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30 seconds to march: time to play the game

Le settimane centrali di dicembre sono tipicamente tra le meno esaltanti nella stagione di basket collegiale: il calendario è meno fitto d’impegni, i tornei di inizio stagione sono ormai conclusi, bisogna far finta di tornare a studiare, fare l’albero di Natale e così via. Quest’anno non ha costituito una particolare eccezione alla regola e di certo non saremo noi a renderlo più interessante, tuttavia c’è stato quantomeno un addio alquanto importante -e che andremo subito a vedere- e soprattutto c’è tutto l’entusiasmo che ci guida verso questi ultimi giorni di dicembre che ci permetteranno di gustare le ultime importanti partite extra-conference (già oggi Utah-Duke, UNC-UCLA e Butler-Purdue per dirne alcune) e l’inizio delle partite di conference. Time to play the game, come diceva la intro di Triple H.

30”: So long, Bo. La notizia di dicembre è sicuramente il ritiro di Bo Ryan: l’ allenatore di Wisconsin aveva già detto che quella 2015-2016 sarebbe stata la sua ultima stagione alla guida dei Badgers, ma la scelta di anticipare questo momento a neanche metà stagione ci ha comunque preso un poco alla sprovvista dato che fino all’ultimo si sperava che fosse uno di quei momenti che non sarebbero mai arrivati. Invece così saluta il basket giocato (o meglio, allenato) uno dei guru della pallacanestro collegiale degli ultimi vent’anni, un allenatore che non ha mai fatto finire Wisconsin oltre il quarto posto nella Big Ten e che l’ha guidata a due Final Four nelle ultime due stagioni, compresa la finale persa lo scorso anno contro Duke. Promotore di un basket all’apparenza “antiquato”, ma in realtà solo di estrema intelligenza e organizzazione, Ryan è uno di quei classici allenatori che non hanno bisogno di fenomeni per far emergere la propria squadra perché possono contare su un gioco più forte delle individualità. Quest’anno dopo le ultime due straordinarie campagne le cose non stavano andando per il meglio, come già abbiamo detto più volte (nonostante la vittoria su Syracuse di inizio dicembre il record recita 7 vittorie e 5 sconfitte), ma l’addio di Bo non va visto come un “abbandono della nave” quanto un buon gesto nei confronti del suo storico assistente allenatore Greg Gard (da 23 anni con lui, ancor prima dell’arrivo a Wisconsin, nonostante la carta d’identità ne reciti solo 44) che avrà così l’opportunità di giocarsi le sue chance da capo allenatore, cosa che, a sentire le voci di corridoio, non sarebbe avvenuta se Ryan avesse abbandonato a fine stagione, dato che la direzione dei Badgers parrebbe preferire altri nomi per l’erede al trono. In ogni caso con l’addio di Ryan finisce l’era di un basket sempre più difficile da trovare ad ogni livello, non solo collegiale.

29”: UCLA: ci siamo sbagliati (?). In queste prime settimane di college basketball UCLA è stato uno dei programmi più meschinamente presi di mira in questa rubrica, il che equivaleva un po’ a sparare sulla croce rossa dato che i Bruins erano evidentemente un programma in caduta libera. Ora questi stessi orsetti della California nel giro di pochi giorni hanno prima battuto la brigata di mastro Calipari e poi Gonzaga, un altro programma abbonato alle trenta vittorie stagionali. Isaac Hamilton sembra una possibile star del panorama collegiale, Bryce Alford segue le orme del padre-allenatore (o quasi) e Thomas Welsh dopo i 21 punti contro Kentucky non sembra più destinato ad un futuro come comparsa nei film di Ken Loach. Tuttavia noi siamo coerenti a costo dell’incoerenza e della follia e per questo facciamo sì un mezzo passo indietro sui Bruins, ma con moltissime riserve: Gonzaga era priva di Karnowski, situazione con cui ha perso anche con Arizona (che rimane un’ottima squadra, ma non eccezionale) e rischiato molto contro la non invincibile Montana, oltre al fatto che gli Zags con 200 stagioni a 30 vittorie l’anno e poi zero Final Four forse potrebbero iniziare ad essere considerati un poco sopravvalutati. Per quel che riguarda Kentucky…beh, Calipari. What else? Aspettiamo la sfida di oggi contro una UNC in cerca di riscatto per saperne di più.

