Avevamo lasciato in sospeso la storia di Dirk Nowitzki nella notte del Draft NBA, ed è proprio da lì che la riprenderemo.
Dirk Nowitzki era il quarto tedesco a entrare in NBA, dopo Uwe Balb, onesto mestierante nel ruolo di centro, per cinque anni nella lega tra il 1985 e il 1990, di cui quattro passati proprio a Dallas, Christian Welp, centro con tre stagioni negli States, dall’87 al ‘90, suddivise tra Philadelphia, San Antonio e Golden State, e l’ala Detlef Schrempf, veterano All-Star, con un passato ai Dallas Mavericks e agli Indiana Pacers e, in quel ’98, titolare ai Seattle Supersonics.
Quando Dirk raggiunse Dallas, la squadra non partecipava alla post-season da ben otto anni, e aveva le sue punte di diamante nella guardia tiratrice Michael Finley, nell’enorme centro Shawn Bradley (una roccia di 2.29 m) e in Cedric Ceballos, ala ex Lakers e miglior realizzatore del roster. Ma l’esperienza statunitense del ragazzo venuto da Würzburg dovette aspettare. Infatti David Stern, commissioner NBA, aveva ingaggiato uno scontro a tutto campo con l’associazione dei giocatori per l’introduzione del Salary Cap, scontro che finì per provocare un lock-out. Così Dirk se ne tornò mestamente in Germania, a giocare le prime tredici partite del campionato di Bundesliga con il neopromosso DJK Würzburg, finché le due parti in causa non riuscirono ad arrivare a un accordo, e si decise di giocare una stagione accorciata con solo 50 partite.
L’inizio della stagione NBA fu una doccia fredda per Dirk Nowitzki. Schierato ala forte da Don Nelson, esordì ufficialmente nella sua nuova lega il 5 febbraio del 1999, ma veniva sistematicamente sottomesso fisicamente e atleticamente dai pariruolo americani, e schiacciato dalle aspettative di una scelta così alta. La sua difesa era semplicemente orrenda, e i giornalisti si scatenarono, cominciando a chiamarlo Irk Nowitzki, senza quella “D” che nella NBA sta sempre per “defense”. I Mavericks misero insieme un deprimente 19-31 di record, con Dirk a collezionare medie non proprio lusinghiere (8.2 pts e 3.4 rbd con il 40% dal campo in 20.4 minuti), anche se, nelle ultime dodici partite chiuse otto volte in doppia cifra.
“Ero così frustrato, ho pensato anche di tornarmene in Germania. Il salto [dalla seconda lega tedesca alla NBA] era come saltare giù da un aereo sperando che il paracadute si sarebbe in qualche modo aperto.”
A Dirk Nowitzki, e ai Dallas Mavericks, serviva una decisa inversione di marcia. Don Nelson voleva sfruttare le abilità di passatore del giovane tedesco strutturando il suo gioco come quello di una point-forward, e Dirk giovò parecchio della nuova impostazione. Passato il primo approccio traumatico, nella stagione 1999/2000 il gioco di Dirk Nowitzki, anche dal punto di vista difensivo, migliorò sensibilmente, portandolo a calcare il parquet più a lungo, con risultati decisamente più rassicuranti. 17.5 pts, 6.5 rbd e 2.5 ass di media, in 35.8 minuti sul campo, tirando con il 46%, questi furono i numeri del teutonico, con picchi anche di 32 pts, nella stagione nella quale divenne anche il giocatore più alto della storia a partecipare al Three Point Contest dell’All-Star Weekend. Finì anche secondo, dietro a Jalen Rose, nella corsa al premio come Most Improved Player, e partecipò a una delle più belle partite tra Rookie e Sophmore di sempre, in squadra con Paul Pierce e Vince Carter, contri i Rookie guidati da Steve Francis e Lamar Odom. Ma l’evento più importante di quella stagione per i Dallas Mavericks non avvenne sul parquet, ma nelle segrete stanze di un qualche studio di avvocati della città texana. Il proprietario dei Mavs era, all’epoca, Ross Perot jr., un magnate del mercato immobiliare che aveva acquistato la franchigia negli anni ’80 per circa 125 milioni $, ma che era praticamente digiuno di basket, e più interessato a investire negli elicotteri che nella sua squadra. Con lo scoccare del millennio, Ross jr. aveva deciso di vendere i Dallas Mavericks, e così, il 4 gennaio del 2000, ottenne 280 milioni $ da un tipo eccentrico, nativo di Pittsburgh, che aveva guadagnato una fortuna grazie alla vendita di una società di broadcasting on-line. Uno a cui, a prima vista, non avrebbe affidato nemmeno i soldi della colazione al bar. Quel tipo, chiaramente, era Mark Cuban.
