Dispersi. E’ come ci si sente dopo una lunga stagione NBA. Otto mesi, dall’ opening game texano tra Spurs e Mavs, a gara 6 tra Warriors e Cavs. Dalla consegna degli anelli ai campioni in carica, alla proclamazione di quelli nuovi.
Un fiume di champagne alla parata di Oakland, un Draymon Green: “come lo zio ubriaco ai barbecue di famiglia”, citando Andre Iguodala. Questi gli ultimissimi fotogrammi della stagione 2014-2015.
Di basket giocato- summer league a amichevoli internazionali a parte- non si vedrà niente fino a novembre. Per ingannare l’attesa c’è la Free Agency, la finestra di mercato riservata ai giocatori in scadenza di contratto.
La Free Agency è spesso sinonimo di rumors , quindi di chiacchiere e quindi di caos. Ci si sente smarriti anche per questo. Abbiamo due date di riferimento: l’1 luglio, che sancisce l’inizio delle trattative (rigorosamente ufficiose) tra squadre e free agents e il 9 luglio, quando gli accordi conclusi nei precedenti nove giorni diventano ufficiali e si passa a firmare i contratti veri e propri.
Nota a margine: nel mezzo, lega e giocatori fanno il bilancio di tutte le entrate della stagione appena conclusa. Le due parti discutono sui 4.85 miliardi di dollari di introiti dell’annata 2014-2015 che giocatori e franchigie si spartiranno in modo paritario( più o meno), al 50%. Periodo meglio noto come July Moratorium.
Seguire attentamente le voci, le previsioni, gli affari (reali o presunti) del mercato estivo è come trovarsi d’un tratto davanti ad un labirinto. O su un’isola deserta. Diversamente da Robinson Crusoe, non rischio la fame. Similmente a Robinson Crusoe, rischio la salute mentale. Perciò ho deciso di riepilogare i primi 14 roventi giorni di mercato con un diario di bordo.
Premessa: tutti gli accordi conclusi prima del 30 giugno sono estensioni contrattuali, il 30 è infatti l’ultimo giorno per estendere la qualifying offer , ovvero un’offerta di base predeterminata che se il giocatore accetta, prolungherà il suo contratto di un anno, al termine del quale sarà unrestricted free agent. ( Ad es: Mozgov, Deng, Al Jefferson, con opzioni differenti , non sono usciti dai rispettivi contratti, ma sono stati riconfermati per la prossima stagione)
Si aprono le gabbie e tra i sigilli che Nets, Bulls e Spurs mettono sui loro giocatori cardine, il contrattone di Dragic-già nel mirino di molte squadre in cerca di transizioni e ritmi alti- che sposa per cinque anni la causa Heat, quella che passa in secondo piano è una firma da 24 carati: Khris Middleton. 70 milioni in 5 anni, con player option da poter esercitare al termine della quarta stagione.Il rinnovo è segno chiaro da parte della dirigenza dei Bucks di voler continuare a far crescere un organico giovane( a partire dall’allenatore, Jason Kidd 41 anni), ibrido e che promette highlights in contropiede e tante situazioni di mismatch a cui gli avversarsi dovranno far fronte.
I Suns rinnovano Knight e firmano Tyson Chandler dai Mavs( piccolo spoiler, anche se siete già al corrente di tutto: Phoenix cede Bullock, Marcus Morris e Danny Granger ai Pistons, per liberare spazio salariale in cambio di…niente.) Difficile competere senza una vera panchina solida( tra i Thorton, Warren, Booker e Goodwin, la second unit è ridotta all’osso, PJ Tucker e Len gli unici validi, ovvero 2/3 del secondo quintetto). in una western conference così agguerrita.
Nella categoria di overall player, giocatori completi che fanno di tutto un po’ gli ingaggi più interessanti sono DeMarre Carrol ai Raptors che trasloca da Atlanta e Amir Jhonson che lascia Toronto per Boston. Carroll saluta gli Hawks dopo dei playoff in crescendo, cominciati da 2°/3° opzione offensiva e finiti da miglior realizzatore di squadra( anche per via degli infortuni lievi di Korver e Horford, che hanno condizionato il numero di possessi di Carroll).
