Draymond Green e l’arte del giocatore tuttofare

Quinto minuto di gioco di un pastoso matinée domenicale. I Clippers (fortunatamente senza l’inguardabile pigiamino azzurro della passata stagione) sbagliano un tiro fuori equilibrio, concedendo la transizione ai Raptors. De Rozan accelera puntando dritto al ferro, salvo poi sterzare improvvisamente e imbeccare con precisione Scola nel mezzo angolo. L’argentino, piedi a posto, prende e realizza la tripla dell’11 pari.

Un attimo. Fermiamoci un attimo a riflettere. 

Luis Scola che apre l’area, a 7 metri dal ferro, pronto a fare con competenza il lavoro di un esterno? Il sempre ottimo Flavio Tranquillo in telecronaca non tarda a sottolineare la metamorfosi del (ahinoi) campione olimpico ad Atene 2004.

11 triple a bersaglio su 23 tentate in queste prime 15 gare, a fronte di una carriera da 10 su 60 TOTALE nelle precedenti 8 stagioni. Non il primo (e non di certo l’ultimo) ad esplorare questa opzione, in una Lega che fa dello spazio un concetto di sempre più rilevante importanza. Allargare il campo in attacco è necessario contro degli atleti così rapidi, forti e lunghi.

Una direzione che in NBA è stata intrapresa (con discreto successo), già da qualche anno. Senza andare troppo a ritroso, andiamo a vedere le ultime squadre che a fine ottobre hanno alzato il vessillo della vittoria all’interno delle proprie arene.

Nel 2011 l’anello lo portarono a casa i Dallas Mavericks, che in quanto a spaziare il campo (e tirare da 3), se la cavavano discretamente.

Una squadra completa, corale, guidata da uno che “4 perimetrale” lo è sempre stato, Dirk Nowitzki. Un giocatore straordinario, per cui le stagione sembrano non passare mai. Basta guardare la shotchart di questo inizio Regular Season per rendersene conto.

Un poeta della pallacanestro, chiave in quella post season 2011, anche contro i Miami Heat finalisti. Un tiratore così pericoloso non può essere lasciato neanche a 6 metri dal ferro, neanche da un avversario restio ad allontanarsi dal canestro, neanche quando la difesa collassa sul penetratore.

In questo caso infatti, lo spazio e il tempo per prendere il tiro sono più che sufficienti per mettere due punti a referto. Un close out arrivato troppo tardi, ma che deve essere giocato sempre con i tempi giusti. Altrimenti si rischia lo stesso di fare una brutta fine.

Nowitzki in questa situazione infatti prende controtempo il difensore “in uscita” sulla sua finta, mette palla a terra (come un esterno) e attacca convinto il ferro.

I punti alla fine sono sempre due, come gli anni trascorsi dopo cui, proprio i Miami Heat così in difficoltà contro la duttilità del tedesco, portano a casa il secondo titolo consecutivo grazie ad un quintetto “piccolo”, con 4 tiratori sul parquet.

Ma come? Non hanno vinto grazie alla tripla di Allen dall’angolo in gara 6, ai jumper di LeBron dalla media?

Certo, tutto vero, tutto giusto, tutto necessario. Ma la differenza la fece proprio lo small ball di Miami, vedere per credere.

Questi i “quartetti” col miglior NetRtg scesi sul parquet per più di 15 minuti. Miami l’ha vinta con Andersen e quattro piccoli sul parquet. Che fosse Miller o addirittura James il “secondo lungo”, poco importa. Una tendenza chiara, un campo sempre più ampio, percentuali reali che schizzano alle stelle.

Ormai abbiamo capito il giochino. E l’anno dopo a mettere in scena uno dei più grandi spettacoli cestistici degli ultimi anni ci hanno pensato i San Antonio Spurs. Splitter, partito in quintetto, fu presto panchinato in favore dell’eclettico Boris Diaw, uomo tuttofare in quella cavalcata trionfale verso il Titolo.

Il giocatore transalpino garantiva difensivamente estrema duttilità sui p&r giocati da LBJ e nell’altra metà campo si spaziava a tutti gli effetti come un esterno.