Cuban cambiò immediatamente le cose in casa Mavs, rivoluzionando la squadra e l’ambiente, investendo in maniera spasmodica, ma, soprattutto, facendosi vedere presente, in ogni partita, sempre a bordo campo, sempre pronto a incoraggiare i suoi giocatori, il primo dei loro tifosi, il più sfegatato e rumoroso. Era impossibile non amarlo. E Dirk fu tra i suoi ammiratori della prima ora. Qualche tempo dopo l’arrivo del nuovo proprietario, in un’intervista dichiarò:
“Ha creato l’ambiente perfetto […] Dobbiamo solo andare là fuori e vincere.”
Ma nonostante tutto questo, Dallas non riuscì a brillare nemmeno quell’anno, di nuovo esclusa dalla post-season dopo il record di 40-42 in regular season. Il cambio di rotta, però, era ormai avviato.
Nella stagione 2000/01 i Mavs partirono con uno spirito completamente diverso, guidati da un Dirk Nowitzki in forma assolutamente smagliante. Oltre al tedesco, anche Michael Finley giocò una stagione straordinaria (i due furono gli unici due giocatori dei Mavs a partire in quintetto in tutti gli 82 match stagionali), mentre Steve Nash, che aveva stretto una solida amicizia con Nowitzki, si confermò sempre di più come un astro nascente del playmaking, facendo già intravedere qualche sprazzo dell’MVP che sarebbe diventato. I media si innamorarono di quella squadra che giocava un basket frizzante e divertente, e cominciarono a chiamare il trio Nash-Finley-Nowitzki i “Big Three” di Dallas. Dirk chiuse la stagione come miglior marcatore dei Mavs, con 21.8 pts di media, staccando di un’incollatura Finley (21.5), mettendo in cascina anche 9.2 rbd, 2.1 ass, e 1.2 blk, diventando, tra l’altro, il primo giocatore dopo Robert Horry a segnare più di 100 triple e a mettere a segno più di 100 stoppate in una singola stagione. Alla fine della regular season, che Dallas chiuse con il record di 53-29 e un quinto posto in Conference, Dirk diventò anche il primo Mavs di sempre votato in un quintetto All-NBA, entrando a far parte del Third Team. L’impatto di Dirk Nowitzki con i playoff non avrebbe potuto essere più duro, visto che davanti ai Mavs si ergevano gli Utah Jazz del duo delle meraviglie John Stockton-Karl Malone. I texani persero le prime due gare, giocate in quel di Salt Lake City, ma al ritorno a casa un fantastico Nowitzki da 33 punti a partita in gara-3 e gara-4 pareggiò la serie. Lo scontro decisivo si svolse nello Utah, e vide i Mavs inseguire i padroni di casa per tutta la partita. Tutta meno il momento più importante, ossia a 9.8 secondi dal termine, quando Calvin Booth segnò il lay-up del sorpasso Dallas, sull’84-83. L’ultimo possesso venne sprecato da Bryon Russell e Karl Malone, che non riuscirono a mettere la palla nel cesto. I Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki, tornati per la prima volta ai playoff dopo più di dieci anni, riuscirono quindi a continuare il loro percorso. Ma ad aspettarli, alle Semifinali di Conference, c’era il “derby” texano contro i San Antonio Spurs. I nero-argento investirono Dallas come un uragano, portandosi a casa i primi tre appuntamenti della sfida, per poi patire una sconfitta in gara-4. Tornati a San Antonio per giocarsi tutto, i Mavericks vennero letteralmente sottomessi a livello difensivo dagli Spurs, che costrinsero i giocatori di Dallas a percentuali imbarazzanti. Tutti tranne uno. Perché in quella gara-5 maledetta, persa per 105-87, Dirk Nowitzki segnò 42 punti, conditi anche da 18 rimbalzi. E ai microfoni, che gli chiedevano un commento a caldo, disse solo:
“Davvero, è una delusione finire la stagione con una sconfitta senza appello.”
