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The Underdogs: Hayward’s story

Qualche mese fa c’era il derby Roma-Lazio e da italiano medio me lo sono andato a vedere da un amico, lui romanista io imparziale(si legge interista). A casa di questo mio amico c’era un signore, amico di lunga data di suo padre e originario di Boston,Massachusetts. “Ehy Phelps per quale squadra tifi?” Domanda scontata ad un derby e questo signore da buon americano che faticava a capire perché una città e una regione stessero giocando una partita rispose: “Well, i don’t know, what’s the italian for “underdog”?”- “Sfavorito!”-“Yes,that’s it!”. Già perché negli Stati Uniti quando non sai chi tifare di solito si tifa la squadra che ha la quota più alta nei siti di scommesse.

La nostra storia comincia a Brownsburg,Indiana e solo dal nome dello stato si dovrebbe capire che la storia parla di basket visto che da quelle parti si venera l’Altissimo e l’arancia. La signora Jody in vena di strafare sforna il 23 Marzo 1990 due gemelli Gordon e Heather Hayward. Non è tutto un caso però dal momento che mamma Jody era cresciuta con una gemella e voleva disperatamente crescere due gemelli ma di sesso differente. Il DNA e l’Altissimo appunto fanno il resto.

Due gocce d’acqua

I rapporti tra i gemelli sono sempre unici nel loro genere perché nasci conscio del fatto che la condivisione con tuo fratello/sorella comincia con l’utero materno. No direi che non può essere un rapporto come quello tra semplici fratelli. I due naturalmente sono inseparabili ma come in Italia così in America i gemelli a una certa età si tende a dividerli, in primis a scuola. Quando succede Gordon scoppia in lacrime e per un po’ di tempo reagirà in maniera scioccante. Si segna tutti gli orari delle lezioni sue e di sua sorella, poi stila una serie di attività extra-scolastiche che potrebbero fare insieme e altre che invece per forza di cose devono fare divisi. Fa combaciare il tutto in modo da passare più tempo possibile con la gemella che per lui sarà sempre la sua migliore amica. Fortunatamente viene in aiuto l’arancia.

Gordon comincia a giocare a basketball grazie alla passione del padre, Gordon Sr., che fin da bambino gli insegna i fondamentali e lo sprona ad affrontarlo 1vs1. Quando giochi contro qualcuno visibilmente più alto di te per far sì che il tiro non venga stoppato devi creare quella separazione sufficiente che ti permetta di vedere il canestro e di lasciar andare il tiro. La conseguenza ovvia è che nel bagaglio tecnico del ragazzo entra uno step back di tutto rispetto. Il basket lo diverte infatti si becca la sua prima apparizione sulla pagina sportiva dell’ Indianapolis Star perché è uno dei prospetti migliori della Nazione. Si ma nel TENNIS!

Come spesso accade non è tutto chiaro fin dall’inizio. Hayward quando entra alla high school gioca sia a basket sia a tennis, e proprio con racchetta e pallina forma una delle coppie miste più forti della nazione. Già perché per lui il tennis prima di tutto è un modo per passare delle ore con la sorella, è lei la sua compagna di doppio ed è con lei che condivide quella pagina sportiva. Gordon, dopo aver capito che il Tennis gli riusciva meglio che un semplice passatempo, voleva lasciarlo del tutto il basket ma fortunatamente interviene mamma Jody. La donna gli consiglia di continuare entrambi gli sport perché secondo il medico di famiglia Gordon nei quattro anni di High School crescerà a dismisura( e infatti passerà dai 180 centimetri da freshman ai 2.03 da senior). L’argomentazione è condivisibile e quindi si continua su due strade.

Il doppio misto più forte dell’Indiana!

