Categorie: Atlanta Hawks

Horace Grant e l’NBA FanZone sbarcano a Milano

20 e 21 giugno 2015, inizia l’estate e l’NBA torna in Italia con la sua FanZone e con Horace Grant, protagonista del primo threepeat dei Chicago Bulls di Michael Jordan. La location scelta per l’evento è Piazza Duomo a Milano, occupata su un intero lato dagli stand NBA e dal campo allestito per le esibizioni, le partitelle e gli show di freestyle basketball.

L’evento inizia alle 11 di mattina del sabato con il primo clinic, riservato ai bambini e coordinato da Grant stesso. Gara di tiro e battute a profusione per l’ex ala grande dei Bulls. Si prosegue con pick-up games, freestyle acrobatici e gare di schiacciate, sempre baciati da un sole che non ha mai abbandonato la due giorni milanese.

L’altro grande protagonista della kermesse è stato Harry the Hawk, mascotte dei sorprendenti Atlanta Hawks di questa stagione. Harry e Horace Grant hanno passato entrambe le giornate a stretto contatto col pubblico, firmando autografi e distribuendo gadgets e consigli cestistici ai fan presenti in Piazza Duomo.

Grant – per la delusione di alcuni sprovvisto degli occhialoni che lo hanno reso famoso – ha rilasciato un’intervista a noi di NBA Religion e ad altre testate presenti in loco. Ecco la trascrizione della nostra chiacchierata con lui:

Sei stato selezionato quattro volte nel miglior quintetto difensivo NBA, c’è un giocatore di oggi in cui ti rivedi?

Ci sono molti buoni difensori oggi; direi che mi rispecchio in una combinazione di Joakim Noah, Taj Gibson e Serge Ibaka. In ognuno di questi giocatori c’è un pezzo di Horace Grant.

Pensi che l’NBA in cui hai giocato ai tempi dei Bulls fosse più dura e fisica di quella odierna?

Era decisamente più tosta. Ai tempi in cui giocavo contro i Pistons e i Knicks si potevano mettere le mani addosso agli avversari, trovavi spesso il modo di farla franca. Oggi l’handcheck non viene più concesso, se commetti un fallo serio ti viene fischiato un flagrant 2, per azioni che nella nostra epoca erano spesso considerate da fallo comune. L’NBA era molto più muscolare venti anni fa.

Nel periodo in cui sei approdato in NBA, la Lega stava cominciando a manifestare interesse per i giocatori internazionali. Cosa pensi dell’influenza che hanno avuto sul basket americano e del fatto che si coinvolgano ex-giocatori come te per promuovere eventi NBA qui in Europa?

All’inizio gli internationals non erano molti, si potevano contare sulle dita una mano, ma oggi… In termini di talento la maggior parte dei giocatori che vengono draftati e finiscono negli USA sono già NBA-ready. Il lavoro che ha fatto la NBA per globalizzare il suo marchio, arrivando in Italia, in Germania, in Cina, viaggiando per tutto il mondo per prendere questi talenti e portarli oltreoceano è stato assolutamente fantastico.

Credi che sia possibile, un giorno, vedere squadre europee annesse alla NBA?

Penso che uno scenario di questo tipo aprirebbe molte porte: si potrebbe dire “campioni del mondo”, anziché “campioni NBA”. In qualche modo è ciò che succede alle Olimpiadi, con i migliori giocatori di tutte le nazioni a competere gli uni contro gli altri. A me piacerebbe che la NBA ampliasse i suoi orizzonti in Europa, in Asia, ma è ancora un’utopia per il momento.”

Hai giocato al fianco di personalità molto dominanti come Kobe Bryant e Michael Jordan, trovandoti a convivere con il loro carattere non solo sul campo, ma anche nella vita privata. Qual è stata la figura più complessa con cui avere a che fare?

“Beh, se mia moglie avesse giocato a basket avrei detto lei, ma scelgo Michael, perché era così esigente, uno dei più grandi leader con cui abbia mai giocato. Era quel tipo di giocatore che, quando sentivi di non averne più, veniva a darti un extra boost; ti spingeva oltre la fatica per riuscire a vincere.”

Ricordi giocatori che hanno fatto del trash talking per via degli occhialini che indossavi?

Diversi colleghi: Sam Cassell era un trash talker non indifferente, ad esempio. Non si è risparmiato neanche con me. Anche Scottie Pippen. Mi sfidò a mettere ancora gli occhiali, dopo la mia prima partita. Ovviamente da lì in avanti non li ho più tolti. 

Eventi come l’NBA FanZone – e personaggi di spessore come Horace Grant – servono sicuramente ad avvicinare il pubblico occasionale al mondo dell’NBA e possono comunque regalare divertimento e soddisfazioni anche agli appassionati più irriducibili del basket a stelle e strisce. Appassionati che sono attesi il 6 ottobre al Forum di Assago per la partita tra Olimpia Milano e Boston Celtics, di cui questo evento era una sorta di aperitivo. Nel frattempo non resta che godersi un’estate che, tra draft e basketmercato, si prospetta davvero rovente.

Reportage e intervista realizzati da: Pietro Caddeo, Simone Errante, Marco Lo Prato, Elia Pasini.

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Pubblicato da
Elia Pasini

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