I colpi di Masai non finiscono con la firma di Carroll a 60 millioni in 4 anni. Due ulteriori strike: il primo rimpolpando la frontline con il classico lungo da tanto effort sotto i tabelloni ma pochi fondamentali in attacco come Byombo, il secondo riportando a casa, in Canada, Cory Joseph, che in quattro anni in maglia Spurs è diventato un più che solido tiratore, ottimo fit sugli scarichi di Lowry.
Nel secondo giorno le acque cominciano a muoversi per davvero. In alcuni casi generando l’onda perfetta, in altri creando devastanti maremoti.
La perfect wave cavalcata dai Bucks li ha portati a strappare Greg Monroe da altri contesti mediaticamente più attrattivi come Los Angeles e New York, ma senza un progetto altrettanto affascinante. (small market wins). A Milwaukee, le skills di Monroe si incastrano perfettamente con il quintetto lungo e la scarsa identità offensiva. Abilità di playmaking dal gomito, mani educate nel pitturato, sono due caratteristiche che mancano in casa Bucks. E togliere il pallone per qualche possesso dalle mani di Carter Williams non può che dare un po’ di respiro.
“A cavallo di quest’onda, sballotato da sponda a sponda…”: Vi ricordate Er Piotta? La Grande Onda, tormentone estivo quasi orecchiabile, di cui riportiamo un verso per definire la situazione di Monta Ellis. Tre squadre in quattro anni, Bucks, Mavs e ora Pacers, con cui proprio nel day 2, stringe l’accordo da 44 milioni in 4 anni. Scelta voluta, quella di non esercitare la player option da 8.7 milioni dei Mavs( che non hanno pareggiato l’offerta dei Pacers) anche per la difficile convivenza con Rondo e un rapporto logorato con la tifoseria texana. E dire che nella sua prima annata in maglia Mavs aveva costruito un tiro affidabile dalla lunga distanza e un buon feeling con Dirk. Ai playoff ha avuto dei momenti di totale blackout, non trovando soluzioni di contenimento a James Harden, che ha abusato sistematicamente di lui nei possessi in cui erano accoppiati. Ad Indiana darà punti in transizione e pace, due componenti chiave per capitalizzare sulle palle recuperate e con una super difesa come quella dei Pacers( settimi per Defensive Rating, con 103.2 punti concessi)
Arrivando ai cataclismi, i Sacramento Kings decidono di non rimanere neutrali ma di cominciare le trattative con il peggior interlocutore tra i GM NBA. Quello che puntualmente ti spenna: Sam Hinkie. Tenendo conto che tra Renadive, Divac e Karl, non ce n’è uno che abbia la dialettica per uscire da una singolar tenzone con Hinkie chiudendo un’ affare, non dico vantaggioso, ma vagamente equo, il disastro era preventivato ancora prima che uscisse l’accordo. Ovvero la cessione di Jason Thompson, Carl Landry e Nick Stauskas e una prima scelta per…NULLA. O meglio, per liberare spazio salariale con cui firmare…(lo vedremo tra poco, quindi non anticipo niente, anche se già saprete). Hanno dato via il loro futuro( Stauskas e tre prime scelte) per ritrovarsi quasi a mani vuote. E senza prospettive. E con un Demarcus Cousins sempre meno paziente.
Cavs e Warriors, le due finaliste, rinnovano Shumpert e Draymond Green. Per non alterare il roster che ad entrambe ha permesso la corsa alle finals e per riprovarci con lo stesso gruppo. (Lebron avrebbe aspettato Gilbert al varco, se non avesse riconfermato tutti i giocatori in scadenza). Prendere Green a 85 milioni in cinque anni, considerando l’impennata che il cap subirà a partire dal 2016-17, è uno di quei lussi che non ricapitano.
Infine c’è l’onda perpetua che non si è ancora capito quando si infrangerà( e forse è meglio così). Tim Duncan resta un altro anno in maglia Spurs, probabilmente per l’ultimo rodeo.
In ogni soap-opera, quando si consuma un dramma, ci sono degli indizi che fanno presumere che sta per scoppiare. Nel terzo giorno di Free Agency si entra nel vivo, con il primo episodio della DeAndre Jordan saga.
Il centro dei Clippers accoglie a casa sua( luogo cruciale nello sviluppo degli eventi) Chandler Parsons e Mark Cuban. I due emissari Mavs hanno per lui un’offerta di 80 milioni in 4 anni, max contract con la M maiuscola. Ma non è tutto. Il discorso con cui fanno leva per convincere il big man dei Clippers a cambiare casacca è di natura motivazionale. Più palloni e responsabilità in attacco, più high fives dai compagni e lo spazio utile per poter diventare uno dei migliori centri NBA.