Con l’estate alle porte, anche il contratto da rookie di Dirk Nowitzki giunse al termine, ma Dallas era ormai la sua seconda casa, e la squadra era costruita per vincere. Il rinnovo del contratto (90 milioni $ per sei anni) fu scontato. Durante l’offseason sposò la causa dei Mavericks anche Nick Van Exel, che avrebbe arricchito con la sua qualità le rotazioni di Don Nelson. Nella stagione 2001/02 Dirk continuò a migliorare le sue medie, sfiorando la doppia doppia (23.4 pts e 9.9 rbd), aggiungendoci anche 2.4 ass, numeri che gli valsero il Second Team All-NBA, e guidando, sempre con i fidi compagni d’avventura Nash e Finley, i Mavericks al record di 57-25, che valeva di nuovo i playoff. Al primo turno i Mavericks incontrarono i Minnesota Timberwolves di Kevin Garnett, che spazzarono via con un secco 3-0, con Nowitzki a dominare KG per tutta la serie (il tedesco segnò 33.3 pts di media durante quelle tre partite, contro i 24 netti del giocatore dei T’Wolves). Al secondo turno i Mavericks trovarono i Sacramento Kings di Chris Webber e Vlade Divac. I californiani vinsero la prima sfida, ma Dallas pareggiò prontamente la serie in gara-2. Poi, a partire da gara-3, il coach dei Kings, Rick Adelman, decise di cambiare il suo schema difensivo su Nowitzki, prima fronteggiato one-on-one da Webber, ora preso in consegna da Hedo Turkoglu e raddoppiato dallo stesso Webber nelle azioni in post. Fu la mossa risolutiva. Dirk visse il suo peggior incubo, sistematicamente raddoppiato, limitato, costretto a perdere il pallone. I Kings vinsero le tre sfide successive, buttando di nuovo i Mavericks fuori dalla post-season.
Don Nelson, d’accordo con Mark Cuban, decise di dedicare molta più attenzione al gioco difensivo della squadra, in modo da sfruttare anche le grandi abilità di stoppatori dei due centri della squadra, Shawn Bradley e Raef LaFrentz. Il nuovo approccio sembrò giovare enormemente ai Mavs che, al “pronti, via!” della stagione 2002/03 si presentarono vincendo le prime 11 consecutive, con Nash, Nowitzki e Finley a condividere il titolo di Player of the Month a novembre. Nowtziki sembrava irrefrenabile, e continuò a migliorare le sue medie (25.1 pts, 9.9 rbd e 3 ass a partita), diventando il primo europeo a segnare 2.000 punti in una singola stagione e guadagnandosi la convocazione all’All-Star Game e l’inclusione nel Second Team per il secondo anno consecutivo. I Mavericks chiusero la regular season con lo straordinario record di 60-22, che valse il terzo posto in Conference e l’accoppiamento con i Portland Trail Blazers ai playoff. In quel 2003 la lega aveva appena modificato il formato del primo turno dei playoff, passando dal meglio delle 5 al meglio delle 7 gare. Ma probabilmente l’orologio dei Dallas Mavericks era ancora settato sull’anno precedente. Dopo aver vinto le prime tre partite in modo agevole, infatti, i texani persero completamente la bussola. Portland riuscì a vincere una, due, tre partite, e arrivò persino a sfiorare l’impresa in una tiratissima gara-7 in quel di Dallas. Ma Dirk Nowitzki non era d’accordo, e con una tripla fantascientifica a un minuto dalla fine della partita riuscì a mettere il risultato in ghiaccio, garantendo il passaggio del turno ai suoi Mavs.
“Questo è stato il canestro più importante della mia carriera. Non ero pronto ad andarmene in vacanza così presto. Dovevamo essere più fisici nel pitturato e a rimbalzo, abbiamo lavorato duro tutto l’anno per avere il fattore casa, e lo abbiamo usato oggi.”
