annata le cose sono andate leggermente meglio, ma la vera redenzione per OJ Mayo è arrivata in gara-4, dopo una serie comunque positiva. E’ stato il top scorer dei suoi a quota 18, a cui ha aggiunto 4 assist e 4 recuperi, immolandosi in difesa e rimanendo sempre concentrato. 4 delle sue 6 triple tentate hanno trovato la retta via del canestro, comprese alcune assolutamente cruciali negli ultimi minuti.
Il solito Jimmy. Una delle poche luci nell’opaca partita dei Bulls è stato il solito ineffabile Jimmy Butler. Da assassino silenzioso è riuscito, quasi senza clamore, ad essere il miglior marcatore dell’incontro con 33 punti, con 7 rimbalzi e 3 recuperi a fare da corollario. Questa volta non è riuscito a bilanciare bene le realizzazioni, risultando molto più efficace nel primo tempo che nei 24 minuti finali dell’incontro, ma si è rivelato il solito pericolo pubblico numero 1.
Difesa dura. In una serie in cui gli attacchi hanno tanti momenti di siccità, è la metà campo difensiva a prendersi spesso il proscenio. Ancora una volta la spettacolare difesa di Milwaukee è stata la chiave di un successo dei Bucks, questa volta più prestigioso rispetto ai 41 precedenti stagionali. Magari non in senso convenzionale (cfr. percentuale dal campo di Chicago), ma con delle vere e proprie Forche Caudine allestite dall’ottimo coach Kidd. Le lunghe braccia degli atletoni di casa, uniti allo spirito di sacrificio ed alla caparbietà, hanno consentito di forzare ben 26 palle perse agli inermi Bulls, procurando un’infinità di punti da tale situazione che, alla lunga, hanno fatto la differenza.
FLOP
Rose. Partita ondivaga per l’enfant du pais. I primi 3 quarti sono passati via senza acuti particolari, smistando il pallone (perdendone però ben 8) e senza molte iniziative personali. Nel quarto quarto, poi, l’improvvisa scarica che si è abbattuta su Milwaukee, sotto forma di 9 punti, accelerazioni impressionanti ed una strepitosa stoppata, davvero d’altri tempi, su un tentativo di schiacciata di Henson. Sulla sua partita, però, pesa il grave errore finale, sulla rimessa disegnata da Kidd. Rose si è trovato tagliato fuori sul backdoor del proprio uomo, Bayless, che lo ha puntualmente punito per la disattenzione. Occhio però alla voglia di rivalsa del vecchio/nuovo numero 1.
Crema catalana. I numeri non sempre sono indicativi, nonostante la doppia doppia ormai d’ordinanza (16+10). Per Pau Gasol, però, una partita non particolarmente memorabile, non la prima in questa serie. A parte la giocata da tre punti per pareggiare e qualche lampo nel terzo quarto, il catalano ha avuto un atteggiamento ed un body language non sempre entusiasmanti nell’arco dei 48 minuti, trovandosi spesso a rincorrere gli assatanati avversari. Nel mezzo, anche 5 palle perse che non depongono ulteriormente a suo favore.
Titolari di nome ma non di fatto. Sin dalla prima palla a due della serie è stato evidente che i panchinari di Milwaukee siano stati quelli ad aver creato qualche grattacapo in più alla difesa dei Bulls. Anche in gara-4 il trend non è stato invertito, anzi. Non a caso, nell’ultimo periodo, quattro quinti dello starting five dei padroni di casa è rimasto a guardare o a sventolare asciugamani. I vari Ilyasova, Pachulia e, soprattutto, Carter-Williams ed Antetokounmpo hanno ammirato le ottime gesta dei vari Mayo, Bayless, Dudley ed Henson, col solo Middleton a rappresentare i titolari sul parquet. La mossa ha pagato dividendi, merito e coraggio di coach Kidd, ma che testimonia anche a sfavore della pericolosità offensiva di diversi elementi quotati dei Bucks, soprattutto con le aree piene ed intasate dei Playoffs NBA.
Fattore campo chi? Ok la vicinanza, ok le poche ore di macchina per raggiungere il Bradley Center, ma per larghi tratti il palazzetto di Milwaukee è sembrato una succursale dello United Center. Le urla di gioia dei supporter dei Bulls hanno spesso battuto i propri “rivali” di “casa”, creando situazioni paradossali come giocatori dei Bucks in lunetta prima fischiati e poi acclamati, in un’alternanza da film comici. Fear the Deer, ma magari non quando ci sono i Tori in città.
Alessandro Scuto