DeAndre si sente poco coinvolto nei processi offensivi dei Clippers, sente di essere l’unico giocatore del quintetto titolare a non aver ancora totalmente guadagnato la stima di Chris Paul. Giocare all’ombra dei due all-star, Paul e Griffin, è una cosa che digerisce sempre meno. Queste le avvisaglie della rottura. I Mavs gli hanno mostrato attenzione e rispetto. Ed era esattamente ciò che DeAndre voleva ricevere da questa Free Agency.
“I love that, I love that. I’m going to Dallas”: L’accordo è stretto, i buoni argomenti di Cuban e del vassallo Parsons faranno arrivare a Dallas la versione 2.0 di Tyson Chandler, l’ennesimo tassello che sembra elevare i Mavs a squadra più rinforzata da questa prima manche di mercato.
Intanto Sacramento( si torna a parlare di mosse random!) conclude un affare con il Beli, triennale da 19 milioni. Cede un tiratore( giovanissimo, con pochi minuti NBA, ma grossi margini), per avere in cambio un tiratore( veterano, campione NBA, ma con grossi limiti). Quasi sicuramente Marco tornerà a giocare da starter, ma il senso di scambiare un giocatore per riprendere una sua copia già fatta e finita è dubbio. Molto dubbio. Oltretutto rischia di tarpare le ali ad un McLemore in ascesa, che si troverà a contendersi i minuti con Belinelli.
Per la prima volta da almeno tre estati, i Knicks hanno semi-azzeccato la free agency. Certo, tutti i big hanno detto no, ma qualche free agent di media-bassa fascia sono riusciti ad ottenerlo. Vedi Robin Lopez e Derrick Williams, uno dai Blazers, l’altro dai Kings. Uno che porta rimbalzi, difesa competente e garra sotto i tabelloni (effort diametralmente opposto a quello di Bargnani), l’altra è un’ala dai grandi mezzi atletici con il tiro altalenante che con ogni probabilità partirà dalla panchina come cambio di Melo. Due buoni fit che riaccendono le speranze di New York di ritornare ai playoff.
Manovre di mercato no sense parte terza: hai un playmaker degno di questo nome in squadra? .Nì, Darren Collison. Hai un veterano con lustri di esperienza NBA alle spalle prossimo al ritiro come cambio della tua PG? Sì, Andre Miller. Vuoi farti del male e prenderti un ex all-star in totale declino a 10 milioni in un anno che occupa proprio il ruolo di regista? Sì, eccovi Rajon Rondo. Auguri.
Manovre di mercato vincenti parte seconda: dopo aver riconfermato per un’altra stagione Timmy, gli Spurs prendono il free agent più ambito di questa estate, LaMarcus Aldridge. Il quale più di una volta non ha nascosto il debole che nutriva per la cultura cestistica e manageriale degli speroni. Lui potrebbe essere il giocatore che guiderà la squadra nella delicata transizione dall’era Duncan all’era Leonard. Chiaro, l’inserimento non sarà immediato e servirà una prima fase di rodaggio, ma immaginatevi per un momento il tiro morbido dal mid range di Aldridge aggiungersi al kit di soluzioni offensive degli Spurs. ECCO!
I Lakers prendono Roy Hibbert e Lou Williams. No, i Lakers NON sono da playoff. Perché un rim protector ed un solido esterno di rotazione( metteteci anche un playmaker spumeggiante come Russell) non sono sufficienti per sopravvivere insieme alle altre sette migliori squadre della western conference.
Seconda firma più passata sotto traccia dopo il rinnovo di Khris Middleton? Kyle O’Quinn. Ala di 2.08 m che sa passare, con un buon footwork nei pressi del ferro, discreto tiratore da fuori e senza grandi pretese di spazio. Chi l’ha ingaggiato? Gli Orlando Magic. A quanto? 4 milioni di dollari l’anno. Furto silenzioso.