28”: L’inizio di una nuova era a Texas? Dopo un iniziale periodo di adattamento non propriamente brillante (tre sconfitte nelle prime cinque uscite stagionali), con la vittoria su #3 UNC la Texas di Shaka Smart sembra essere destinata finalmente a prendere forma: quella sui Tar Heels è una di quelle vittorie su cui si può costruire una stagione -o buona parte di essa- e in questo caso forse anche un programma. L’energia mostrata da Smart a fine partita è un ottimo segnale per una squadra per anni in mano all’emblematico Rick Barnes e che potrebbe aver trovato nell’ex allenatore di VCU il giusto motore per iniziare a contare davvero nel panorama NCAA. Checché se ne dica un ottimo allenatore fa la differenza e Shaka Smart è dannatamente bravo. Questione di tempo, ma i risultati si vedranno e non parliamo solo di occasionali vittorie contro squadre della top ten.

27” Fred VanVleet è il Jason Kidd del college basket. 17 assist e 38 punti nelle tre partite disputate dal suo rientro. Non siete impressionati? Fate bene, ma Wichita State dopo tre sconfitte consecutive (quattro nelle prime sei partite) è ora in striscia vincente da tre gare, con vittorie su Saint Louis, UNLV e #25 Utah. Un caso? Ovviamente no, se no non avremmo scritto questo punto, scemotti.

26”: Mussini Square Garden. Grande prestazione di Federico Mussini nella vittoria di St. John’s ai danni di Syracuse nella Mecca del basket: autore di 17 punti con un impressionante (ma non troppo per lui) 5 su 7 dalla lunga distanza, l’ex Reggio Emilia ha guidato un attacco che ha funzionato alla perfezione (30-61 dal campo, 12-24 da tre) e ha rimandato nell’anonimato una Syracuse per nove partite priva dell’head coach Boeheim, che come già detto nel precedente articolo non si è fatto mancare i problemi nel corso della off-season.

25”: Villanova senza sorprese. Ringraziamo i Wildcats per essere una delle poche squadre a non farci mai fare brutta figura. Si era parlato di come i Wildcats nonostante il record perfetto fossero destinati ad un fallimento prossimo venturo e allora eccolo servito contro Oklahoma: 4 su 32 il bottino dall’arco dei ragazzi di Jay Wright che non hanno guidato il “Pearl Harbor Invitational” per un singolo secondo e sono stati semplicemente annichiliti da Hield e compagni, probabilmente ricordando quel non felice giorno del 1941 ai reduci presenti alla partita. Non un bel gesto da parte loro.

24”: #prayforBenSimmons. Sempre più triste la situazione del povero Ben in quel di LSU, che probabilmente si sta già facendo le ossa per quando finirà nei Philadelphia 76ers ad essere un giocatore straordinario destinato a 5 vittorie stagionali, almeno all’inizio. Speriamo per lui che non sia così, certo che quella che sarà sicuramente la sua unica stagione al college “rischia” di richiamare alla mente il destino di quello che è stato il più grande giocatore nella storia dei Tigers, ovvero Pete Maravich: giocatore eccezionale, ma costretto a modesti risultati di squadra da compagni non all’altezza (per usare un eufemismo). Ora il record di LSU ci parla di quattro sconfitte in otto partite ed è difficile chiedere a Simmons di più, se non forse, come già detto in passato, di essere sanamente egoista e accentratore e fare tutto da solo: non sarà “vero basket”, ma evidentemente la squadra ha bisogno della sua versione da 43 punti, 14 rimbalzi e 7 assist per vincere, come mostrato contro North Florida, visto anche il prolungato cortocircuito di Antonio Blakeney.

23”: Spike Albrecht. Il senior di Michigan ha annunciato l’addio anticipato al basket a causa di un infortunio alle anche. La notizia non ci ha propriamente colpito come il ritiro di Kobe Bryant e nemmeno come il finale della terza stagione di “Un medico in famiglia”, tuttavia lo ricorderemo sempre con affetto per la performance sotto metanfetamine della finale 2013 e per averci provato con Kate Upton su twitter. MVP.