Al suo anno da senior Gordon e i suoi Bulldogs arrivano alla finale di stato, di fronte la favoritissima Marion High School che nella sua storia ha vinto 7 volte il titolo dello stato. Brownsburg High School ovviamente mai. La partita è di una bellezza unica mancano meno di 2 secondi e Marion è avanti 39-38 con Brownsburg che deve eseguire la rimessa. In tribuna Heather è disperata e continua ad urlare al padre: “Dad, it’s over it’s over!”. Gordon Sr. che a basket ci ha giocato sa che finché non suona la sirena “it’s not over”. La rimessa laterale è più un lancio da football e la palla viene intercettata da un avversario che però non la tiene, la lascia lì. Gordon è il più lesto e quando il cronometro ormai segna solo i decimi di secondo alza il lay-up. La palla danza sul ferro e quando la tabella diventa rossa finisce nel cesto. La gioia è incontenibile il palazzetto intero non ci può credere. Negli Stati Uniti si chiama upset quando la cenerentola di turno(underdog esatto) batte la favorita.

Finita la cavalcata trionfale però è il momento di scegliere il college. L’idea iniziale è quella di andare a Purdue University, Alma Mater dei suoi genitori e ovviamente scelta numero uno di Heater. Gordon si trova sul tavolo tre borse di studio per il basket: la IUPUI viene subito scartata anche se è la più vicina a casa, rimangono Purdue e Butler. Tutte università dell’Indiana naturalmente perché da quelle parti si cerca il più possibile di tenerli in casa i talenti e inoltre siamo nel 2008 era entrata in vigore due anni prima la legge per cui doveva passare almeno un anno dopo il liceo prima di approdare in NBA quindi il college basketball poteva attingere da una fucina di talenti di una certa rilevanza e Hayward al tempo non era tra quelli. Alla fine la scelta ricade su Butler; lui motiva dicendo che gli allenamenti dei Bulldogs(tutta questa fantasia con i nomi in Indiana non ce l’hanno) che iniziavano al comodissimo orario delle 6:30 AM gli permettevano di seguire le lezioni della facoltà di ingegneria informatica. Poi naturalmente c’è la vera motivazione, Heater ha accettato una borsa di studio per il tennis a Butler e a quel punto non valeva la pena nemmeno giocarci il famoso centesimo sul fatto che Gordon scegliesse un’altra università.

Scelte diverse, destini intrecciati

Sulla panchina di Butler dal 2007 c’è un signore, nato ovviamente a Zionsville,Indiana(avrete capito che da quelle parti c’è un qualcerto senso di appartenenza), che dopo essersi laureato in Economia ha fatto l’assistant a Butler per sei anni prima di ricevere l’incarico di head coach. Il suo nome è Brad Stevens e come allenatore se la cava visto che attualmente siede sulla panchina dei Boston Celtics. Il feeling tra i due è stupendo, sono entrambi dei signor nessuno con una voglia matta di vincere e Stevens capisce subito che il gruppo che si sta costruendo può arrivare lontano e Hayward ha le caratteristiche per diventare la star di quel gruppo. La stagione da freshman ci da qualche indicazione in più. Gli addetti ai lavori consideravano Gordon ancora un po’ acerbo ed erano convinti che dopo il college con un po’ di fortuna sarebbe potuto diventare un onesto mestierante NBA. Insomma un bianco di 2.03 m che non prende tanti rimbalzi e che gioca lontano dal canestro non inciderà mica così tanto? 13.1 punti di media e 6.4 rimbalzi a partita, i Buldogs vincono la Horizon League(pronosticati quinti) per poi arrendersi al primo turno del torneo NCAA, le prestazione di Hayward gli valgono la convocazione ai mondiali Under 19 dove trascina, insieme a Tyshawn Taylor e Shelvin Mack(suo compagno di squadra a Butler), gli Stati Uniti alla medaglia d’oro. Convincere gli scettici: fatto!

Eppure per quelli che conoscono Hayward da quando ha cominciato a palleggiare non è per nulla una sorpresa questo suo primo anno. Si perché se giochi a basket negli States sei un bianco e a quindici anni sei alto 1.80 devi imparare a portare palla, a giocare da esterno, a mettere i tiri da lontano. Gordon è cresciuto è vero ma le abilità che ha affinato negli anni della crescita non si dimenticano al massimo si perfezionano, cosa che lui continua a fare ogni giorno. Pat Forde un giornalista di Espn dirà: “il ragazzo ha imparato a giocare come guardia ma adesso ha le dimensioni di un ala grande”. Facile da marcare uno così no?!