GM ed allenatore, della stessa squadra. Il doppio ruolo nella NBA è merce sempre meno rara. (Vedi Doc Rivers, in parte George Karl e…Stan Van Gundy). Quando le due professioni si mischiano, i conflitti di interesse sono dietro l’angolo. Come il rinnovo del figlio Austin ai Clippers o il mega contratto a Reggie Jackson da 80 milioni in 5 anni. Brandon Knight, che ha caratteristiche simili alla PG nata a Pordenone, ne prende 10 in meno, per la stessa durata del contratto. Per quanto Jackson sia emerso da quando gioca a Detroit e parametrando il contratto all’innalzamento del cap, rimangono comunque cifre alte. E se si sommano anche il contratto di Baynes( 20 milioni in 4 anni) e quello “stretchato” di Josh Smith (che peserà per circa 5 milioni per i prossimi 5 anni) l’impatto sul cap dei Pistons sarà tutt’altro che marginale. In pratica ci si è bruciati il 10% del futuro tetto salariale , quello da oltre 100 milioni.
E il sesto giorno i Grizzlies confermarono Marc Gasol. Quasi una formalità, mai realmente in dubbio la sua permanenza a Memphis. Lui stesso aveva dichiarato in diverse occasioni di non volervi spostare dal Tennessee. Lì è dove ha fatto le superiori, lì è dove è diventato All Star, lì è dove la tifoseria ha ritrovato in lui la quintessenza del Grit&Grind.
Pochissime squadre, hanno il background ideale da persuadere un giocatore con esperienza decennale, ex all star a rinunciare 10 e passa milioni di dollari, per prendere il minimo salariale. Una di queste sono gli Spurs. David West si unisce a San Antonio per $1.4M. Senza Splitter nella posizione di centro, perdono quache cm e ottime letture dal post alto. Ma la duttilità di West è tale che può mascherarsi a 5 e difendere egregiamente su big man, facendo a sportellate, se necessario, con pesi massimi del calibro di Zach Randolph.
Poco movimento, ma una punta di amarcord in questo settimo giorno di mercato. I Timberwolves rinnovano per altri due anni il contratto di Kevin Garnett (o ciò che ne rimane di The Big Ticket). Flip Saunders ha già detto che partirà titolare, il che non significa che sarà tenuto a giocare 35 minuti di media, ma in un roster iper atletico e orientato al contropiede( e ad eventuali esperimenti in cui abbassare il quintetto e giocare- ad esempio- con 4 piccoli: Rubio,Martin, Lavine, Wiggins e un lungo) tanto spazio per KG potrebbe equivalare a rallentamenti nel gioco dei T-Wolves. Però nella versione mentore, che chiama a raccolta i vari Karl-Towns, Dieng e Payne per condividere con loro i trucchi del 4( e del 5 riadattato), è tutt’altro che un peso.
Al punto di partenza. E’ dove ha deciso di ritrovarsi Mo Williams, concludendo l’affare da 4.3 milioni in due anni con i Cleveland Cavaliers. Una seconda vita alla corte di Lebron James, dopo aver girovagato per mezza NBA torna a Cleveland per aiutare il Re a portare a termine il compito: vincere l’anello. Il primo tentativo, quello del 2007, era finito male( sweep di 4-0 subito dagli Spurs), il secondo decisamente meglio( 4-2 a favore degli Warriors questo giugno), anche se con due dei big three a bordocampo.
Arrivato ai Cavs via trade nel 2008, Mo Williams formava il nucleo giovane dei Cavs, con Lebron, Varejao e Daniel Gibson. Da novembre sarà invece il veterano acquisito, proprio insieme agli altri due. Da backup di Irving, o da 2 in un quintetto minuscolo, è un valore aggiunto non indifferente.
Calma piatta all’orizzonte ma, credeteci, è solamente apparente; sembra che il Deus non troppo-ex machina della free agency abbia deciso di prendersi un giorno di riposo in attesa di quella che sarà una delle giornate più ricche di avvenimenti clamorosi.
I Nets ed gli Wizards sono gli unici che appaiono nel radar degli affari, non curanti dell’auto-assegnatosi giorno di ferie che sembra paralizzare l’NBA; a Washington arriva Alan Anderson, unrestricted free agent che lascia Brooklyn per tentare di non far rimpiangere il fu The Truth, il quale ricordiamo essere approdato alla corte di Doc Rivers. Ovviamente è un paragone “leggermente” gonfiato se non per una mera questione di ruoli e non sia mai che i 7.3 punti e 2.5 rimbalzi collezionati da Anderson in due anni di New York siano destinati a lievitare, traendo giovamento dalla scia lasciata per strada da Paul Pierce (suvvia, in giorni magri qualcosa dobbiamo pur portare a casa…).
