Kareem Abdul-Jabbar – The Skyhook (Seconda parte)

Avevamo lasciato in sospeso la storia di Kareem Abdul-Jabbar all’estate del 1979 ed è proprio da lì che andremo a riprenderla.
I Los Angeles Lakers nel 1979 cambiano proprietà passando da Jack Kent Cooke a Jerry Buss e scelgono con la prima chiamata assoluta al draft Earvin “Magic” Johnson da Michigan State, sarà l’inizio di una nuova era per i Lakers in cui Abdul-Jabbar darà ovviamente il suo contributo.
Il 12 Ottobre 1979 l’esordio in Regular Season è contro i San Diego Clippers con Kareem che per questa partita, come per alcune altre di questa stagione non porterà gli occhiali. I Lakers sono sotto di uno a pochi secondi dalla fine con la rimessa in zona di attacco, Ford serve Abdul-Jabbar che si gira e fa partire lo skyhook che si infila nel canestro sulla sirena dando la vittoria ai Lakers per 103 a 102 con il rookie Magic Johnson che corre ad avvolgere il #33 in un abbraccio come se avessero appena vinto il titolo, Kareem da vero leader e capitano ricorda tranquillamente  a Magic che avrebbero dovuto ancora giocare 81 partite.

 

Kareem conclude la stagione con 24.8 punti e 10.8 rimbalzi a partita, è primo nella classifica delle stoppate, 3.4 ad allacciata di scarpe, tira con il 60,4% dal campo e vince il suo sesto titolo di MVP della Regular Season superando il record di Bill Russell. I Lakers nei playoff scacciano i fantasmi delle due stagioni precedenti sconfiggendo in finale di Conference i Seattle Supersonics e arrivano così in finale NBA dove incontrano i Philadelphia 76ers campioni della Eastern Conference, con la serie che vede la vittoria alternarsi tra le due squadre fino al 2-2 quando ci si appresta ad affrontare gara 5 a Los Angeles.
Durante gara 5 Abdul-Jabbar subisce un grave infortunio alla caviglia ma stringe i denti e conduce alla vittoria i Lakers per 109 a 104, segnando ben 40 punti. Le sue condizioni però appaiono subito preoccupanti, infatti il centro in maglia giallo-viola non avrebbe potuto disputare gara 6. I giocatori erano tutti preoccupati dell’assenza del Cap (o Capitano), come era chiamato affettuosamente il #33 dai suoi compagni di squadra, ma Magic Johnson si avvicinò loro dicendo di non preoccuparsi perché c’era il #32 e che avrebbe giocato lui da centro al posto di Kareem. In gara 6 i Lakers vincono 123 a 107 allo Spectrum di Philadelphia con Magic Johnson che realizza 42 punti, cattura 15 rimbalzi e distribuisce 7 assist vincendo il titolo di MVP delle finali (primo e fin’ora unico rookie a riuscirci), il titolo NBA torna così a Los Angeles dopo 8 anni.
Dopo 6 partite della stagione 1981-1982 Magic Johnson dichiara pubblicamente di essere scontento del modo di giocare di coach Westhead, Jerry Buss indice una conferenza stampa dove licenzia Westhead e nomina come allenatore Jerry West, il quale però rifiuta la panchina e chiede all’assistente allenatore Pat Riley se vuole allenare, con l’ex giocatore di Kentucky che accetta e diventa capo-allenatore dei Lakers mentre Bill Bertka viene promosso al ruolo di 1° assistente allenatore, ha inizio così l’era dello Showtime dei Los Angeles Lakers.
Abdul-Jabbar era un centro perfetto per lo stile d’attacco di coach Riley, un centro moderno dotato di agilità (rispetto ai centri degli anni ’80 dotati di potenza e fisicità) che poteva chiudere tranquillamente il contropiede dei Lakers arrivando a rimorchio. Se i giallo-viola non riuscivano nello showtime era Magic Johnson a chiamare lo schema alzando il pugno per indicare che era il momento di dare la palla a Kareem che avrebbe concluso con il gancio cielo. Ormai però le difese si stavano adattando a questo colpo creando trappole difensive per bloccare lo skyhook che veniva effettuato ancora solo con la mano destra da Abdul-Jabbar. Lo staff dei Lakers, come riferito dall’assistente allenatore Bertka, progetta così una serie di giochi per far sì che Kareem tirasse lo skyhook anche con la mano sinistra in modo da rendere il colpo ancora più efficace. Con il lavoro in allenamento la capacità del #33 di effettuare questa conclusione con la mano debole risulta strabiliante andando oltre le più rosee aspettative dello staff, infatti tirare con la mano destra o sinistra diventa per il Capitano totalmente indifferente.