Al secondo turno Dirk Nowitzki era atteso di nuovo dall’incontro con i Sacramento Kings, e visto come era andata a finire l’anno precedente, il tedesco scese in campo con tutta la rabbia agonistica che aveva. Dopo la sconfitta patita in gara-1, furono Dirk e Van Exel (61 punti insieme in gara-2) a riportare i Mavs in carreggiata. Nonostante l’infortunio di Webber la serie fu appassionante, e si trascinò di nuovo fino a gara-7 dove i Mavs riuscirono a prevalere. La ESPN impazzì per le prestazioni di quello che avevano chiamato Irk Nowitzki, ribattezzandolo “Big D”. I tempi erano decisamente cambiati. Un Dirk pazzo di gioia dichiarò entusiasta:
“Abbiamo imparato a chiudere le partite!”
In Finale di Conference però, c’erano di nuovo i San Antonio Spurs, avversario tutt’altro che semplice da affrontare. Ma Dirk era ormai a un livello impressionante, e in gara-1 riuscì a tenere a bada Tim Duncan e al contempo a segnare 38 punti per guidare i Mavericks alla vittoria. Già in gara-2, però, il caraibico degli Speroni riuscì a caricare l’avversario tedesco di falli, costringendolo per lungo tempo in panchina. Poi, in gara-3, il disastro. Dirk salì a rimbalzo e Manu Ginobili impattò, del tutto involontariamente, contro il suo ginocchio. Fu uno scontro duro, e il tedesco ebbe la peggio. Fu costretto ad abbandonare la partita, e la serie, lasciando i Mavericks orfani del loro miglior realizzatore. Dallas continuò a combattere valorosamente, ma non poté evitare che gli Spurs, che poi sarebbero diventati campioni NBA, li battessero 4-2. Don Nelson commentò la sconfitta dicendo:
“Abbiamo giocato bene per così tanto […] Ci siamo raffreddati al momento sbagliato.”
Per la stagione successiva (2003/04) Don Nelson concordò un nuovo piano con Mark Cuban, sempre coinvolto nelle questioni della squadra, decidendo di aggiungere al roster delle ali dal ruolo spiccatamente offensivo. Fu così che Van Exel e un pacchetto di giocatori della panchina lasciarono Dallas in cambio di Antawn Jamison, ala All-Star dei Golden State Warriors, mentre Raef LaFrentz raggiunse Boston in cambio di Antoine Walker. Ma la partenza di LaFrentz lasciava scoperto il ruolo di centro, che Shawn Bradley, ora più vecchio e tormentato dagli infortuni, non era in grado di ricoprire come un tempo. Nelson cercò di ottenere un altro centro, ma invano. Così chiamò Dirk Nowitzki e gli chiese se se la sentisse di giocare nella posizione di 5. Dirk non era mai stato tipo da tirarsi indietro davanti a una sfida, così passò l’estate a mettere su massa muscolare e ad allenare la sua difesa per non farsi trovare impreparato all’urto con gli altri big men della lega. Le sue medie ne risentirono, calando, per la prima volta da quando era entrato in NBA (21.8 pts, 8.7 rbd, 2.7 ass, 1.2 stl e 1.3 blk), ma bastarono comunque a eleggerlo come il miglior giocatore di Dallas, a portarlo di nuovo all’All Star Game, e a inserirlo nel Third Team. I Mavs siglarono un record di 52-30 e incontrarono i rivali Sacramento Kings al primo turno dei playoff, venendo eliminati in 5 gare.
Quell’estate del 2004 fu fatta di stravolgimenti, fu l’estate che avrebbe ridefinito il ruolo di Dirk Nowitzki nell’organizzazione dei Mavericks.
