Mai come di questi tempi si sprecano paragoni tra le vecchie e le nuove generazioni che hanno calcato il parquet. Tra squadre, giocatori, allenatori e tattiche si parla praticamente di qualsiasi cosa. Una delle diatribe più accese è però quella sui cosiddetti “Dynamic Duo” . Sarebbe a dire quella coppia che costituisce il nocciolo della squadra, il suo cuore. Quei due giocatori rappresentano un po’ quello che in un motore rappresentano pistone e cilindro. Se non ci sono non si va da nessuna parte. Ovviamente il firmamento Nba è ampiamente cosparso di giocatori del genere. Tornando indietro di molte pagine nel grande libro del Basket troviamo Bill Russell e Bob Cousy. Insieme hanno gettato le fondamenta per la dinastia Celtics degli anni 50 e 60: i due hanno raccolto 6 titoli Nba. Con l’arrivo degli anni 70 troviamo Abdul-Jabbar e Oscar Robertson ad aspettarci al varco con le loro 66 vittorie nella stagione 1970-71 che è poi sfociata in un anello al dito per i Bucks. Balzando ancora avanti di 10 anni incontriamo Julius Erving e Moses Malone, chiedere a Knicks, Bucks e Lakers se per caso si ricordano di loro, ma crediamo proprio di sì. Sempre negli sfolgoranti anni 80 un’altra coppia di giocatori delizia le retine di tutti gli appassionati della palla a spicchi. Il già citato Kareem Abdul-Jabbar, che nel frattempo si è spostato nella soleggiata California, dove in maglia Lakers, insieme a Magic Johnson monopolizza la lega. Per loro sono 5 titoli Nba. Inoltre con loro i giallo-viola arrivano alle Finals 8 volte su 10 stagioni (dal 1979-80 al 1988-89). Sulla costa Est però non stanno certo a guardare. Già, perché in quegli anni se non sono i Lakers a vincere il titolo ci pensa Boston a fare scopa. Larry Bird e Kevin McHale donano anni d’oro ai Celtics coronati da 3 titoli Nba. L’ottovolante tuttavia non è sul punto di fermarsi, anzi è negli anni 90 che raggiunge l’apice. John Stockton e Karl Malone, Michael Jordan e Scottie Pippen, Tim Duncan e David Robinson. La cappella sistina del Basket insomma. Infine raggiungiamo il fulcro della nostra storia, quella moderna, dei primi anni 2000.
Il mondo è sopravvissuto (ovviamente) al Millennium Bug ma pare che l’Nba non sopravvivrà a una coppia in maglia Los Angeles Lakers che già da qualche anno mette in mostra il suo potenziale. Parliamo di Shaquille O’Neal e Kobe Bryant. Il palmarès dei due in questione è ampiamente noto a tutti, il panico che hanno seminato in campo anche. Il periodo in cui Kobe e Shaq condivisero la stessa maglia però non è passato ai posteri solo per il loro dominio in campo. E’ infatti noto che la loro “relazione” sia stata una vera e propria montagna russa. Due prime donne nella stessa squadra, e che prime donne. Spesso a ripensarci sembra quasi impossibile come due personalità del genere siano riuscite a convivere per così tanto tempo, vincendo tutto quello che c’era da vincere. La sconfitta subita da parte dei Pistons nelle finali del 2004 ha poi segnato l’addio definitivo di Shaq alla franchigia losangelina. La vicenda di “odi et amo” tra i due però non si è certo conclusa. Al contrario si è strascicata, allungata e contorta fino al presente. Ma allora come hanno fatto a convivere, dicevamo prima. Come hanno fatto a non fare precipitare tutta la squadra in un vortice autodistruttivo alimentato dalla loro emotività? La risposta a questi quesiti, e a molti altri, che forse poteva essere evinta già da tempo, arriva proprio dalle parti interessate. Il ragguagliamento è avvenuto su un podcast, “The Big Podcast with Shaq” e dove se no!
E qui è proprio O’Neal ad esordire con un “I don’t hate you, I know you don’t hate me” chiaro come il sole. Le successive parole di Bryant, poi, spiegano meglio di mille parafrasi perché l’equilibrio della squadra non si sia mai spezzato.
“Quello che abbiamo fatto, le cose su cui eravamo in disaccordo, quello che ha reso tutto speciale è che ci siamo sempre detti tutto in faccia. Non ne abbiamo parlato ai nostri compagni di squadra alle nostre spalle. Non avrebbe fatto altro che creare frizioni e sarebbe stato dannoso per la squadra.”