E con i 4 milioni annuali che Anderson andrà a percepire la prossima stagione si chiude questa breve ma (non) intensa ottava giornata di free agency, ma ripetiamo, la calma è solamente apparente; il nono giorno è il giorno del Ritorno del Re, ma soprattutto è il giorno di DeAndre Jordan e della sua clamorosa retromarcia. Come dite? DeAndre Jordan è un giocatore dei Mavs ormai?
Eccoci qua. Ve l’avevamo anticipato e non vogliamo più farvi aspettare oltre. Dunque, DeAndre Jordan ha firmato con i Dallas Mavericks, ufficialità del 3 Luglio, per un quadriennale da 80 milioni di dollari; i Clippers dovranno fiondarsi sul mercato per sopperire alla mancanza di un centro titolare in grado di catturare sistematicamente un numero di rimbalzi da doppia cifra, al contrario della percentuale ai liberi che, forse, non arriva neanche ad una sola cifra.
Alcuni scambi di battute tra i giocatori che si stavano dirigendo a casa DeAndre nella ormai celebre emoji war. Quando twitter regala perleC’è solo una piccola imprecisione; gli accordi presi durante questa prima parte di free agency hanno valore legale e quindi effettivo a partire dalla mezzanotte del 9 di luglio. E allora succede di tutto; Jordan comincia ad avere seri ripensamenti, così come i senatori Griffin e Paul che vogliono tentare il tutto per tutto. Una delegazione vola a Houston dove alloggia DJ e, perdonateci l’espressione ma crediamo sia quella che renda di più, finisce a tarallucci e vino: “Scherzavo Mavs, rimango ad L.A., sponda Clippers”.
Jordan si rimangia la parola e firma un quadriennale da 87.7 milioni di dollari con la franchigia di Steve Ballmer,lasciando Dallas tra l’incredulo e lo sdegnato ma soprattutto senza un rim protector titolare. L’ilarità si diffonde tra l’universo NBA e persino il Commisioner dichiara che non sono cose accettabili nel mondo della pallacanestro a stelle e strisce, ma la firma sulla linea tratteggiata, per citare Alec Baldwin in “Americani”, è l’unica cosa che conta e qui chiudiamo la DeAndre Jordan Saga.
(per vedere la scena madre, skippare fino al minuto 2.19 NDR)
Intanto ad Est arriva la scontata, ma non troppo, soprattutto per le cifre, ri-firma di LeBron James per un annuale con player option per il secondo anno ad oltre 23 milioni di dollari, che diventeranno oltre 46 in caso di conferma per la stagione ancora successiva. Una mossa che si, blocca il salary cap di Cleveland e probabilmente il mercato dei Cavaliers per questa estate, ma lancia un messaggio chiaro: si riparte dalla stessa identica squadra che è arrivata in finale, lo stesso nucleo di giocatori forti di una maggiore intesa tra i Big Three Love-Irving-James che a loro volta sperano nella bontà di un training camp con il roster al completo, Shumpert e J.R. Smith inclusi, al fine di rendere definitiva l’amalgama della squadra.
Che altro aggiungere in questa intensa giornata? I Movimenti più interessanti sono dei Toronto Raptors, degli Hornets di Michael Jordan e dei San Antonio Spurs. I primi aggiungono alla loro squadra Luis Scola, che abbandona così i Pacers ed approda al Nord. Annuale da 3 milioni di dollari ed ennesima sfida della sua carriera; non sappiamo quanto effettivamente calcherà il parquet con la casacca dei Raptors, ma siamo sicuri che la sua esperienza (35 primavere quest’anno), la sua tempra e qualche vecchio trucco del mestiere saranno senz’altro utile per “indurire” l’attitudine di una squadra così giovane e promettente.
Concludiamo con gli Hornets che, dopo essersi liberati di Lance Stephenson praticamente dal primo giorno disponibile per scaricarlo, ingaggiano Jeremy Lin; a lui il compito di essere il cambio di Kemba Walker senza abbassare troppo il ritmo o di convivere con Walker in fasi cruciali del match mostrando (si spera) più disciplina rispetto a quanto fatto da Born Ready, compito perfezionato tramite un biennale da 4 milioni circa.
