Stephen Curry a tutto tondo: il basket, i valori, la famiglia dell’MVP

Nonostante l’enorme esposizione mediatica, è chiaro come i Golden State Warriors siano la principale attrazione di questa stagione NBA: la partenza record da 24-0 e la rincorsa all’incredibile 72-10 dei Bulls del 95/96 fanno sì che l’attenzione su di loro rimanga sempre altissima. Ed è ovvio che il simbolo di questa squadra non possa che essere il suo leader: Stephen Curry, che da MVP uscente sta giocando una stagione irreale che, già a dicembre, sembrerebbe potergli spianare la strada al repeat individuale.

E’ il personaggio del momento, Steph. E in questi giorni ha rilasciato una lunga intervista a Sean Gregory del prestigioso Time magazine, in cui svaria su parecchi argomenti: ovviamente il basket, con i suoi miglioramenti e i suoi pazzeschi allenamenti, ma anche il rapporto con gli altri playmaker della Lega e l’impegno comune al nuovo contratto collettivo, l’impegno sociale e la partita di golf con Obama, fino ad arrivare a una delle cose più importanti della persona Curry prima ancora che del giocatore: la famiglia, con particolare menzione all’ormai celeberrima figlioletta Riley.

Noi di NbaReligion vi proponiamo l’intervista completa tradotta in italiano. Per avvicinare e conoscere meglio un ragazzo snobbato dai college della ACC ed ora sul tetto della Lega.

Al momento, sei il miglior giocatore del mondo?

Nella mia testa, sì. E’ grazie alla consapevolezza e alla fiducia nei miei mezzi che riesco a giocare ogni sera ad alti livelli. Non entro nei dibattiti, discutendo con la gente sul perché io sia opposto a qualcun altro. Mi sento come uno che è arrivato al livello in cui cercavo di essere: se non pensi a questo quando sei in campo (alla fiducia nei tuoi mezzi, ndr), allora fai solo danno a te stesso.

Perché pensi di avere così tanta presa sui tifosi NBA?

Non lo so, penso per il mio stile di gioco molto creativo. Mi diverto molto in campo, sorrido, rido, provo a tenere un atteggiamento positivo. E penso di non essere il tizio più dominante fisicamente; quindi probabilmente molti dei miei fans sono piacevolmente stupiti di ciò che riesco a fare sul parquet con questa taglia fisica. La chiamo mancanza di atletismo. Ovviamente, non mancanza di coordinazione tra occhio e mano. Ma non ho certo il dono di uno stacco da terra di 40 pollici (poco più di un metro, ndr) in verticale da fermo, o di essere 6′ 9″ per 260 libbre (2.10 m per 120 kg, ndr). Questa è la mia ipotesi migliore.

Provo ad essere aperto, disponibile e cose di questo tipo, perché ero già nell’ambiente, con mio padre (Dell Curry, professionista NBA dal 1986 al 2002, ndr), e so quanto fossero affezionate le persone che venivano in contatto con lui, e come lui rallegrasse le loro giornate anche solo salutandoli.

Penso che le persone possano relazionarsi facilmente con te perché se andassi a un Y (abbreviativo di YMCA, centro ricreativo giovanile reso celebre dall’omonima canzone dei Village People, ndr) per una partitella del fine settimana – e non fossi Stephen Curry – nessuno ti guarderebbe molto. Sembri a tuo agio in questi panni (di persona normale, non fisicamente enorme o particolarmente appariscente, ndr), giusto? 

Se non ti dispiace, userò questa definizione. Ti citerò con questa descrizione, perché è un buon modo per mostrare la questione. Molte delle cose che faccio in campo sono cose che le persone pensano di poter fare. Al contrario se vedi un tizio come, ad esempio, Andre Iguodala andare in contropiede, andrà su per una una schiacciata in tomahawk. Io so che non posso farlo. Molti non possono. Tirare è parte del gioco, e tutti possono tirare come riescono. Non tutti sanno segnare magari, ma tutti sanno tirare.

Il tuo compagno di squadra Draymond Green ti ha definito “il volto della NBA”. Sei d’accordo?