Ad ogni modo è già da tempo che i due dimostrano di andare d’accordo e che tutto l’astio che si presume li leghi sia stato probabilmente ingigantito dai media, volenti o nolenti. O’Neal afferma che spesso la gente non crede che lui non tirerebbe un bicchiere d’acqua in faccia a Kobe se si trovassero nello stesso ristorante. Quando poi viene riesumato un momento del loro trascorso in cui Shaq affermava di volere uccidere il Black Mamba, allora si che c’è da leccarsi i baffi. Ed è proprio lo stesso Bryant a pescare uno di quei tanti momenti.
“Certo che mi ricordo di quel giorno. Gli dissi di farsi sotto”
Questo a dimostrazione che il loro rapporto era del tutto privo di preoccupazioni esogene. Se c’era un problema si affrontava, punto. Quello che pensava il resto del mondo non era un problema. Ovviamente delle frizioni ci sono state, questo è inequivocabile. Ed è proprio da quei diverbi che si è generato un vortice infinito di “se” e “ma”. “Si l’abbiamo persa” questa è la risposta che da O’Neal quando interrogato se lui e Bryant abbiano effettivamente mancato l’opportunità di essere i migliori di sempre. Anche Bryant spende qualche parola sulla faccenda.
“Quanti anni avrebbero giocato insieme Michael Jordan e Wilt Chamberlin con Wilt nel fulcro della sua carriera e Michael che voleva fare esperienza e crescere? […] Noi due siamo in quel modo quando dobbiamo fare squadra. Ci sono, letteralmente, due maschi Alpha che giocano insieme nella stessa squadra e questo di norma non succede.”
Molti sono poi stati gli argomenti toccati dai due. Potrebbe risultare strano ma entrambi affermano di avere imparato moltissimo l’uno da l’altro.
“Shaq mi ha insegnato come comandare”
O’Neal dal canto suo racconta di come il Mamba fosse già in grado di prendersi tiri pesantissimi. Riferendosi a una partita da dentro o fuori nei playoffs del 1997 contro Utah, si esprime così.
“Questo ragazzo si è preso tre tiri importanti. Tutti airball. Allora ho capito. Ho capito che non era spaventato. Ho capito che sarebbe diventato l’uomo-franchigia.”
Un altro argomento su cui spesso si vociferava a più non posso riguardava il rapporto con Phil Jackson e se effettivamente Coach Zen avesse un preferito tra i due. Ma anche qui entrambi affermano senza problemi che non c’è mai stata nessuna preferenza. Così parla Shaq.
“Era molto giusto. Si è infastidito solo una volta e ci ha detto chiaro e tondo di piantarla, nulla di più”
Entrambi sono anche d’accordo su quale sia stata la loro squadra più dominante. I Los Angeles Lakers del 2001 che conclusero la post season con un onirico record di 15-1.
Per quanto riguarda il tempo trascorso in casacche diverse si può trovare molto di cui parlare. Probabilmente però uno dei momenti chiave è stato il sorpasso di Kobe su Shaq in quanto ad anelli vinti. O’Neal afferma onestamente di esserne stato seccato ma che tuttavia fosse giusto e meritato. Grazie anche all’arrivo in organico di Gasol e Bynum che hanno contribuito molto alla causa della sua ex franchigia. Quando poi Bryant l’ha superato Shaq non ha potuto che affermare un intraducibile ma chiarissimo: “He got me!”.
Nelle sue battute finali la discussione si sposta su temi più recenti e i due esprimono qualche considerazione sull’Nba moderna. Anche qui entrambi reputano che il gioco si sia molto ammorbidito negli ultimi anni. Bryant afferma con sicurezza che ora come ora c’è più fisicità nel torneo olimpico, cosa che lo lascia al quanto basito.
“Un tempo l’Nba era la lega più fisica e dura del mondo, adesso non lo è più. Non ho idea di cosa sia successo a tutti i lunghi”
Il podcast si conclude infine con un messaggio di O’neal che non lasica ombra di dubbio nemmeno ai i più scettici.
“Kobe, voglio solo dirti che ti voglio bene, fratello. Mi manchi. Mi sono divertito nel periodo in cui abbiamo giocato insieme e vorrei che fossimo riusciti a vincere sette anelli ma è andata come è andata. Siamo sempre il duo più rispettato e più dominante della storia dei Lakers.”
“Grazie amico mio, lo apprezzo, fratello”
Queste le parole di Bryant che chiudono il dibattito, e forse anche un’intricatissima trama che andava avanti da anni.