12 aprile, Bryant è (come sempre) in missione. Raggiungere i Playoff è ancora impresa possibile, a 3 partite dal termine. Ma tocca vincere contro uno scatenato Steph Curry che ne segna 47.
Il Black Mamba la gioca sostanzialmente tutta, senza uscire mai dal parquet. Non la prima volta di certo. Un’usura continua, estrema, che lo porta a 3 minuti dalla fine al punto di non ritorno.
Sente ripetutamente problemi al ginocchio, poi alla gamba, al tallone. Ma continua a giocare, a distruggere il suo corpo e gli avversari. In particolare, sofferente dopo l’ennesimo fallo subito, con evidenti difficoltà a poggiare il piede a terra, si avvia verso la panchina.
La regola NBA prevede che sia l’allenatore avversario a scegliere chi mandare in lunetta qualora il giocatore che ha conquistato i liberi sia infortunato. La presenza di Howard e la sua pessima mira dalla linea della carità sono un bersaglio ghiotto per Mark Jackson e i suoi Warriors.
Per quello Bryant decide di tornare in campo. Perché la partita è in bilico e bisogna vincerla. Costi quel costi.