Durante la off-season del 2004 Dallas fu oggetto di una vera e propria ristrutturazione. Il contratto di Steve Nash scadde, e in free agency il playmaker canadese decise di firmare per i Phoenix Suns, che lo rimpiangevano ancora dall’epoca dello scambio con i Mavs. Se ne andarono anche Walker e Jamison, e Dirk Nowitzki rimase, con Michael Finley, l’unica stella della squadra. In compenso arrivò il centro Eric Dampier, specialista difensivo, che permise a Nowitzki di tornare alla sua posizione naturale di ala forte. Nonostante tutti i cambiamenti, la squadra ingranò, seguendo il suo condottiero Dirk Nowitzki che giocò la sua miglior stagione dall’arrivo nella lega: 26.1 pts e 9.7 rbd, 3.1 ass, 1.2 stl e 1.5 blk di media, con uno spettacolare exploit offensivo la sera del 2 dicembre 2004, nella partita contro gli Houston Rockets di Tracy McGrady e Yao Ming: 53 punti, e career high per il tedesco. Ma proprio sul più bello, con la squadra che macinava vittorie ed era sul 42-22 di record, Don Nelson diede le dimissioni, lasciando la panchina al suo assistente Avery Johnson, che portò a termine la stagione con il record di 58-24. Nonostante questo cambiamento repentino, Dirk entrò nel First Team All-NBA, primo giocatore cresciuto cestisticamente al di fuori degli Stati Uniti a riuscire nell’impresa, e risultò terzo nelle votazioni per l’MVP, dietro soltanto a Steve Nash e a Shaquille O’Neal. Al primo turno dei playoff Dallas affrontò il “derby” texano contro gli Houston Rockets e, nonostante Dirk Nowitzki venisse limitato dalla marcatura asfissiante di Ryan Bowen, e il doppio vantaggio iniziale nella serie dei Rockets, i Mavs riuscirono a portarsi a casa la serie in gara-7. Al secondo turno però si trovarono davanti i Phoenix Suns dell’ex per eccellenza, il miglior amico di Dirk, l’MVP, Steve Nash. La serie fu in equilibrio per le prime quattro gare, con le squadre a dividersi equamente la posta in gioco, poi i fantasmi del primo turno tornarono a tormentare Dirk, che tirò malissimo negli ultimi due appuntamenti della sfida (addirittura 9/25 in gara-6) e che era visibilmente nervoso e irritato. I Mavs uscirono mestamente dopo quella sconfitta 4-2. E già un nuovo cambiamento era in agguato.
In quell’estate 2005 Dallas cedette il capitano di lungo corso Michael Finley, puntando completamente le proprie carte su Dirk Nowitzki, che era diventato il volto della franchigia. Il tedesco seppe ben ripagare Mark Cuban della fiducia, azzeccando la stagione perfetta: 26.6 pts, 9 rbd e 2.8 ass, la vittoria nel Three Point Contest contro Gilbert Arenas e Ray Allen, una nuova inclusione nel First Team e un altro terzo posto nelle votazioni per l’MVP, ancora dietro a Steve Nash, e a LeBron James. Ma il vero capolavoro arrivò ai playoff. I Mavs avevano infilato un record di 60-22 che li piazzava al quarto posto (dietro ai tre vincitori di Division), e al primo turno vennero accoppiati ai Memphis Grizzlies, spazzati via con un altisonante 4-0, poi nelle Semifinali di Conference, l’incontro contro i temibilissimi San Antonio Spurs, campioni uscenti e detentori del record migliore di quell’anno. Le due squadre texane si diedero battaglia senza quartiere per sei gare, incontrandosi all’appuntamento decisivo sul parquet dell’AT&T Center di San Antonio. La partita fu tirata e spettacolare, e rimase in bilico fino a 30 secondi dalla fine, quando Manu Ginobili si inventò la tripla del vantaggio Spurs. Ma i festeggiamenti potevano aspettare, perché in campo c’era Dirk Nowitzki, che trovò il gioco da tre del pareggio a quota 104, che valse l’overtime. Fu grazie a un Dirk caldissimo (37 pts e 15 rbd a fine match) che Dallas ottenne la vittoria decisiva per 119-111, e avanzò in Finale di Conferece, di nuovo contro i Phoenix Suns di Steve Nash. Una sconfitta in gara-1 non riuscì a spegnere gli entusiasmi derivati dall’impresa del turno precedente, e così i Mavs, guidati da un Dirk assolutamente fantascientifico (capace anche di mettere a referto 50 pts in gara-5), sbrigarono la pratica Suns in sei gare. Bill Simmons di ESPN dichiarò:
“Dirk sta a giocando a un livello superiore a qualsiasi ala dai tempi di Larry Bird.”
