1 agosto 2014, Las Vegas. Test del team USA in vista del mondiale ormai alle porte. C’è Steph, c’è Kyrye, c’è James (di nome, quello con la barba). E c’è Paul George, convocato con pieno merito dopo due stagioni in continua ascesa, deluso dalle finali di conferenze perse “con troppa facilità” contro gli Heat, ma pronto a rifarsi, a riprovarci, a guidare i suoi Pacers.
Nel quarto periodo però, mentre recupera in difesa provando ad arginare Harden, tutto in un solo istante va in frantumi. I suoi sogni, il suo futuro a breve e medio termine e soprattutto la sua gamba. Di netto, spezzata.
Il recupero appare lungo, faticoso, in salita per chi come il numero 24 (all’epoca portava quello sullo schiena) fa della fisicità ed esplosività un valore aggiunto imprescindibile del suo gioco. Il rientro, dopo 9 mesi, è giusto un assaggio. Sei gara di fine regular season, 15 minuti di media, provando a dare una mano ai Pacers ancora in corsa per l’ultimo posto disponibile ad Est.
Il ritorno contro gli Heat è evocativo. E’ quella la sua sfida, l’ostacolo contro cui da 3 anni la squadra dell’Indiana incoccia senza riuscire mai a prevalere.
La folla è commossa e la difficoltà del primo canestro è imbarazzante, un promemoria per tutti. Sono sempre lo stesso, tranne il numero. Il 13. Queste le sue parole a riguardo la scorsa estate.
“E’ soltanto scaramanzia questo cambio. Indosso il numero 24 da tempo immemore, da sempre. Ed essendo un grande fan di Kobe (Bryant) è sempre stato uno dei miei numeri preferiti.”
“Tutto ciò che c’è dietro la scelta del 13 invece riguarda solo me stesso. Sento di essere arrivato al punto in cui sono pronto a diventare una delle giovani star di questa Lega. Tutti conoscono il significato di PG-13 in tv. Beh, il mio vuole essere un show divertente e piacevole da vedere”.
PG-13 infatti negli States è un simbolo che invita i genitori a fare attenzione perché il film proposto non è adatto ai bambini al di sotto dei tredici anni. Il talento uscito da Fresno State invece sembra essere indigesto soltanto alle difese avversarie, soprattutto in questa nuova versione 2015.
Difatti, dopo la rivoluzione estiva, il team di Frank Vogel (uno dei pochi superstiti assieme a PG dei Pacers di qualche stagione fa) ha subìto una metamorfosi totale. Della squadra compassata, con due lunghi di primissimo livello, difesa solida e controllo del ritmo non è rimasto molto.
West e Hibbert (quello che gli aveva portato le caramelle gommose in ospedale subito dopo l’operazione) sono andati via, sguarnendo il reparto e forzando in parte un cambiamento quasi necessario. Come già analizzato in un articolo qualche giorno fa, la tendenza in NBA è evidente. Si cerca sempre più di allargare il campo, prediligendo giocatori perimetrali anche nel ruolo di ala grande (per dirla all’antica). Vogel avrà pensato: “Ma dove sta il problema, ho Paul George!”.
Il suo impatto a livello offensivo in questa stagione è molto promettente.
La possibilità di spaziare il campo è senza eguali. Nell’immagine, una delle mosse più riuscite: andare ad occupare l’angolo sul lato debole mentre il lungo gioca fuori dal pitturato sul lato forte. Questo apre l’area e la possibilità di andare al ferro in maniera preoccupante per la difesa.
Il blocco in realtà non serve e il lungo dei Pacers riceve semplicemente avvicinandosi a canestro, materializzando in un solo istante tutte le preoccupazioni degli avversari, la cui reazione è avventata. Collassano in quattro su Mahinmi, lasciando liberi i tiratori e la linea di fondo. In questo caso per George è facile approfittarne andando a schiacciare.
Questi soltanto due dei QUARANTA punti messi a referto contro Washington nell’ultima partita giocata. Una prestazione balistica completa, tirando con più del 70% dal campo. Godiamocela tutta.
Tanti passi avanti dunque, per quello che si sta affermando come uno dei migliori realizzatori della Lega (quarto attualmente nella “classifica capocannonieri”), anche se i particolari da limare sono ancora tanti. A partire dalla distribuzione di tiro.
Troppo midrange. Tanti tiri dalla media, spesso fuori ritmo, dettati più dalla consapevolezza personale che non dalla costruzione di squadra. La shotchart parla chiaro. Una sola grossa pecca, proprio nello spicchio di parquet da cui prende il maggior numero di conclusioni. Il 22% dei suoi punti sono frutto di tiri dalla media, un’enormità (LBJ, che ne abusa, arriva al 16%).
Una disfunzionalità che spesso inceppa l’attacco. Un dato su tutti per spiegarlo. Il 52% dei canestri realizzati da George sono assistiti, ma facendo lo split tra tiri da 2 e conclusioni da 3 la distinzione è evidente. 76% la percentuale di assistenze con i piedi dietro l’arco, 39% per le realizzazioni che valgono un punto in meno (tenendo conto anche di schiacciate e tiri all’interno del pitturato).
L’attacco dei Pacers il tiro dalla media non lo crea, non lo produce, non gioca per costruire quello. E’ George che conscio del suo talento, forza la mano e se lo va a prendere.
Un problema a cui Vogel dovrà quindi fare attenzione, visto che alla difesa sembra essere già stato trovato rimedio. Quarto miglior Defensive Rating della Lega (l’attitudine resta sempre quella), con il numero 13 che sta reagendo bene al nuovo compito difensivo.
I dati, anche se parziali viste le poche gare, sono indicativi. Quando si è marcati da lui si tira peggio. Soprattutto da due punti, nonostante la paura fosse che potesse andare sotto fisicamente.
Il giocatore del 2015, insomma. Attacco, difesa, atletico, duttile. Completo.
Bentornato Paul!