Mi piacerebbe. Non penso ci possa essere una risposta da bianco o nero. Devi essere un vincente, e compiere il giusto percorso sia come giocatore che a livello di squadra per esserlo. Qualsiasi cosa possa significare ciò, sarebbe figo. Il modo in cui provo a raffigurare la mia famiglia e gli allenatori, penso siano le caratteristiche che la Lega voglia rappresentare. E’ semplicemente ciò che sono. Non ho cambiato nulla della mia persona per assumermi quel ruolo.

 

Qual è stata la più grande sfida nella tua vita, e come l’hai superata?

Probabilmente il passaggio dal liceo al college. C’era un sacco di pressione perché ero il figlio di Dell Curry, ero cresciuto a Charlotte, una città della ACC (Atlantic Coast Conference, una delle più importanti conference NCAA, ndr). Probabilmente ero veramente troppo piccolo per un aspirante atleta di Division One. Ed ero visto spesso come giocatore da categoria inferiore, ed era una specie di shock. Ero un buon giocatore di liceo, quindi era una situazione piuttosto strana. Io volevo disperatamente giocare nella ACC. Duke, North Carolina, Maryland, Wake Forest, tutte queste scuole non mi hanno mai chiamato. E così era un periodo molto frustrante, al tempo. Ma ho sempre creduto che tutto accada per una ragione, che Dio avesse un piano per me, diverso da ciò che volevo. E credere a ciò non è stata una decisione semplice, non è stata una mentalità facile da tenere.

Curry ai tempi del college a Davidson (credits to zimbio.com)

Che tipo di lavoro hai fatto quest’estate per migliorare ulteriormente dopo la stagione da MVP dell’anno scorso?

Ho lavorato sulla parte bassa del corpo e sulla forza fisica per sostenere meglio un calendario da 82 partite, sapendo che saremmo stati una squadra attesissima ogni sera. E poi, oltre a questo, sulla capacità di creare spazio sul parquet, di essere più preciso, esplosivo ed efficiente. Forza ed esplosività, semplicemente essere in grado di muovermi da un punto A a un punto B. Ma anche sul trattamento di palla che mi serve per fare bene i movimenti di cui ho bisogno per crearmi il tiro. Molte di queste cose quindi non hanno aggiunto elementi al mio gioco. E’ stato più un prendere ciò che già sapevo fare bene e renderlo migliore e più efficiente.

Il tuo trainer, Brandon Payne, dice che durante i tuoi allenamenti estivi hai provato a migliorare “l’efficienza neurocognitiva”. Cosa significa?

Questo termine è più complesso per me. Si tratta letteralmente di essere in grado di capire cosa sta succedendo in campo, e avere la memoria muscolare e l’abilità per fare determinati movimenti. Fare le letture e prendere decisioni conseguenti senza dover pensare a dove sia il pallone, ed essere in grado dunque di prendere decisioni rapide.

Quando entro in campo, so di avere due compagni in quella posizione, uno in un’altra, tre difensori, uno di fronte a me. Devi essere in grado di leggere queste cose e muoverti di conseguenza, e oltre a ciò, saper vedere cos’altro succede dopo. E’ ciò che abbiamo allenato in modi diversi. E’ un modo per lasciare la mente libera, avendo però sempre il controllo di te stesso.

Un esempio di un esercizio che fai per realizzare questa cosa?

Ne facciamo uno in cui partiamo da metà campo, e ci sono due luci. Devo andare verso la linea dei tre punti; la luce più alta indica il movimento da fare, quella più bassa il tiro che devi prendere. Così leggi tutti questi segnali e prendi una decisione immediata, andando alla massima velocità. Verde significa tra le gambe, blu significa che devi tirare da 3; giallo significa che devi fare un arresto e tiro da 2, o rosso che devi attaccare il canestro. Devi saper reagire al momento giusto e fare il movimento, non sai cosa accadrà mezzo secondo dopo. Poi devi prendere il tiro, o qualsiasi altra cosa che stai facendo correndo avanti e indietro. Quindi c’è una certa pressione e competitività in questo.