Le porte dell’Olimpo erano a un passo, e un solo ostacolo si frapponeva fra Dirk e la gloria: i Miami Heat di Dwyane Wade e Shaquille O’Neal. Sembrò tutto facile quando Dallas portò a casa le prime due sfide, Mark Cuban cominciò addirittura a progettare il percorso della parata che avrebbe portato in trionfo per le strade di Dallas il Larry O’Brien Trophy. Ma il basket, a volte, è fatto di piccole cose. Miami vinse gara-3 di 15 punti, cambiando completamente l’inerzia della serie. Sotto pressione, Dirk cominciò a sbagliare, e alla fine furono gli Heat a gioire, vincendo il titolo per 4-2. Fu innegabilmente un duro colpo. Ma Dirk non era mai stato abituato a cedere.
La stagione 2006/07 doveva essere diversa. Dirk la aggredì con rabbia, con fame, elevando ancora una volta il suo gioco a picchi altissimi. Segnò 24.6 pts a partita, con 8.9 rbd e 3.4 ass, ma soprattutto tirò con il 50.2% dal campo, con il 40% dalla linea dei tre punti e con il 90% dai liberi. Era soltanto il quarto giocatore nella storia a riuscirci. Simili prestazioni, che trascinarono i Mavs a un record di 67-15, tuttora il migliore della storia della franchigia, non passarono certo inosservate, e dopo aver soltanto accarezzato il sogno, finalmente Dirk Nowitzki venne nominato MVP, primo, e finora unico, europeo nella storia a ricevere questo onore. Il primo turno di quei playoff 2007 contro i Golden State Warriors sembrava essere una pura formalità, ma nessuno aveva ancora fatto i conti con Stephen Jackson. Per tutti i sei match della serie, l’ala dei Warriors difese in maniera magistrale sul tedesco, rimanendogli attaccato anche quando andava in panchina. Senza rifornimenti da parte dei compagni, e continuamente braccato da quel mastino Dirk non riuscì a farsi completamente valere, e i Mavericks si sciolsero, subendo una umiliante eliminazione per 4-2.
La stagione 2007/08 iniziò senza particolari squilli di tromba, con la squadra lontana dai fasti dell’anno precedente, che sembrava incapace di ripetersi. A metà stagione Mark Cuban tentò di migliorare la situazione imbastendo una trade che portò a Dallas Jason Kidd, ma nulla sembrava in grado di scuotere i Mavs. Dirk Nowitzki era il solo a non arrendersi. L’8 marzo 2008, segnando 34 punti contro i New Jersey Nets, superò Rolando Blackman a quota 16.644 punti, per diventare il realizzatore più prolifico della storia dei Mavericks. Ma non bastò nemmeno questo. La squadra chiuse la regular season con un mesto settimo posto, e con l’eliminazione in cinque gare ai playoff per mano dei New Orleans Hornet di un Chris Paul in costante ascesa. I risultati scadenti portarono al licenziamento di Avery Johnson, che venne rimpiazzato da Rick Carlisle. Con lui al timone, nella stagione 2008/09, Dirk segnò 25.9 pts di media (con 8.4 rbd e 2.4 ass) per trascinare la squadra a un record di 50-32 e all’upset nel primo turno dei playoff contro i rivali dei San Antonio Spurs, battuti per 4-1. Ma il tedesco non poté nulla in Semifinale contro i Denver Nuggets targati Carmelo Anthony, che eliminarono i Mavs in cinque gare. Peggio andò nella successiva stagione 2009/10, anche se i Mavericks misero insieme un record di 55-27 e poterono festeggiare, il 13 gennaio 2010, l’approdo di Dirk Nowitzki nel club dei giocatori che avevano segnato più di 20.000 punti in carriera. Al primo turno dei playoff, però, nonostante la squadra si fosse rinforzata con gli arrivi di Shawn Marion e Caron Butler, si infranse contro il muro dei San Antonio Spurs.