22”: Silent Night. Come ogni anno Taylor University (non propriamente la vostra Kansas) riesce a salire alla ribalta (inter)nazionale con la sua “Silent Night”. In breve: i tifosi si presentano pronti per il casting di un film di David Lynch e stanno zitti fino al decimo punto segnato dalla squadra, da quel momento a ogni canestro si scatena un inferno che in confronto Qui Studio a Voi Stadio pare una pacata conversazione sulle poesie di Verlaine. Quest’anno è stata anche aggiunta la canzoncina “Silent Night” che effettivamente calza a pennello (chi l’avrebbe mai detto?). Buona visione.

21” It’s conference time, bitches. Con la fine di un altro anno ricco di emozioni e tentati suicidi arriva anche il momento delle partite di conference, un po’ l’inizio delle vere partite, quelle in cui si distinguono le squadre destinate all’Olimpo e alla Candida Rosa del college basket da quelle invece destinate alle derisioni e alle umiliazioni di noi beceri. E’ qualcosa di bellissimo e per questo vogliamo dare una sbirciatina veloce alle conference principali, ognuna con più punti (o secondi che vogliate chiamarli) se no rischiamo di andare più lunghi di Proust con “La ricerca del tempo perduto”, ma con la qualità di Fabio Volo.

20”: Big Ten. La conference più sopravvalutata degli ultimi 7-8 anni anni sembra felicemente destinata ad un’altra stagione priva di titoli nazionali. Si scherza (un po’). La verità è che con il crollo di programmi come Ohio St. e Wisconsin l’attenzione sulla Big Ten si è parzialmente quietata in questa stagione e proprio per questo potrebbe essere l’anno buono per portare nuovamente un titolo NCAA tra le mani di un programma della conference.

19”: Michigan State è decisamente una delle favorite al titolo nazionale dopo un inizio di stagione più convincente di quelli che sono solitamente tipici delle squadre di Tom Izzo e con un organico altrettanto eterogeneo rispetto alle abitudini degli ultimi anni a East Lansing. Ciò che non cambia rispetto alle grandi versioni passate di MSU sono: un giocatore in grado di fare un po’ di tutto e molto bene, ovvero quel Valentine che Izzo ha definito “il Draymond Green del backcourt”; un gioco corale e che può contare sul validissimo apporto da parte di giocatori perfettamenti consci del proprio ruolo e pronti a salire di colpi quando necessario e, ultimo ma non per importanza, uno dei migliori allenatori degli ultimi vent’anni.

18”: Chi più di tutti ha stupito è però Purdue, squadra ancora imbattuta, con già quattro vittorie contro squadre della top 100 con un margine di 15 punti a partita. I Boilermakers possono contare su due torri uniche nel panorama collegiale come A.J. Hammons e Isac Haas, sono esperti e tirano discretamente: le Elite Eight sono alla portata di Matt Painter e della sua squadra, ma la partita di oggi contro l’ottima Butler ci dirà ancora di più.

17”: Rappresenta, almeno parzialmente, un oggetto misterioso invece Maryland: l’organico è certamente da Final Four e il leader Melo Trimble è sempre salito di livello nelle partite più importanti (UConn, UNC, G’Town), tuttavia l’unica partita contro una realistica rivale per il titolo, ovvero North Carolina, è finita con una sconfitta e in tutte le altre uscite i Terrapins hanno sempre convinto parzialmente, senza stupire in positivo come si prevedeva a inizio stagione o almeno così è stato agli occhi di chi scrive. La stagione di conference ci dirà qualcosa di più sui Terrapins, ma in ogni caso non è facile scommettere contro di loro.

16”: Jarrod Uthoff on fire. Rimanendo in ambito Big Ten merita una citazione la guardia di Iowa: gli Hawkeyes hanno avuto un discreto inizio di stagione e il loro attacco funziona particolarmente bene, anche grazie al senior da Cedar Rapids. Menzione particolare va fatta per i suoi 30 punti nel solo primo tempo contro Iowa State: peccato che gli Hawkeyes abbiano poi fallito l’upset, con un Uthoff da soli due punti nel secondo tempo.

15”: La Big 12 è verosimilmente la conference più profonda della Division I: due delle otto squadre ancora imbattute vengono da qui (Iowa St. e Oklahoma), Baylor sta giocando come una squadra da Elite Eight e naturalmente Kansas rimane la squadra da Final Four di inizio stagione, anzi forse anche di più. 14”: I Jayhawks stanno infatti girando a meraviglia da quando Bill Self ha preso la saggia decisione di adottare il duo di point guard Frank Mason-Devonte Graham ad accompagnare un Wayne Selden che sta giocando il miglior basket della sua carriera nel ruolo di ala piccola della squadra: quasi 17 i punti di media con il 57% dal campo e un surreale 60% da tre. Anche difensivamente la possibilità di pressare le guardie avversarie con alle spalle lunghi come Diallo e Mickelson è un lusso che ci obbliga a considerare ancora una volta i Jayhawks come la squadra da battere, nonostante le alternative non manchino.