Coach Stevens da indicazioni a un giovane Hayward

A questo punto le gesta di Hayward e compagni nel torneo NCAA 2010 sarebbero da consegnare seduta stante ad un produttore di Hollywood che magari convince un Thomas Carter(quello di “Coach Carter” per capirci) a girarci un film. La sceneggiatura qualcuno la deve aver già scritta perché da adesso è difficile pensare che quello che viene dopo non sia frutto di una penna ben più dotata di quella che attualmente scrive.

Ormai sottovalutare i ragazzi di coach Stevens non è più cosa e infatti ad inizio stagione sono tra i pretendenti per la vittoria della Horizon League. Tra i pretendenti è un conto, fare 18-0 è ben altra questione. Neanche a dirlo vincono la Horizon League scherzando in finale Wright State(70-45 il finale). Hayward mette diversi ventelli, otto doppie doppie ed è ovviamente Horizon League Player of the Year. Al torneo NCAA però il livello tende a salire infatti al secondo turno c’è Murray State che rimane incollata ai Bulldogs per tutto il match e a 5 secondi dalla fine ha la chance per vincerla ma Hayward ci mette una pezza in difesa. In quella partita emerge l’importanza dei secondi violini di quei Bulldogs come il centro Matt Howard e Shelvin Mack(si quello di Atlanta).

Alle Sweet Sixteen c’è però un ateneo che mette paura solo a pronunciarlo: Syracuse che si presentava con il seed #1(Butler col #5). I ragazzi di coach Stevens devono inseguire per tutta la partita, Wesley Johnson(quello che adesso gioca a Los Angeles sponda Clippers) è in serata di grazia e Hayward da solo non riesce a portare la baracca. Mancano 5 minuti Syracuse è avanti 54-50, time-out Stevens. Questi 5 minuti bastano a capire perché chiamano il torneo NCAA “March Madness”. Non so cosa abbia detto ai suoi ragazzi, non so se il discorso vertesse sul fatto che quella era la squadra del destino, che ora loro sarebbero andati in campo e avrebbero regalato a Butler la prima partecipazione alle Elite Eight della sua storia, io posso solo immaginarlo. Quello che so è che dall’uscita dal time-out fino alla fine della partita Butler ha messo 13 punti, Syracuse 5. Al fischio finale il clima è surreale, coach Stevens non esulta, saluta Jim Boeheim e se ne va, lascia esultare i ragazzi, quello è il loro momento. Per la cronaca Hayward 17 punti e sulle diciotto palle perse da Syracuse ci ha messo quasi sempre lo zampino.

Hayward,Mack e Nored a colloquio

L’occasione è di quelle che capitano una volta nella vita, alle Elite Eight ad aspettare i Bulldogs c’è Kansas State reduce dalla vittoria contro Xavier dopo due supplementari. Stevens vuole sfruttare la stanchezza degli avversari e sa che ha i giocatori per correre, ma per farlo deve sacrificare l’efficacia di Matt Howard nel pitturato costringendolo ad un lavoro extra a difesa del ferro per far ripartire il contropiede più velocemente possibile. La tattica funziona, nel primo tempo Butler domina nel secondo amministra e il sogno bagnato di Hayward(22 anche questa volta) e Brad Stevens diventa realtà. Butler riscrive ogni tipo di record: è il primo team nella storia della Horizon League ad arrivare alle Final Four, è il college più piccolo a riuscirci dal ’79, coach Stevens a 33 anni è il più giovane allenatore ad arrivare alle Final Four da quando Bob Knight(si quel BOB KNIGHT!) ci arrivò a 32 nel lontano 1973. In tutto ciò la squadra per le Final Four non deve nemmeno affittare un pullman perché ovviamente il destino ha voluto che si giocassero al Lucas Oil Stadium, Indianapolis. E questa non sarebbe la sceneggiatura di un film!? Siamo seri.