Erano stati quattro anni duri. Quattro anni di frustrazioni, di critiche, di pressioni. Superare costantemente le 50 vittorie in regular season non bastava se poi la squadra non riusciva a passare nemmeno il primo turno dei playoff. La mancanza dei piani alti bruciava. Dirk voleva tornare a sentire il sapore di Finals. E lo voleva subito. Nell’offseason del 2010 Mark Cuban lavorò a una trade per portare a Dallas il centro specialista difensivo Tyson Chandler, ma, soprattutto, rinnovò il contratto di Dirk Nowitzki, l’uomo squadra, l’immagine stessa della sua franchigia. 80 milioni $ per rimanere legato ai Dallas Mavericks altri quattro anni. 80 milioni di motivi in più per tentare quell’assalto al titolo. Dirk e i suoi Mavs partirono con gli sfavori del pronostico. Visti i precedenti, il record di 57-25, che valeva la seed #3, non impressionò nessuno. Tutti gli esperti pronosticavano il collasso della franchigia texana al primo turno contro Portland, e quando, dopo le due vittorie ottenute in casa, i Mavs crollarono in Oregon, permettendo ai Blazers di pareggiare la serie, ogni fosca previsione sembrò avverarsi. Ma Dallas non mollò, e, grazie anche a due prove maiuscole di Nowitzki, chiuse la serie in sei gare, avanzando al turno successivo, contro i defending champions, i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e di “Coach Zen”, Phil Jackson, che si sarebbe ritirato alla fine della stagione. Di nuovo tutti i pronostici erano contro Nowitzki e i suoi. La realtà, invece, fu molto diversa. Dallas rimase attaccata con le unghie e con i denti a gara-1, e, con una rimonta tutto cuore nel quarto quarto, riuscì a vincere con un risicato 96-94. Fu l’inizio di una cavalcata. I Lakers, scioccati, non poterono che soccombere a quell’uragano, mentre venivano cancellati dai Mavericks per 4-0. Gli scettici erano già stati smentiti due volte, ma non sembrava bastare. Tutti puntarono di nuovo contro Dallas nelle Finali di Conference, che li vedevano contrapposti agli Oklahoma City Thunder di Kevin Durant e Russell Westbrook. Non c’era errore più grande da fare. In gara-1 Dirk mise subito le cose in chiaro, infilando 48 pts e 24 tiri liberi consecutivi (un record dei playoff). In gara-4, con Dallas avanti nella serie 2-1, ma sotto nel punteggio 99-84, Dirk riuscì a invertire l’andamento della partita, mettendo 40 punti e trascinando Dallas alla vittoria all’overtime. Gara-5 bastò a prendersi, per la seconda volta, il titolo di Campioni della Western Conference. Per la seconda volta nella carriera di Dirk l’Olimpo era lì, a portata di mano. Per la seconda volta c’era un ostacolo. Per la seconda volta quell’ostacolo era rappresentato dai Miami Heat. Quello era il primo anno dei “Big Three” di Miami.
Dwyane Wade era stato raggiunto da LeBron James e Chris Bosh per formare una squadra che aveva il solo scopo di vincere il titolo NBA. Inutile dire che, nonostante tutto il percorso già compiuto, nonostante quanto dimostrato, i pronostici pendevano ancora dalla parte opposta ai Mavericks, soprattutto quando Miami si portò a casa il primo appuntamento della sfida, e Nowitzki soffrì di un piccolo infortunio ai tendini della mano sinistra. In gara-2 la storia sembrava doversi ripetere, quando nel quarto quarto Dallas si ritrovò sotto per 88-73, ma un Dirk straordinario, in killer mode, riuscì a rimettere la partita sui binari giusti, segnando nel finale il layup mancino su Bosh che pareggiò la serie. Miami vinse gara-3, e in gara-4 Dirk si presentò nell’arena con la febbre a 38.1. Quello che Dirk fece in quella partita ha un solo precedente, e i tifosi Bulls lo ricordano con affetto, chiamandolo “Flu Game”. 21 pts in quella partita per il tedesco, ma soprattutto il canestro fondamentale dell’86-83 finale. Quella partita fu la svolta. Dallas aveva troppa benzina, i Big Three ancora troppo poca. Nelle due partite successive Dirk e i suoi Mavs dominarono James e gli Heat e portarono per la prima volta nella storia della franchigia il titolo a Dallas. Non sorprese nessuno il fatto che a Dirk Nowitzki fosse consegnato il trofeo di MVP delle Finals. Una ulteriore gemma, la più splendente di una carriera straordinaria.