Quando la maggior parte della gente prende un tiro in sospensione, rilascia il pallone dal punto più alto del salto. Ma tu invece rilasci mentre stai saltando. Quanta importanza ha questo metodo sul successo del tuo lunghissimo range di tiro?

E’ parte della mia meccanica da quando ho ricordi. Vorrei dirlo a chiunque voglia imparare come si tiri o si giochi a basket, è una cosa fondamentale nel tiro: rilascia con le gambe ancora basse, e non faticherai in cima. Molti, quando sono al punto più alto del tiro, subiscono la gravità che ne limita il tiro. Non devi combattere on la gravità se sei ancora basso.

Le tue scarpe Under Armour hanno avuto grande successo quest’anno. Questo risultato è più dolce per il fatto di aver aiutato un’azienda a costruirsi un’identità nel mondo del basket?

Sicuramente. E’ la grande ragione per cui ho accettato. Sono stato con Nike fin dai tempi del college. E la presentazione che mi ha fatto Under Armour era improntata letteralmente sulla costruzione di un settore cestistico intorno a me, con quella mentalità da outsider con cui mi sono sempre sentito allineato. E’ la parte che mi fa fa più sentire fortunato (blessed nella versione originale, letteramente “benedetto”, ndr): una cosa è arrivare in NBA e avere successo nella Lega, ma avere anche le tue scarpe personalizzate è ancora qualcosa che non ha senso. E’ incredibile.

Quale giocatore ti dà più stimoli nell’affrontarlo?

C’è una lista di circa 10-15 playmaker della Lega che seguo giorno e notte.

Chris Paul è il numero 1 della lista?

Probabilmente sì. Per un sacco di motivi: l’aspetto di squadra, la storia e la rivalità tra le due franchigie. Ma anche per la nostra storia individuale. Mi allenavo abitualmente con lui prima del mio anno da rookie: eravamo entrambi del North Carolina.

 Siete amici?

Certo. E’ una dinamica piuttosto interessante. Quando sei nella Lega, inizi a provare ad arrivare dov’è qualcun altro, e cerchi di rimanere lì, è un ambiente veramente competitivo. Ma ovviamente, ci sono alcuni ragazzi che ti fanno da guida con il loro successo. Lui è uno di questi, Russ (Westbrook, ndr) è un altro, come anche John Wall.

Sembra che giochi come se avessi “una scheggia nella spalla” (modo di dire, s’intende all’incirca “con qualcosa da dimostrare”, ndr). E’ un’impressione corretta?

Certo. Probabilmente non è ciò che pensa la gente. Tutti dicono un sacco di cose sui giocatori, come quando James Harden fu votato MVP dall’Associazione dei giocatori, ciò che i ragazzi dei Rockets dissero nel corso della scorsa estate (si riferisce a una dichiarazione di Ty Lawson che accusava Curry di “riposarsi” in difesa, ndr), ciò che disse Doc Rivers (secondo cui i Warriors furono fortunati a non incontrare i Clippers o gli Spurs agli scorsi playoff, ndr), tutta quella roba. Io l’ho sentita ma non mi ha scosso particolarmente perché sono tranquillo. E’ come la “scheggia” che ci ha spinto a mantenere il livello molto alto, il più alto possibile, e vogliamo restare dove siamo. E’ la parte più difficile. E’ la motivazione.

Senti certe cose e reagisci ad esse, ma ad essere onesti ero già motivato prima di sentirle. E’ solamente un cosa divertente per me.

Quale atleta contemporaneo ammiri maggiormente?

Jordan Spieth (un golfista americano, ndr). La sua maturità, il modo in cui si controlla, la sua visione nonostante i soli 22 anni è incredibile. Il modo in cui è composto, sia che giochi bene o male, è incredibile.

La NBA sta piuttosto bene al momento. Ma sia giocatori che proprietari possono uscire dal contratto collettivo entro il dicembre del 2016, e ciò potrebbe provocare una serrata al termine della stagione 2016/2017. Tu sei nel comitato esecutivo dell’Associazione dei giocatori. Pensi che giocherai un ruolo chiave nelle trattative?

