“The 2015 NBA Finals are in the books” direbbe il sempre riconoscibilissimo Marv Albert, ed è dunque tempo di tirare le somme di una serie che, nonostante le premesse di pronostico certo, si è rivelata molto meno scontata del previsto, pur rispettando infine lo stesso pronostico che voleva i Golden State Warriors salire sul tetto della Lega per la seconda volta nella propria storia. Molti i protagonisti inattesi, alcuni che al contrario han deluso: vediamo nel dettaglio le nostre pagelle.
GOLDEN STATE WARRIORS
The winners
Stephen Curry: 8.5. L’MVP della stagione non ha vissuto una serie tranquilla, specie dopo le prime due uscite: bene in gara 1, malissimo in gara 2, quando sembra soffrire l’infinito agonismo di un Matt Dellavedova qualunque. Ma è l’unica vera partita che stecca, perché se anche in gara 3 gioca per lunghi tratti in maniera abulica, nel finale si scuote definitivamente rischiando di riaprire una gara già persa, giocando una buona gara 4 e salendo in cattedra negli ultimi, decisivi episodi della serie. La gara della svolta, la quinta, è contrassegnata dal suo show che indirizza definitivamente partita e serie: campione vero e MVP non per caso, anche di fronte all’asfissiante difesa messa in piedi da Blatt su di lui. LEADER
Klay Thompson: 6.5. Il “fratello” dell’MVP stagionale gioca una serie offensivamente ben al di sotto dei propri standard, se si esclude l’exploit di gara 2 (16 punti di media col 30% da 3). Spesso limitato dai falli, fatica a prendere ritmo in attacco ma porta sempre un contributo col suo tiro comunque sempre pericoloso, e soprattutto si sacrifica in difesa come non mai, finendo spesso e volentieri anche su Lebron, con discreti risultati (per quel che si può fare su un giocatore tanto immarcabile). Dà anche una mano sotto i tabelloni risultando, alla fine, comunque preziosissimo. UOMO SQUADRA
Andre Iguodala: 9. Quando ti giochi la Finale NBA chiunque vuole vincere, ma lui ha veramente voluto questo titolo più di tutti. Mai negativo, dinamo che tiene accese le speranze anche nelle prime, complicate gare dei suoi, viene lanciato in quintetto da Kerr a partire da gara 4 e da lì in poi Golden State non perde più. A dir poco monumentale il suo lavoro difensivo su Lebron, gli sporca una marea di palloni e lo costringe a sudarsi ogni singolo punto, ma è soprattutto in attacco che, paradossalmente, fa la differenza, punendo con buona regolarità i “battesimi” concessi dagli avversari dalla lunga, non certo la specialità della casa. Campione molto spesso sottovalutato, il premio di MVP delle Finals lo riscatta alla grande: più che meritato, certamente il migliore della squadra vincitrice. MVP
Draymond Green: 7.5. Abulico nelle prime uscite della serie, in cui si ostina ad attaccare l’area stampandosi regolarmente sugli ottimi aiuti di Mozgov, prende le misure al russo e alla difesa dei Cavs da gara 4 e diventa la chiave di volta dell’attacco dei Warriors: quando infatti arriva il raddoppio su Curry, è quasi sempre lui a creare il vantaggio per uno scarico e un buon tiro, specie dall’angolo. Inoltre si batte come un leone coi più fisici lunghi avversari e garantisce ai suoi una certa tenuta sotto le plance anche col quintetto piccolo, che paga così dividendi in attacco senza soffrire troppo in difesa. Ciliegina sulla torta, la chiusura in gara 6 con una tripla doppia che lo consacra definitivamente nell’elite della Lega. CHIAVE TATTICA
Harrison Barnes: 6+. Più che sufficiente nel complesso l’apporto in questa finale da parte del terzo anno da North Carolina, che dimostra spesso personalità scuotendo i suoi con belle giocate d’energia. La pressione però è tanta e talvolta si fa sentire, come nella disastrosa gara 3 (virgola con 0/8 dal campo) e in generale in qualche tiro aperto e qualche scelta sbagliata, ma chiude comunque con un buon 8/19 dalla lunga e 18 rimbalzi offensivi, quasi l’unico a portare secondi tiri ai suoi: è più che sufficiente. ENERGY DRINK
Andrew Bogut: 4. Il centro titolare dell’intera stagione pare molto balbettante nelle prime uscite, perdendo nettamente il duello tra giganti internazionali con Mozgov. Lento e macchinoso, mai pericoloso in attacco nemmeno sugli scarichi o i lob, falloso e stranamente inconsistente anche in difesa, viene relegato in panchina da Kerr e la serie gira totalmente. Per non perderlo definitivamente, il coach gli dà una chance di redenzione e risulta addirittura deleterio: importante nel corso della stagione, diventa un peso in queste Finals. ZAVORRA