Nella successiva stagione 2011/12, accorciata dal lockout, Dallas perse alcuni giocatori chiave come DeShawn Stevenson, J.J. Barea e, soprattutto, Tyson Chandler, sedotto dai soldi dei Knicks e, nonostante l’arrivo di Vince Carter, Lamar Odom e Delonte West, la squadra smarrì la grinta che l’aveva portata al titolo l’anno precedente. Solo Dirk continuava a macinare gioco e punti. Proprio in quell’anno, segnando i suoi 23.355 pts in carriera, superò Robert Parish al #20 posto nella classifica All-Time dei marcatori NBA. Quindi superò anche Charles Barkley, raggiungendo 24.000 pts il 15 aprile 2012. Mise a segno anche la sua stoppata numero 1.000 (su Avery Bradley dei Celtics) raggiungendo Clifford Robinson e Rasheed Wallace nel ristrettissimo club di giocatori con almeno 1.000 triple segnate e stoppate. I Mavericks arrivarono settimi in Conference e vennero spazzati via per 4-0 al primo turno dagli Oklahoma City Thunder. Nella stagione 2012/13 i Mavs persero anche Jason Kidd, Jason Terry e Brendan Haywood, e nonostante gli innesti di O.J. Mayo, Chris Kaman, Elton Brand e Darren Collison, la squadra non riuscì a ingranare. Nowitzki arrivò a fare un patto con i suoi compagni: non si sarebbero tagliati la barba finché non avessero raggiunto un record del 50%. Ci vollero quattro mesi, e ci volle che Dirk toccasse quota 25.000 punti (era il 14 aprile 2013), ma alla fine i Mavs raggiunsero il 40-40 di record, e i “Beard Bros” come la stampa aveva cominciato a chiamarli, poterono radersi. Tuttavia nemmeno quello bastò perché la squadra centrasse i playoff, e così per la prima volta dopo 12 anni Dallas mancò l’appuntamento con la postseason. La stagione 2013/14 iniziò con le firme di Monta Ellis e Devin Harris (anche se furono necessari gli addii di Mayo, Kaman, Brand e Collison), e con Dallas desiderosa di riprendersi il posto che le spettava sullo scacchiere della NBA. Ma più che una corsa verso i playoff, quella stagione divenne la corsa di Dirk Nowitzki verso la storia: il 12 novembre superò Jerry West, il 20 Reggie Miller, il 23 dicembre Alex English, il 29 gennaio raggiunse i 26.000 punti. Il 12 marzo sorpassò John Havlicek, l’8 aprile Oscar Robertson, diventando il #10 marcatore della storia. E non era ancora finita. Dallas arrivò di nuovo ai playoff, incontrando però i San Antonio Spurs che faticarono per sette gare prima di superarli, e avviarsi a vincere il titolo NBA. E finalmente arriviamo alla stagione 2014/15, al punto da cui tutto è partito, a quella sera dell’11 novembre quando Dirk Nowitzki ha superato Hakeem Olajuwon. La sua storia non è finita certo lì, perché quella stagione è continuata, e Dirk ha segnato ancora, raggiungendo anche i 27.000 punti (tutti con la stessa franchigia, come solo Michael Jordan, Kobe Bryant e Karl Malone hanno fatto), poi Elvin Hayes (il 26 dicembre) e Moses Malone (il 5 gennaio). Infine arrivano anche i sospirati 28.000 punti. La storia di Dirk Nowitzki non è ancora finita, mentre si appresta a iniziare una nuova stagione con i suoi amati Mavericks e a superare, possibilmente, anche Shaquille O’Neal, ma è qui che ci interrompiamo noi.
Perché di Dirk Nowitzki si possono dire molte cose, ma alla fine la sola parola importante è quel termine tedesco che sale alle labbra ogni volta che si vede la sua chioma bionda muoversi sul parquet: Wunder!
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