Infine le vecchie volpi della Lega, i San Antonio Spurs, in grado di cogliere sempre un buon affare a condizioni favorevoli; arriva alla corte di Gregg Popovich Ray McCallum dei Sacramento Kings, in cambio di una futura seconda scelta. Gli Speroni approfittano del gonfio tetto salariale dei Kings, reduci da diverse operazioni , per accaparrarsi un playmaker di buon atletismo che, plasmato ulteriormente dal Pop, potrà diventare una delle prime opzioni, se non la prima stessa, quando il 32enne Tony Parker si troverà costretto a tirare il fiato, specialmente se in una squadra di tiratori specialisti come gli Spurs, il suo 30% dall’arco ed il quasi 70% dal campo subiranno un’impennata degna di nota.
La decima giornata della Free Agency comincia ancora con i Dallas Mavericks, come vi abbiamo riportato prima decisamente scottati dal DeAndre-gate, ma guidati dallo spirito imprenditoriale di Cuban – che non conosce la parola sconforto- decidono di non restare con le mani in mano e riempiono la casella relativa al ruolo di centro; dai Milwaukee Bucks, anch’essi con il portafoglio svuotato ed un salary cap riempito dal rinnovo di Middleton e l’ingaggio di Monroe, arriva il 31enne Zaza Pachulia.
Per quanto Pachulia non sia numericamente parlando paragonabile a DeAndre Jordan, Zaza non è da meno per quanto riguarda intensità, voglia di lottare e soprattutto concentrazione, dote quest’ultima non sempre presente nelle prestazioni di DJ, e se messo in condizione di rendere al massimo è in grado di sfornare prestazioni importanti (come il record di 18 rimbalzi offensivi raggiunto in questa stagione contro i Brooklyn Nets, uguagliando un tale Dennis Rodman) e se non di eguagliare, quantomeno avvicinare l’atletismo ed il vigore fisico di Jordan; inoltre Cuban è in grado di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, acquistando un centro titolare per la “modica” cifra di 5 milioni di dollari ed un contratto della durata di un anno, cifra che permette così di non appesantire il tetto salariale e tentare l’ingaggio di altri giocatori.
Ecco a voi il piano B a DeAndre Jordan!Uno di questi potrebbe essere Deron Williams che, proprio il 10 luglio, ha manifestato pubblicamente la volontà di rinunciare ad oltre 40 milioni di dollari per i prossimi due anni ed accordarsi con il front office dei Nets per un buyout da circa 5 milioni al fine di poter concludere un accordo proprio con i Mavericks che devono averlo abilmente corteggiato; D-Will in caso di completo recupero dai fastidiosi problemi fisici che ne hanno minato le ultime annate, potrebbe integrarsi bene nel sistema di gioco di Carlisle, fornendo si talento e fantasia, ma anche praticità ed un ottimo gioco “lungo-piccolo” basato sul fraseggio e pick’n’roll intelligenti con Dirk Nowitzki.
Qualora l’affare andasse in porto e come è pronosticabile si firmi a cifre contenute, rimarrebbe ancora denaro sufficiente per trovare un cambio al già citato Pachulia e le prime indiscrezioni vedono i Mavs (ma ne parleremo più avanti) interessati anche a JaVale McGee.
Queste le principali News nella decima giornata di free agency per quanto riguarda la sponda Ovest della lega; riportiamo come Luke Babbit ed il suo oltre 50% dall’arco (sebbene sia da rapportare ad un minutaggio decisamente basso) rimanga a New Orleans, ed i Phoenix Suns che nella scorsa giornata avevano ingaggiato Ronnie Price come playmaker di riserva al servizio dell’unico go-to-guy rimasto nella franchigia dell’Arizona, Eric Bledsoe, dopo aver fallito l’assalto a LaMarcus Aldridge perdono anche Gerald Green.
E qui ci spostiamo subito ad Est, proprio con Gerald Green che comincia una nuova avventura con la maglia dei Miami Heat: contratto al minimo salariale per i veterani della durata di un anno e del valore complessivo di 1.36 milioni di dollari circa. Green porta buone nuove per quanto concerne la parte offensiva (oltre 14 punti di media a Phoenix uscendo dalla panchina), confortanti capacità di tiro ed un atletismo fuori dal normale, oltre una duttilità tattica che gli permetterà sia di sostituire lo stoico Dwyane Wade sia di giocarvi insieme occupando la posizione di ala piccola.