Shaun Livingstone: 6.5. Porta energia e qualità dalla panchina, difende forte (talvolta anche su Lebron grazie alle sue lunghe leve), dà una grossa mano a rimbalzo e legge sempre bene le situazioni: insomma, non mette insieme numeri o prestazioni roboanti ma risulta sempre preziosissimo dal pino. Avercene di panchinari di questo livello, il vero segreto di pulcinella di questi Warriors: e anche a livello personale corona un sogno dopo una carriera fin qui sfortunatissima. FENICE
Leandro Barbosa: 7. Altro elemento chiave per la rotazione lunga di Golden State, non solo permette di far rifiatare i titolari senza rimetterci, ma talvolta addirittura i Warriors ci “guadagnano” dal suo ingresso in campo: tanta voglia, tanta esperienza (importantissima in una squadra relativamente giovane), parecchie letture e giocate di qualità che alla lunga fanno tutta la differenza del mondo in una serie molto spesso equilibrata. ESPERTO
David Lee: 6. Riesumato in gara 3 in un momento in cui Kerr non sapeva più che pesci pigliare, anche lui si dimostra utilissimo con la sua esperienza, dando solidità a rimbalzo senza perdere troppo in efficienza offensiva. Difensivamente è spesso inconsistente, ma in queste Finals porta certamente un contributo più solido di quanto avrebbe potuto fare uno Speights, ad esempio. RITROVATO
Fastus Ezeli: 6.5. L’apporto che non ti aspetti. Non è un fenomeno, ma dà molto più che una mano a questi Warriors cronicamente in debito di centimetri battagliando in area ogni volta che viene chiamato in causa. Importante in particolare nella decisiva gara 6, in cui Blatt insiste col quintetto pesante e Kerr risponde dandogli fiducia: più che ripagata, visto che non demerita certo con i tarantolati Mozgov e Thompson, mettendoli a tratti persino in difficoltà. SORPRESA
Marreese Speights: 4.5. La sua finale verrà ricordata per la comica schiacciata sbagliata alla fine del terzo quarto di gara 2, quando peraltro i suoi stavano faticando tantissimo a trovare punti. In realtà c’è anche una buona gara 1, ma l’orrenda partita successiva, coronata per così dire da quell’errore grossolano, lo tagliano fuori dalle rotazioni di Kerr a favore di Lee e la squadra ne trae beneficio. GOFFO
Steve Kerr: 9. Coach vincente all’esordio assoluto, evento rarissimo in ogni sport che in genere è il preludio di una carriera radiosa. E non si vede perché per l’ex scudiero di Jordan dovrebbe essere altrimenti: prima mette a punto una fuoriserie da una squadra buona ma non certo contender ai nastri di partenza, poi supera le difficoltà incontrate nei playoff (non tantissime per la verità, ma Golden State è stata sotto 1-2 sia con Memphis che con Cleveland) con aggiustamenti mirati che non snaturano il mantra della squadra, ma anzi lo esaltano. I tiri non entrano nei primi tre episodi? Niente paura, si continua a fare il proprio gioco cercando il tiro migliore e i risultati arriveranno: e infatti arrivano, eccome. Gran motivatore e buonissimo tattico, ha alle spalle uno staff eccezionale ma non c’è dubbio che questo successo porti in calce la sua firma. TIMONIERE
CLEVELAND CAVALIERS
LeBron uomo Cavs
Lebron James: 9.5. Stratosferico. I suoi Cavs sono per tutti spacciati fin dalla vigilia, e invece giocano una buona gara 1 che rischiano addirittura di vincere. Nel mentre Kyrie Irving si rompe la rotula, e Cleveland è data a casa con lo sweep: arrivano due vittorie consecutive in cui fa il bello e il cattivo tempo. Poi è costretto ad arrendersi alla squadra nel complesso migliore, ma per 6 gare (con l’unica eccezione forse di gara 4) tiene in scacco praticamente da solo la miglior franchigia NBA. Vista la sfortuna occorsa, i Cavs non possono che affidarsi totalmente a lui per tutta la serie (mai si era vista in Finale una squadra, anche per limiti altrui, tanto legata al rendimento di un unico giocatore): il suo gioco fatto di continui isolamenti e palloni in mano per 20 secondi può non piacere, ma è ormai innegabile che sia il giocatore più dominante e in grado di spostare gli equilibri da solo dell’intera Lega. Basti pensare che attenta seriamente al titolo di MVP delle Finals pur da perdente, evento accaduto una sola volta nella storia. ON AN ISLAND