13”: A inizio stagione avevamo parlato di come Oklahoma potesse essere un team da Final Four e oggi sembrano intrepretare quel ruolo meglio che mai: come già accennato i Sooners hanno letteralmente annichilito Villanova, Hield sta giocando come un potenziale giocatore dell’anno e Kruger, oltre che su di lui, può contare su altri tre giocatori di altissimo livello e che tirano con oltre il 50% da tre, compreso Ryan Spangler, che sarebbe il centro della squadra e che nei suoi primi due anni a Oklahoma aveva messo a segno 13 triple, mentre quest’anno dopo sette partite è già a quota otto. Freakin’ good team.

12”: Iowa St. sta affrontando al meglio la stagione col cambio di coach – da Fred Hoiberg a Steve Prohm- ma è proprio di pochi giorni fa la notizia che i Cyclones dovranno fare a meno di Naz Mitrou Long, brutto colpo visto il valore del giocatore e delle corte rotazioni della squadra. Rende meno amara la notizia il fatto che sia pronto a debuttare il transfer da Marquette Deonte Burton, giocatore forse meno perimetrale e cerebrale, ma di grandissima esplosività e potenziale offensivo. Specialmente qualora i Cyclones dovessero mantenere gli alti livelli difensivi finora mostrati e i pochissimi falli commessi potrebbero continuare a non avere problemi con il limitato organico ed essere una fastidiosa insidia per chiunque, anche a marzo inoltrato.

11”: La ACC è di certo un’altra conference da tenere sotto osservazione, con cinque squadre di alto livello che verosimilmente si daranno battaglia a lungo per la supremazia all’interno della conference. 10”: North Carolina ha iniziato la stagione come una delle favorite per il titolo, e lo è tuttora, nonostante ciò la sconfitta contro Texas dopo quella giunta con UNI – ma in quel caso era assente Marcus Paige– ha sollevato qualche dubbio, o meglio: ci ha confermato che in questa stagione è quasi impossibile considerare un singolo team come il più probabile vincitore del titolo. North Carolina è certamente papabile per il ruolo, ha una delle star di questa stagione di college basket e un frontcourt di primissimo livello, ma ha anche un backcourt ballerino eccezion fatta per Paige, non ha tiratori affidabili eccetto (indovinate un po’?) il sopramenzionato Paige e ha una difesa lontana dall’elite della Division I. Lavori in corso a Chapel Hill.

9”: Chi eccelle in difesa e non solo è Virginia, che dopo l’upset subito a inizio stagione contro George Washingto è tornata a girare alla perfezione, in barba ai 5” secondi in meno e alle regole più rigide in favore della libertà di movimento degli attacchi, situazione che sulla carta castra parzialmente la difesa di Virginia, ma così di fatto non è stato. Eccezionale il secondo tempo della partita contro West Virginia, vinta dopo un primo tempo decisamente ostico, ma Tony Bennett è uno dei migliori allenatori della nazione e lo sta confermando per l’ennesima volta. Col trio Brogdon-Gill-Perrantes che funziona sempre meglio per i Cavaliers non è un miraggio il terzo titolo di conference consecutivo.

8”: Che dire di Duke? I Blue Devils dopo la sconfitta con Kentucky hanno vinto tutte le partite di una schedule non particolarmente complicata che però, notizia alquanto positiva in quel di Durham, ha dato l’opportunità all’attesissimo freshman Brandon Ingram di entrare in ritmo e guadagnare un po’ di quella fiducia che pareva mancare nelle prime uscite annuali. Tuttavia la notizia del momento è negativa ed è quella che riguarda l’infortunio in allenamento di Amile Jefferson, fuori a tempo indeterminato. Inutile dire che con un’eventuale assenza prolungata del senior da Philadelphia le chance di un’annata ad alto livello e ancor più di un ritorno alle Final Four si fanno minime.