Concludiamo ad est con una delle situazioni più difficili da decifrare, ovvero i New York Knicks: bene l’ingaggio di Afflalo, buono quello di Robin Lopez…e stop. Sembra essersi fermato qui il mercato di Phil Jackson, che il 10 luglio ufficializza solo Lance Thomas per la cifra di un milione e mezzo di dollari; anche qui la mancata firma di nomi importanti come Monroe o Aldridge ha lasciato sia la dirigenza Knicks che i tifosi del Garden con poca sostanza in mano e tanti dubbi per il futuro.
La Free Agency sta lentamente cominciando una lenta parabola discendente verso la normalità, dove i pezzi grossi sono ormai per il 99% già sistemati e le franchigie completano operazioni minori, di assestamento, nella maggior parte dei casi di valore quasi esclusivamente numerico; tempi magri, tanto che siamo costretti ad unire due giorni di mercato in unico slot.
Per quanto detestiamo i luoghi comuni, c’è da dire che l’unica cosa interessante che questi due giorni di mercato ci forniscono è lo spunto per una tanto chiacchierata riflessione sull’equilibrio della Lega; l’Est si sta indebolendo a scapito di un Ovest sempre più ricco. Già perché è dell’11 luglio la notizia (forse l’unica vera) che Deron Williams, uno delle non moltissime superstar (o almeno crediamo ancora che lo sia) presenti nella Eastern Conference, fugge a suon di quattrini da Brooklyn. Infatti è ufficiale il suo buyout con i Nets tramite il quale rinuncia si a 15 milioni di dollari, ma si farà pagare i restanti 27.5 in rate annuali da 5.5. milioni sino al 2020.
D-Will è libero di accasarsi a Dallas, la cui ufficialità arriverà nei prossimi giorni, e Brooklyn scarica dollari pesanti dal salary cap in una complessa operazione di restyiling che li ha visti prima trattenere alcuni giocatori chiave come Brook Lopez e Thad Young per poi rinunciare al playmaker titolare, facendosi supporre che le operazioni di mercato non dovrebbero essere finite per quel che riguarda la società del russo Prokhorov.
Deron abbandona l’Est dunque, che anche nelle operazioni minori risulta essere qualitativamente inferiore rispetto all’Ovest: i Kings ufficializzano Caron Butler , con un biennale da 3 milioni nel tentativo di aggiungere arsenale al tiro e rotazioni sotto la voce “guardie”, i Nuggets allungano il contratto Wilson Chandler con un quadriennale da 46 milioni di dollari ed ingaggiano un giovane Jokic MVP della Lega Adriatica, mentre dall’altra parte della Nazione la notizia maggiormente degna di nota è l’acquisizione da parte di Indiana di Chase Budinger via trade da Minnesota (cui va il semi-carneade Damjan Rudez) per sopperire alla carenza di lunghi dopo aver perso sia Roy Hibbert che David West, sebbene il confronto tra il White boy who can jump e gli altri due sia alquanto arduo.
Fanalino di coda di queste due tranquille giornate sono gli Hornets ed i Knicks; i primi allungano anch’essi le rotazioni per una manciata di punti in più ed una buona difesa perimetrale acquistando Alonzo Gee, i secondi confermano Lou Amudson con un annuale da 1.65 milioni di dollari.
Non ci dilunghiamo ulteriormente sul mercato dei Knicks, salvo chiudere questo mini capitolo con una riflessione su uno dei nostri rappresentanti del tricolore negli States; se questa Free Agency poteva sancire la possibilità di vedere Bargnani tra i titolari della rifondazione di New York, con Robin Lopez ed il sostituto Amudson possiamo quasi con certezza stabilire che invece non sarà tra i protagonisti dei Knicks del futuro.
Questa volta non c’è carenza di notizie, né è per pigrizia che uniamo due giorni di mercato in un colpo solo, bensì perché vogliamo affrontare da subito i temi ai nostra portabandiera, ovvero gli Italiani in NBA. Partiamo con la notizia più dolce, forse anche meno fragorosa: si conclude ufficialmente l’avventura di Andrea Bargnani ai Knicks.