Sono molto interessato alla questione e voglio dare una mano nella nuova formulazione del contratto collettivo. I giocatori hanno più influenza ora: siamo molto più organizzati di quanto non siamo mai stati, siamo molto più uniti, ed è questa la nostra maggiore influenza come giocatori. Siamo dalla stessa parte rispetto a ciò che vogliamo mettere sul tavolo. Noi siamo ovviamente fortunati per il fatto di giocare ed essere pagati per farlo, e il gioco è nel miglior stato di forma in cui si sia mai trovato. Vogliamo quindi approfittare di questo, per essere certi di ricevere ciò che è giusto all’interno della grande macchina della NBA. Ovviamente, è un argomento delicato: basta guardare come il valore delle squadre stia salendo anno dopo anno, e quindi segui quella tendenza, i giocatori dovrebbero essere ricompensati proporzionalmente. E’ un messaggio semplice, e lotteremo per questo. Sperando che la questione non diventi eccessivamente sgradevole.

La NBA ha già conosciuto due lockout che hanno accorciato le stagioni 98/99 e 2011/2012. Qual è il tuo messaggio per i tifosi, che non vogliono certo vederne un altro?

Nemmeno i giocatori vogliono vedere un altro lockout. Noi vogliamo giocare. I ragazzi hanno una finestra temporale tanto corta che non vogliono certo perdere tempo sedendosi a discutere di contratti e cose di questo tipo. Stiamo lavorando duramente per presentare i nostri argomenti e per sentire quelli della NBA, che potrebbero essere giusti o potrebbero non esserlo, e lavorare su queste questioni. Noi lotteremo per ciò che consideriamo sia gusto.

Gli atleti hanno cominciato a parlare sempre di più di questioni sociali che stanno loro a cuore. E’ qualcosa che ti sembra di fare particolarmente?

Non mi spaventano affatto questo genere di cose. Recentemente ho twittato sulla riforma carceraria, per il fatto che molte persone vengono messe in prigione per crimini leggeri. E’ interessante, mi piace vedere la reazione. E’ iniziata una discussione, anche se non ne ho preso parte sul social.

La gente è molto sorpresa che io sia a conoscenza di queste cose. Persino i sostenitori di quella causa erano sorpresi che conoscessi la questione. Anche se non twitto di questo ogni ora, o non comincio con lunghe discussioni o altro, le persone seguono quella corrente e discutono con le proprie opinioni. Penso sia una cosa forte.

Com’è stato giocare a golf con il presidente Obama la scorsa estate?

E’ stato molto bello e divertente. Se non fossimo usciti lì e non avessimo iniziato a parlare, e non ci fossero stati 25 uomini dei servizi segreti ad ogni buca, non avresti nemmeno pensato che fosse il Presidente degli Stati Uniti. Abbiamo giocato all’incirca alle 12; quindi per tutta la mattina ho stirato i miei vestiti, pulito le mazze, fatto tutte queste cose senza senso. Ero così emozionato e nervoso… Uno dello staff della Casa Bianca mi è venuto a prendere con una Jeep del 2002, niente di speciale, ci ha solo portato sul posto passando per Martha’s Vineyard. Ci guardiamo in giro, e c’erano persone che stavano già giocando. Ho pensato che avrebbe chiuso, perché doveva giocare il presidente. Così siamo arrivati al campo di pratica, Ray Allen era già lì, il presidente invece doveva ancora arrivare; 10-15 minuti dopo si vede un intero corteo venire verso il campo. Noi abbiamo parcheggiato in un parcheggio, loro sono venuti praticamente sul campo; erano all’incirca 7 SUV e un camion blindato dietro. E a questo punto ho iniziato ad essere nervoso. E’ così che è andata.

Eri più nervoso lì che durante le ultime Finali NBA?

Di sicuro. Mi sento bene in campo. Lì, al primo tee, c’erano il presidente, mio padre, Ray Allen, e altre 40 persone del club che urlavano il nome di Obama per tutto il tempo. Ho solo cercato di essere certo di mandare la pallina per aria. L’ho sparata ad almeno 40-50 yards a destra (sui 40 metri, ndr). Ma stavamo giocando con la breakfast ball rule (regola del golf grazie a cui un giocatore può ripetere il primo tiro, ndr), e così ho potuto ritentare. L’ho colpita in modo decente dopo: sono rimasto sotto il par nelle prime due buche.

