TOP
Steph Curry. Tutte le volte che la palla esce dalla sua mano sembra che debba entrare, ma non si tratta solo di un’impressione: 12/19 e 7/9 da tre punti per costruire il quarantello. Se questa partita è diventata un blowout il merito è suo, che l’ha letteralmente spaccata in due nei quarti di mezzo mentre il grande rivale nella corsa all’MVP si schiantava contro il muro difensivo dei Warriors. Warriors che dopo un inizio forte si sono spenti affidandosi esclusivamente al baby-faced assassin, il quale non si è limitato alle triple ma è andato a battagliare in area con il gigante Howard, l’unico Rocket che pareva in serata. Prima gli ha strappato un rimbalzo offensivo, poi è andato a sfidarlo con due traiettorie per pochi eletti che ne hanno spento ogni residuo entusiasmo. Come contorno statistico si è concesso di superare, anzi sverniciare, Reggie Miller per numero di triple in una singola postseason, raggiungendo quota 64 triple in 13 partite.
Klay Thompson. Dire che la serata al tiro non è propriamente eccelsa è il minimo quando uno come lui chiude a 2/8 da tre. Tuttavia si rende utilissimo in fase difensiva contribuendo alla serataccia della barba più temuta della Western Conference, e questo gli consente di entrare nel élitario circolo dei Top di NbaReligion. Poi, anche se giochi con un ragazzo che viene da Marte, quando la tua squadra vince di trentacinque lunghezze e il tuo +/- è in positivo di trentatré vuol dire che qualcosa di buono tutto sommato lo hai fatto accadere!
Draymond Green. Valido lo stesso discorso fatto per Klay: lui era in campo quando sono successe le cose migliori per i Warriors, anche se il protagonista principale è stato il #30. Fondamentale nella lotta sotto le plance e nelle rotazioni difensive, si concede anche 5 assist e 17 punti dimostrando ancora una volta di essere fra i migliori gregari a tutto tondo della lega. Il tipico giocatore che ami alla follia se è nella tua squadra, ma a cui riserveresti volentieri il “trattamento Dellavedova” quando è fra le file nemiche.
Dwight Howard. Si è vero, s’è fatto mangiare in testa da Steph facendo la figura dello Shawn Bradley di turno: ovvero, l’omaccione che si fa gabbare dai normodimensionati. Il buon Dwight però è l’unico che nel primo tempo prova a tenere a galla Houston, facendo a spallate con Bogut e piazzando anche due affondate decise al ferro. E’ costretto ad arrendersi di fronte alla dolce furia cestistica di Curry ma, d’altronde, chi avrebbe potuto opporsi? Nel dopo partita sottolinea come la squadra si sia arresa fin da subito, una stoccata nei confronti dei compagni che non lo hanno seguito nonostante abbia provato a suonare la carica su un ginocchio malconcio. Disastroso ai liberi, per quel che conta.
FLOP
Verrebbe da citare i Rockets in blocco, però lo spirito della rubrica è quello di fare nomi e cognomi di chi ha combinato guai sul parquet, o di celebrare chi ha dato un senso alla notte bianca degli appassionati. Ecco dunque i peggiori fra le file di Houston.
Jason Terry. Capisco l’età, capisco che non sia un difensore nato, capisco che è stato catapultato in quintetto dagli infortuni, quindi le attenuanti non mancano. Però vedi, caro Jet, già il tuo uomo è piuttosto infiammabile con l’uomo addosso, se poi gli concedi gentilmente qualche spazio in più non ti salvi nemmeno sacrificando agnelli agli dèi del basket. Dovrebbe almeno rifarsi in attacco, ma, salvo un bel cioccolatino volante a centro area per Howard, la sua prestazione è disastrosa. Detto questo, onore ad un veterano che anche se non è più in grado di essere protagonista come un tempo continua a dare tutto sul campo.
James Harden. Si spegne dopo due gran partite, ci può stare. Dà fiato ai suoi detrattori, perchè la sua soluzione alle difficoltà è stata solo buttarsi in area e agitare la barba per andare in lunetta. Deludente.
Kevin McHale. Certo, non può segnare lui i punti e deve far fronte ad un paio di assenze importanti, eppure qualcosa in più forse si poteva fare. Si è fatto macellare da Curry senza neanche provare a buttare nella mischia un difensore volenteroso come Nick Johnson fino a quando la partita è ormai chiusa. La squadra gioca male, schiacciata dall’abominio che è il Morey-ball, e dispiace vedere una mente cestistica come quella dell’ex sesto uomo dei Celtics sottomessa allo stat geek da cui dipende la sua permanenza in panchina. Live by the three, die by the three.