Tristan Thompson: 8. In questi giorni ha richiesto il massimo salariale e a molti è sfuggito un sorriso. In effetti i limiti tecnici sono chiari, ma la voglia e l’agonismo sono qualcosa di raro anche in una Lega composta da agonisti. Incubo dei lunghi dei Warriors, tiene in scacco l’intera frontline avversaria per tutta la serie con la sua irreale capacità di andare a rimbalzo offensivo, portando anche qualche punto in area alla causa. Che non sia un giocatore da massimo salariale pare chiaro, che sia un elemento preziosissimo per qualsiasi squadra in cui dovesse finire lo è altrettanto. TARANTOLATO
Timofey Mozgov: 7.5. Una delle rivelazioni della serie: citando un noto connazionale cinematografico, “spiezza in due” i lunghi avversari, è sempre pericoloso in area, aiuta benissimo senza cercare la stoppata e finisce addirittura talvolta col banchettare contro i più piccoli avversari. Attenta addirittura ai 30 punti in gara 4, poi gioca una gara anonima in quella successiva per scelta tattica che lo relega in panchina, per concludere poi portando ancora un buon contributo nell’epilogo della serie. Quasi sempre sottovalutato se non inutilizzato nella Lega, ha trovato la sua dimensione alla corte di Lebron e tornerà certamente utile in futuro. IVAN DRAGO
Matthew Dellavedova: 7. Investito della responsabilità delle chiavi della regia dopo l’infortunio di Irving, gioca due gare oltre ogni immaginazione, in particolare una gara 3 in cui umilia uno stralunato Steph Curry con una determinazione che lo porta ben al di la del limitato talento. Sfrutta però forse un po’ di effetto sorpresa sugli avversari, perché da lì in poi offensivamente si vede pochissimo (e molto spesso per degli errori al tiro o palle perse), palesando tutti i propri limiti. Rimane però un mastino in difesa sull’MVP, che alla fine se lo scrolla di dosso e gioca un’ottima seconda parte di serie ma deve attingere a tutto il suo sconfinato talento per liberarsi dell’australiano in missione. EROE PER UN GIORNO
Iman Shumpert: 6.5. Altro elemento importantissimo in difesa, e se Golden State fatica di frequente a trovare ritmo in attacco spesso e volentieri c’è il suo zampino. Assieme a Dellavedova diventa la nemesi difensiva degli Splash Brothers (e se Thompson gioca una serie offensivamente sottotono c’è molto del suo) ma dall’altra parte punisce le enormi attenzioni su Lebron in modo troppo discontinuo (8/25 da 3), anche se non è certo il suo mestiere e tanto di più probabilmente non avrebbe potuto fare. MASTINO
JR Smith: 4. Mancano Love e Irving, Lebron ha attorno a sé molti buoni e volenterosi mestieranti ma pochissimi elementi in grado di mettere punti con continuità e tenere impegnata la difesa avversaria. Smith risponderebbe esattamente a questo identikit, ma in questa finale si vede praticamente solo il suo inconcludente alter ego piuttosto che il talento esorbitante, in grado di fare anche 20 punti in un quarto, ammirato in passato. Qualche canestro qua e la dei suoi, ma soprattutto moltissimi tiri sbagliati, scelte ai limiti della comprensione, ingenuità e falli stupidissimi se non deleteri: il JR “buono” viene fuori solo negli ultimissimi secondi della serie con 3 triple pazzesche, ma ormai i buoi, e il Larry O’Brien con loro, sono già ampiamente fuggiti. MR. HYDE
James Jones: 5.5. Si ritrova spesso in campo vista la rotazione rosicatissima dei Cavs e si arrangia soprattutto con la lunga esperienza in partite che contano. Ma non è giocatore da questi livelli e si vede, risentendone addirittura nel mortifero tiro da 3 (4/13 nella serie). Discreto nella prima metà della serie, quando le cose iniziano ad andar male per Cleveland scompare, ma non gli si può nemmeno dar troppe colpe. IMBUCATO
Mike Miller: s.v. Anch’egli riesumato per allungare un po’ la rotazione, si vede solo con una tripla e nient’altro nei pochi minuti in campo. COMPARSA
David Blatt: 7.5. Anch’egli esordiente assoluto nella Lega, in questa finale conferma ancora una volta la fama ben nota in Europa di dare il meglio in situazioni di svantaggio (se non disperate) riuscendo a imbastire una strenua resistenza che sorprende i più quotati Warriors mettendoli addirittura sotto dopo 3 gare. Gli ingredienti sono una difesa asfissiante (la stessa che era mancata per l’intera stagione), fisicità a rimbalzo e secondi tiri, ritmi blandi per evitare il contropiede avversario, dosare le forze e sfruttare la fisicità stessa, e ovviamente palla a Lebron in attacco. Non sarà la tattica militare di Rommel, ma ha il merito di annichilire non poco i piccoli e veloci Warriors e costringerli ad esasperare le proprie caratteristiche per ritrovare un po’ di ritmo. Spesso dato per spacciato, magari se ne andrà davvero ma con quello che aveva tra le mani era difficile chiedergli di più. TIMONIERE SFORTUNATO