In questo frame Parker attacca il proprio marcatore (riquadro verde), Duncan fuori dal pitturato lascia spazio mentre gli altri 3 Spurs sono posizionati a perfezione. Diaw, nell’angolo sul lato debole, non aspetta altro che la fucilata del playmaker suo compagno di merende. Timing. Spacing. Canestro.

Ma il panciuto francese rende ancora più polivalente il suo arsenale di soluzioni, giocando sostanzialmente da playmaker aggiunto. Questo il “passo avanti” rispetto a Nowitzki, realizzatore senza eguali ma meno incline a passare l’arancia. Questi i dati del numero 33 nelle Finals 2014.

+74 di plus/minus in 5 partite. E ben 29 assist (i quasi 50 rimbalzi faccio finta di non vederli). Andiamone a vedere uno.

In questo istante Diaw ha ricevuto uno scarico a 5 metri dal ferro, pronto a tentare la conclusione. Tutta la difesa (già mossa sapientemente in precedenza), deve adeguarsi e in due escono per contestargli il tiro.

Il francese a questo punto mette palla a terra (proprio come Dirk in precedenza). Ma punta verso un’area molto più intasata di quella che si presentava dinanzi al tedesco 800 battute fa.

In realtà il movimento di Green libera lo spazio necessario per giocare in post, ma la palla dopo neanche un palleggio è già in angolo a disposizione del numero 4. I tre punti sono soltanto una formalità.

Prima tiratori perimetrali che allargano il campo. Poi anche duttili in difesa, pronti a cambiare su ogni p&r. Infine passatori e creatori di gioco di primo livello.

Tutto questo per giungere ai “giorni nostri”, alla sublimazione del concetto. I Warriors, già campioni la scorsa stagione, stanno riscrivendo ogni tipo di record in questo inizio senza eguali. Una squadra camaleontica, guidata da Steph Curry, ma che fa della varietà di soluzioni la sua forza, rendendo obsolete definizioni come ala grande, guardia o centro.

L’emblema è Draymond Green, a cui il ricco rinnovo contrattuale estivo sembra aver donato nuova linfa. Miglior difensore della squadra, miglior rimbalzista, miglior assistman. Un playmaker che marca i lunghi avversari.

Un coltellino svizzero che permette a Golden State di sperimentare nuove combinazioni ancora più “ampie” (ritornando al concetto di spazio).

Dallas difatti schierava Chandler in quintetto nel 2011, decisivo sotto canestro proprio come Chris Andersen 2 anni dopo. Gli Spurs rinunciarono sì a Splitter, ma mai alla sapienza di Tim Duncan, mantenendo come gli altri sul parquet almeno un uomo d’area.

Il lungo dei Warriors? Ma certo, Green! Uno che tira da 3 col 44%, a comporre un lineups davvero mai visto prima.

Curry/Thompson/Barnes/Iguodala/Green. L’ala grande, la guardia o il centro sceglietelo voi. I dati fanno impressione.

160 di Offensive Rating (vuol dire 1,6 punti per possesso, come tirare con l’80% da 2 punti senza perdere mai un pallone), con 70 di Net Rtg. Una macchina da guerra in attacco, solida e compatta in difesa.

– Questo quintetto, piccolo, senza lunghi, senza giocatori d’area, prende più rimbalzi di quelli con Ezili o Bogut (riquadro verde). Il 55,8%, superando in questo anche gli avversari e trasformando una debolezza in un punto di forza. Incredibili davvero.

109 di Pace. Più che correre, volare. Non si possono fare paragoni semplicemente perché non ne esistono. Non c’è mai stata nella storia del basket una squadra che abbia continuativamente giocato a questo ritmo (i mitici Suns di D’Antoni del “Seven Seconds or less” avevano un Pace pari a 98, per dire).

Golden State invece ci sta mostrando questa meraviglia. Adesso che lo sapete, non avete davvero più scuse. Tocca guardarli (e goderseli) ogni volta che scendono sul parquet.

Buona visione.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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