Curry con la figlioletta Riley (credits to www.etonline.com)

Com’è stato vedere tua figlia di 2 anni Riley diventare una star di internet la scorsa primavera, dopo aver rubato la scena durante la tua conferenza stampa nei playoff? (Riley oggi ha 3 anni; la moglie di Curry, Ayesha, la scorsa estate ha dato alla luce la seconda figlia della coppia, Ryan).

Non eravamo pronti a questo. Ho guardato la NBA per tutta la mia vita. Ho visto conferenze stampa del dopo gara dove i ragazzi portavano i propri figli un sacco di volte: ed è un momento speciale, essere capaci di restare in contatto con i tuoi figli dopo una buona partita, una cattiva partita, sempre. Semplicemente perché a fine giornata odi non aver passato il tempo che avresti voluto con i tuoi figli.

Quindi quei momenti sono molto preziosi. Dopo la partita, sei solo felice di vedere la tua famiglia. Era così anche allora, stavo andando nella stanza della mia famiglia. Mia moglie e mia figlia erano lì, e dissi: “ciao a tutti, devo andare a rispondere a qualche domanda veloce”. E Riley voleva venire con me. Certo, andiamo. L’ho presa in braccio e l’ho portata la, non avevo idea di cosa avrebbe fatto. Non direi che ci ha sorpreso, lei a casa è così tutto il tempo, ha quella personalità. Ma di fronte a tutta quella gente, è semplicemente scappata.

Me ne sono accorto quando sono andato a casa. C’era SportCenter, non lo dimenticherò mai: John Buccigross era lì, diceva le tre star della notte e Riley era una di loro. E io pensavo, “cosa significa?”, perché non avevo visto il replay, e quindi non sapevo quanto fosse stato divertente per tutti. Lei mi diceva di stare tranquillo, che c’era troppo rumore, tutte quelle cose: era davvero divertente. Ha camminato vero la TV, e vedendo sé stessa ha detto: “aaahhh, Riley!”, e poi via, come se non fosse successo nulla. Non lo sapeva.

E’ stato molto sorprendente come poi la cosa sia stata presa, tutti i memes e l’attenzione che ha avuto. Persino ora, anche dopo l’estate, ovunque vada, veramente ovunque, mi chiedono “Dov’è Riley? Dov’è?”. Non è qui, stai solo urlando il suo nome. E’ interessante, ma stiamo cercando di riportare le cose alla normalità il prima possibile per lei. E’ una sfida.

Ci sono state cose negative in tutta questa esperienza?

Non cambierei nulla di ciò che abbiamo fatto. Niente. Avrei sempre voluto quel momento per la mia famiglia. Non vedo l’ora, quando lei sarà un’adolescente, e potrò dirle, “hey, è questo ciò che hai fatto”. Se c’è un lato negativo, con i social media, è che tutti ora sanno chi è. A volte sono preoccupato che quando avrà l’età per capire cos’è accaduto possa non riuscire a controllare la cosa. Speriamo di arrivare preparati. C’è una piccola differenza, tuo padre gioca nella NBA; ma questo non deve cambiare la tua persona. Mi piace la possibilità di riuscire a insegnarle questa cosa.

 Qual è la grande preoccupazione nella tua vita?

Non perdere me stesso. Non perdere la mia prospettiva di vita. Sto imparando che devi essere molto attivo in quel senso.

Non voglio avere un atteggiamento negativo. Ma le cose sono veramente grandi ora: stiamo vincendo, ci sono così tante belle cose nella vita, e tutto accade una volta sola. Prima o poi il basket finirà, ma ho un sacco di altre cose per cui vivere. Quindi penso che la sola preoccupazione è di non essere considerato solamente come un giocatore di pallacanestro.

Se c’è una cosa che la gente può aspettarsi da te nel prossimo anno, quale sarebbe?

Aspettatevi di vedermi migliorare ancora.

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Pubblicato da
Giacomo Sordo

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