In semifinale c’è Michigan State guidata da coach Tom Izzo che annovera tra le sue fila un certo Draymond Green. La partita è rude, fisica, è difficile capire chi può prendere la testa delle operazioni, a 12 minuti dalla fine il punto di svolta; Veasley ruba palla e va a inchiodare il +7 per Butler. Non è finita però, gli Spartans si rifanno sotto fino ad arrivare a -1, la palla va ovviamente in post a Draymond Green il quale ha di fronte Hayward. Sono Achille ed Ettore che si sfidano sotto le mura di Troia, Hayward difende meravigliosamente, il tiro di Green è cortissimo, Nored prende il rimbalzo e dalla lunetta sigilla la vittoria per i Bulldogs. Al Lucas Oil Stadium è un tripudio, Tom Izzo a fine partita dirà:

“è stata una delle partite più fisiche che i miei ragazzi abbiano mai giocato, ma mi piace come giocano gli altri, mi piace la loro storia, giocano da campioni”.

Nulla di tutto ciò appartiene alla sfera emotiva del basketball, siamo di fronte a una delle più grandi imprese sportive degli ultimi anni. Hayward ha giocato magistralmente in difesa, ha preso 9 rimbalzi ha segnato 19 punti contro un difensore come Green, è ufficialmente candidato a diventare il nuovo eroe del basket targato Indiana.

Si vince e si perde come una squadra

Ci sono dei momenti nella vita di un atleta nei quali tutto quello che è stato fatto prima non conta nulla, non esiste domani esiste soltanto quel momento. Hayward è agitatissimo prima della finale non perché si tratta di una finale (che comunque rimane una partita di una certa rilevanza) ma perché secondo lui gli altri hanno semplicemente una squadra più forte. Gli altri sono i Blue Devils della Duke University e Stevens capisce l’umore che serpeggia all’interno dello spogliatoio, così prepara la partita focalizzandosi sull’approccio mentale dei suoi ragazzi e li convince che se riusciranno a tenere gli avversari sotto i 60 punti allora Butler sarà campione e tutta la fatica fatta servirà a coronare il sogno, altrimenti saranno gli altri a festeggiare. Il New York Times la definirà “la finale sportiva più attesa dell’anno” siamo ben oltre Davide contro Golia; Duke si presentava alla finale con tre titoli vinti e 9 finali giocate mentre Butler sapeva a mala pena cosa fosse una finale.

Fin dall’inizio si capisce che la partita sarà punto a punto, nessuna delle due squadre vuole cedere un centimetro, i Blue Devils quell’anno sono nelle mani di Kyle Singler il quale a metà primo tempo piazza una tripla dal palleggio da distanza NBA che stordisce i Bulldogs che ogni volta che cercano Hayward non trovano lo spavaldo ragazzo in grado di tirare in faccia a chiunque ma ne trovano uno titubante, nervoso. Il primo tempo finisce 33-32 per gli altri, Hayward mai seriamente in partita e la contesa tenuta in piedi dalle giocate di Nored e Jukes. Nel secondo tempo Duke prova a fare la lepre ma in qualche modo Butler riesce sempre a rimanere a distanza di sicurezza anche grazie ad un Hayward che almeno dalla lunetta non tradisce. A 3:15 dalla fine però arriva il momento che Stevens non avrebbe mai voluto vedere. Nolan Smith va in penetrazione subisce il fallo segna entrambi i liberi e Duke è a quota 60. L’agitazione è tantissima tanto che Shelvin Mack l’azione successiva si farà quasi strappare la palla dalle mani. Adesso servirebbe lo squillo del leader, l’acuto del campione che effettivamente arriva perché Hayward focalizza la difesa su di lui e regala un cioccolatino a Matt Howard solo da scartare che vale il 57-60. La difesa regge anzi ruba un pallone fondamentale e Mack in transizione recita una preghiera da 3 che gli dei del basket rifiutano di accogliere, ma Howard è il più presente a rimbalzo e recapita l’arancia a Hayward che ancora una volta preferisce delegare e fortunatamente delega bene visto che Mack gioca un pick and roll centrale e serve Howard per il lay-up. Manca meno di un minuto, 59-60 il Lucas Oil Stadium ribolle. “Adesso difendiamo poi palla a Gordon e vinciamo la partita” tanto lontano non ci dovrei essere andato dai pensieri di buona parte dei 70.000 presenti.

