Categorie: Primo Piano

Si apra il sipario, bentornata NBA!

Scorre rapidamente il sipario di velluto.
Il lucente parquet illumina la timida penombra; lentamente uno spettro in giacca e cravatta sporge i suoi occhiali sul ciglio del palco: “Salve, sono Adam Silver e state per assistere, ancora una volta, allo spettacolo più emozionante del mondo”.
La folla applaude, è uno scrosciante fiume in piena.

Ci siamo, ci risiamo. Mi volto e la platea è un elettrizzato tripudio di visi: c’è chi sta disteso sul divano, chi si beve una bibita energetica, chi condivide una poltrona con il fratellino.
Ricomincia il freakshow, quello dei supereroi con i razzi sotto i piedi, quello dei pianisti con le note nei polpastrelli. Ricomincia l’inarrestabile caleidoscopio di 82 partite: sempre uguale, sempre diverso, unica destinazione le Finals.

Adam Silver abbandona il palco, è tempo di aprire le danze: vibra il suolo (Jurassic Park docet), i giganti stanno abbandonando il backstage, uno alla volta. Passo dopo passo, tonfo dopo tonfo, guidati da nuove scarpe alate numero 45 e oltre. Brulica il pubblico, in lontananza qualcuno urla alla madre di non provare a cambiare canale.

Ora ci sono proprio tutti, disposti ordinatamente sul palco: enormi, titaniche statue incartate in divise minimaliste. C’è chi saltella nervoso, chi ondeggia il collo, chi abbassa la testa per concentrarsi. Sono divisi in gruppi, in fazioni; si stimolano, si stuzzicano, si caricano: una vasta distesa di colori, talento, strapotenza atletica.

“Questo è il nostro anno!” esordisce una figura perfetta, avanza con i piedi leggermente divaricati, gli pende sulla fronte una corona. Al suo fianco sguainano le spade i cavalieri di Cleveland; il palco cambia geografia in un istante.

“Lo era anche la scorsa stagione…” squillano con irriverenza degli occhi di ghiaccio, hanno Il 30 cucito sul petto. Sono arrivati anche loro, i guerrieri di Oakland, con il Larry O’Brien Trophy in mano ed un elmo a celare il viso. Il primo atto è già servito, la pelle d’oca è stabile.

Basta alzare gli occhi e su, tra le nuvole, stanno già tuonando le saette di Okc; al loro fianco impazzano, nell’aria sempre più rarefatta, i razzi di Houston. Scintille e barbe. Li seguono, ad altezze inarrivabili, i saltatori di Lob City con i loro polpacci a molla.

Pochi istanti e l’occhio di bue cambia soggetti: una grande zuffa nella parte est del palco, si fronteggiano i maghi di Washington, i tori di Chicago, i dinosauri di Toronto. Uno scontro senza regole e precedenti, senza tempo e luogo: la bacchetta magica saldamente in mano a Wall, le incornate di Butler e della sua mandria, gli artigli graffianti di Lowry, DeRozan, Carroll e compagni.

In platea qualcuno sviene, qualcun altro riprende con lo smartphone, la tensione aumenta, secondo dopo secondo. Il caotico spettacolo è solo all’introduzione, eppure è già un connubio di magia e sudore.

“Fate entrare i canestri” rugliano i Grizzlies gonfiando il petto, hanno una strana cadenza catalana. Sopra le loro teste volano fiere le aquile di Atlanta, iniziano la loro famelica picchiata sui cervi del Wisconsin.

La scena si popola, attimo dopo attimo, tutto diventa epicamente nitido, favolosamente reale.
Dal puzzle umano spuntano, curiosamente, due figure quasi speculari. Sono protagonisti del futuro di questo freakshow: li chiamano “monociglio” e “mostro greco”, le loro braccia lunghissime sfiorano il suolo.

Fanno il loro ingresso anche i fischietti, seguiti da telecamere e commentatori, cheerleader e mascotte. Tutto è pronto, per davvero. Guardo alla mia destra, poi alla mia sinistra, siamo quelli dell’anno scorso, ci riconosco uno ad uno, seduti sui nostri posti riservati: dallo studente di Gubbio al notaio di Marsala, dal cameriere di Brescia al manager di Caorle.

Scendono dal palco, per salutarci, tre ragazzi che abbracciamo istintivamente. Gallo, Beli e Mago sventolano il tricolore, come hanno fatto fieramente quest’estate, come faranno per tutta la durata dello spettacolo.

Tip-off, palla a due. L’arancia Spalding abbandona le mani dell’arbitro, raggiunge il picco più alto del suo viaggio nel vuoto. Sul tetto del mondo, ferma, immobile, con migliaia di occhi racchiusi in una platea ansiosa.

Si staccano i piedi da terra, volano i giganti in paradiso. Il tetto del mondo è qui.
Buona NBA a tutti noi, appassionati italiani; buono spettacolo a tutti noi, amanti dell’arte più pura.

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Scritta da Gianmarco Pacione

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Pubblicato da
Michele Ipprio

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