7”: Non vanno dimenticate Miami e Louisville: degli Hurricanes ci si è dimenticati troppo presto dopo la sconfitta all’ultimo secondo contro Northeastern, ma rimangono una delle squadre più intriganti dell’anno; Louisville è invece ora ampiamente nella top 25 nazionale e ha in organico uno dei gruppi di transfer di maggior qualità degli ultimi anni che stanno ben compensando le partenze alla fine della scorsa stagione. Il margine medio di vittoria dei Cardinals nelle prime partite della stagione è ampiamente sopra i trenta punti, ma esclusa Michigan State (partita persa, seppur con onore) mancano test di valore e proprio per questo è una squadra della quale sapremo di più solo da gennaio, anzi, facciamo da S. Stefano quando sfideranno Kentucky in uno dei derby storici del college basket.

6”: Dunk-a-thon. La SEC non dovrebbe sfuggire dalle mani di Kentucky vista anche una Florida più che mai nel baratro, tuttavia esclusi i Wildcats in questa conference -più famosa per la palla ovale che per quella da basket- ci sono almeno un paio di altre squadre interessanti e tra queste va sicuramente citata South Carolina: sotto la guida di Frank Martin i Gamecocks giocano ad alta intensità, sono una delle otto squadre imbattute della Division I (ma con un calendario abbastanza accomodante) e hanno in Sindarius Thornwell un giocatore che sa regalarci cose di questo tipo.

5”: Any Given Saturday. Come già accennato nell’introduzione da oggi si ricomincia a fare sul serio, con un sabato che getta le basi perfette per quelli che saranno i prossimi tre mesi di basket universitario: tra le partite da vedere assolutamente – o recuperare nei giorni successivi su Youtube- ci sono certamente Butler-Purdue, Villanova-Virginia e North Carolina-UCLA. Iowa St. nella sua prima partita senza Long rischia e non poco l’upset contro UNI, ci aspettiamo un riscatto da parte di UNC e invece l’ennesima conferma da Villanova, che però qualora dovesse azzeccare la giornata giusta al tiro potrebbe anche dare problemi a Virginia. Considerata la difesa dei Cavaliers ci permettiamo però di dubitare.

4”: A.J. English out. Brutta notizia quella che vede A.J. English infortunato alla mano e fuori a tempo indeterminato, anche se il ritorno sembrerebbe essere previsto già per gennaio. La star di Iona stava viaggiando a 25 punti di media, compresa un’uscita da 46 con tredici triple ed è decisamente uno dei maggiori motivi per dare un’occhiata fuori dalle solite power house.

3”: Monmouth: non solo scenate. Da sottolineare come Monmuth continui ad accatastare vittorie di valore nel corso delle partite di non-conference: questa settimana è stata la volta di Georgetown, costretta al 32% al tiro e sconfitta sul proprio campo. Gli Hawks sono saliti alla ribalta anche fuori dagli Stati Uniti grazie alle loro celebrazioni in panchina degne del pagliaccio Baraldi in overdose da colla, ma sono decisamente una squadra degna di nota anche sul parquet e con vittorie su UCLA, la suddetta G’Town, USC e Notre Dame puntano ad un seed più che buono anche a marzo e, perché no, ad essere la “Cinderella” di questa stagione.

2”: I Watussi. Lineup degna della meravigliosa sinfonia di Edoardo Vianello quella di UC Irvine contro Chapman (non una delle partite più eccitanti di sempre), con gli Anteaters (i formichieri, sì) che hanno schierato nell’ordine: Mamadou Ndiaye (2.31 m), Ioannis Dimakopulos (2.19), Mike Best e Jonathan Galloway (2.08 l’uno) e infine il nano Shawn Ray, a malapena 2.03. Con quello che viene considerato il quintetto più alto nella storia della NCAA non solo hanno vinto la partita, ma si sono guadagnati un posto nei cult della stagione e per questo gli vogliamo bene.

1”: See you in 2016. Se questo capodanno non vi porterà via con qualche overdose di vodka alla menta e Campari l’appuntamento è sempre qui: potremo tirare le fila di questo fine 2015 e soprattutto dare una sbirciata alle prime partite di conference anche per capire se l’inattendibilità di questa rubrica abbia già raggiunto il livello “Studio Aperto” o se invece possa ancora far finta di avere una dignità.

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Pubblicato da
Giacomo Cabras

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