Coach Krzyzewski chiama time-out ma l’inerzia della partita ormai è tutta dalla parte dei Bulldogs. Singler prende un tiro aperto in allontanamento che manda cortissimo, si lotta a rimbalzo e stavolta il capolavoro lo fa Nored sporcando il pallone che sbatte contro Zoubek e finisce fuori. L’arbitro ci pensa una frazione di secondo e assegna la rimessa a Butler. Non esiste un singolo essere umano dentro quel palazzetto convinto che Butler possa perdere questa partita, sono la squadra del destino questo è il loro momento.

Brad Stevens non fa trasparire alcuna emozione come ci riesca è per tutti un mistero, il suo collega invece, ben più abituato a queste situazioni, è un fascio di nervi non riesce a star fermo un attimo, si sente dalla parte sbagliata della Storia. Hayward quel pallone lo vorrebbe come ogni bambino che impara a giocare a basket al campetto sotto casa e sogna di segnare il tiro sulla sirena che proclama la sua squadra campione. Tuttavia ha paura, ha paura di sbagliare di deludere non solo i suoi compagni ma tutta l’Indiana, Stevens vedendo la sua star sul lato debole per 20 secondi capisce e chiama un time-out. Lo prende vicino e gli spiega che lui è l’unico che può prendere quel tiro, è l’unico che può segnarlo, nessun altro solo lui. Le telecamere sono tutte per il 20 di Butler, lui riceve e se la gioca uno contro uno dal palleggio contro Kyle Singler mentre il cronometro mangia secondi. Manca poco e Singler lo spinge verso l’aiuto di Zoubek decisamente più alto del nativo di Brownsburg ma Hayward è esattamente lì che vuole andare. La sua memoria lo rimanda a quegli 1vs1 che giocava contro il padre e si rende conto che Singler non può essere battuto dal palleggio ma può tirare in faccia a Zoubek perché lui non se lo aspetta. Gordon si butta sulla destra, Zoubek accetta il cambio ma resta passivo e Hayward esegue il suo stepback come se stesse giocando contro suo padre, si butta all’indietro e lascia andare il tiro morbidamente. Zoubek prova a togliergli visuale ma non ci riesce Hayward ha fatto tutto benissimo solo doveva farlo 5 centimetri più indietro, perché la palla colpisce il secondo ferro e ricade tra le mani di Zoubek senza prima essere passata per il cesto. Il centro di Duke segna il primo libero e sbaglia il secondo volontariamente per far correre il cronometro. Mancano 3.8 secondi Duke ha praticamente già tagliato la retina, Hayward prende il rimbalzo e corre disperatamente verso il canestro avversario, arrivato a metà campo lascia andare il tiro con il suono della sirena in sottofondo. Tabellata e ferro. La retina la possono tagliare, 61-59, Duke è campione.

Non c’è un modo per superare una cosa del genere, non basta essere chiamato con la nona scelta assoluta al draft 2010 dagli Utah Jazz, non basta diventare l’uomo franchigia, non basta sentire il calore e il peso di uno stato che si aspetta di tornare ai fasti di Stockton e Malone aggrappandosi proprio all’uomo venuto dall’Indiana. Solo una cosa può bastare a far si che tutto quel dolore represso negli occhi di un guerriero fuoriesca sotto forma di calde lacrime che solo il velo bianco della sua migliore amica può asciugare. Già, la seconda volta in cui Gordon piange è ancora una volta legato al destino di Heater che decide di convolare a nozze con il suo compagno, il che vuol dire la seconda grande separazione tra i due. Questa volta però non si torna indietro, Heater rimarrà sempre la sorella gemella e la migliore amica di Gordon ma lui sa che da quel giorno il suo amore per lei sarà in competizione e parte ovviamente sfavorito…underdog…esatto.

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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