13.9 punti, 4.9 rimbalzi, diversi infortuni e 23 milioni di dollari in due anni sono il bottino che il Mago lascia (e ha incassato) in due anni al Garden, per spostarsi solamente di poche miglia. Bargnani infatti, dopo aver detto no agli asso-piglia-tutto Sacramento Kings, tanto che alcune testate giornalistiche nazionali avevano già messo su carta l’ufficialità dell’operazione e la reunion con Belinelli, si accasa ai Brooklyn Nets per poco più di 3 milioni di dollari, un biennale con player option al minimo per i veterani.
Per Andrea è questa forse l’ultima possibilità di dimostrare di valere ancora cifre importanti nella Lega, con la prossima estate che permetterà ingaggi più importanti grazie all’estensione del salary cap, e senza la pressione di dover fare eccessivamente bene, ma solo quella di giocare (salvo diverse impostazioni dell’ultimo minuto da parte del front office dei Nets) Brooklyn può essere l’ambiente ideale per rilanciarsi: si resta comunque in attesa di colpi importanti, oltre che della definizione del ruolo di Bargnani, se da complemento di Brook Lopez o da suo cambio.
Un italiano cambia casacca, un altro sta per farlo? Già perché Denver sembra aver intavolato delle discussioni con Boston per una possibile trade mettendo sul piatto Danilo Gallinari ed il suo contratto da 11 milioni e passa di dollari per la prossima stagione. Il rinnovo di Chandler, le estensioni contrattuali avvenute proprio il 13 luglio di Will Barton (triennale da 11 milioni complessivi) e di Jameer Nelson (quadriennale da 13 milioni) possono lasciar intendere la volontà di dei Nuggets di impostare il gioco per il campionato 2015-2016 sulla strategia dello small-ball, della velocità, delle penetrazioni veloci e del campo aperto, tanto da dover sacrificare anche il Gallo nonostante, ci permettiamo di dire, sarebbe in grado di calarsi a pieno in tale realtà.
Un italiano cambia, uno è in bilico…ed un altro saluta l’NBA. La notizia più amara egoisticamente parlando infatti è la seguente: Gigi Datome abbandona la lega a stelle e strisce per firmare un sostanzioso contratto da 1.7 milioni di euro a stagione con i turchi del Fenerbache Ulker. Alla fine ha prevalso la voglia di giocare e come biasimarlo? A 28 anni e senza aver ricevuto troppa fiducia dall’NBA, Datome ha l’occasione non solo di monetizzare ma anche di essere protagonista in una squadra in grado di vincere l’Eurolega. Non riportiamo le statistiche della carriera americana di Gigi, impietose poiché non rispettano il suo reale valore, e senza dilungarci troppi in tristi congedi, auguriamo a Datome il più grosso in bocca al lupo possibile per la sua carriera, domandandoci tutta via come sarebbe potuta essere la stagione 2015-16 se Van Gundy prima e Stevens poi avessero concesso più spazio e più occasioni al nostro Gigi.
Con la conclusione delle ultime tappe del Tour-De-Ron Williams che approda ufficialmente a Dallas, priva sin qui di playmaker, con un biennale da 10 milioni di dollari, i sondaggi dello stesso Cuban per JaVale Mcgee (non diteci che dopo tutto ciò che è successo già avete dubbi su Pachulia!) ed il rinnovo da parte dei Los Angeles Clippers per il figlio del capo allenatore, Austin Rivers (biennale da 6 milioni) cui si accompagna anche un cambio per DJ ovvero Cole Aldrich (2.3 milioni totali per due anni con player option dopo il primo), si concludono qui queste prime due settimane di free agency.
Restano ancora grandi incognite, come la deserta Portland che dopo aver visto smantellato il quintetto titolare perde anche Steve Blake, un signore ai tempi elogiato pubblicamente da Kobe Bryant, per ingaggiare Quincy Miller da Detroit. Oppure gli stessi Pistons che sembrano essere diventati la terra delle seconde opportunità, basando il loro mercato su giocatori in esubero dalle loro franchigie di partenza (il già citato Blake, Joel Anthony, il bocciato Aaron Baynes e l’estensione contrattuale da 80 milioni per Reggie Jackson). Oppure ancora le belle incompiute Boston, Los Angeles (sponda Lakers), i martoriati Knicks e gli enigmatici Nets: fortunatamente il mercato non si ferma ai primi caldi della stagione.
Scritto in collaborazione con Simone Maccari*
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