Lo skyhook mancino di Abdul-Jabbar (credits to: www.coachlikeapro.com)

In stagione i Lakers raggiungono il miglior record nella Western Conference  e il loro percorso nei playoff è netto fino alla finale ancora contro i Philadelphia 76ers dove la squadra della città dell’amore fraterno viene superata 4 a 2 dai giallo-viola con Magic Johnson che viene eletto ancora una volta MVP delle finali.
Nella stagione successiva per Abdul-Jabbar arriva un momento molto triste che non riguarda l’ambito cestistico, infatti un incendio brucia la sua casa, distruggendo molti dei suoi effetti personali tra cui la sua amata collezione di LP di musica jazz, circa 3.000 album. Molti fan dei Lakers decidono così di inviare o portare degli album a Kareem, cosa che lo rende molto felice e dimostra il grande affetto dei tifosi verso il Capitano. I Lakers anche in questa stagione arrivano in finale e ancora una volta contro i Philadelphia 76ers, dove questa volta però sono Julius Erving e Moses Malone a dominare la scena e a portare il titolo in Pennsylvania con il risultato di 4 a 0.
Il 1984 rappresenta un anno storico per Kareem Abdul-Jabbar, infatti il 5 Aprile, nella partita contro gli Utah Jazz giocata a Las Vegas, il #33 supera il record di punti segnati da Wilt Chamberlain diventando il primo marcatore della storia dell’NBA. I punti 31.420 e 31.421 che lo portano nell’olimpo dell’NBA sono realizzati, neanche a dirlo, con uno skyhook dopo aver ricevuto il passaggio di Magic Johnson e sembra risuonare ancora la voce del leggendario speaker dei Lakers Chick Hearn descrivere l’azione:

“La palla arriva a Kareem che oscilla a sinistra e spara a destra…lo skyhook dai 12 piedi, è buono!”

La partita viene interrotta momentaneamente con il Commissioner David Stern che si complimenta con Kareem e gli consegna la palla della partita con cui ha superato il record di punti.

 

I playoff di quella stagione vedono ancora i Lakers diventare campioni della Western Conference ed arrivare in finale contro i Boston Celtics di Larry Bird, per quella che diventerà la grande sfida degli anni ’80. La serie è equilibrata e si risolve solo in gara 7 al Boston Garden dove i Celtics battono i Lakers 111 a 102 e si laureano campioni NBA.
La stagione 1984-1985 è quella del riscatto per i Lakers e per Kareem Abdul-Jabbar, infatti dopo la “solita” regular season conclusa al primo posto della Western Conference, arriva la finale contro i Boston Celtics per il re-match della stagione precedente, dove ancora una volta i Celtics hanno però l’eventuale gara 7 in casa. Gara 1 al Boston Garden non ha storia, i Lakers vengono sconfitti per 148 a 114 in quello che viene ricordato come “il massacro del Memorial Day”, la prestazione di Abdul-Jabbar non è ai suoi livelli, segna 12 punti e cattura solo 3 rimbalzi e sembra dar ragione a quegli addetti ai lavori che lo considerano ormai a 38 anni un giocatore finito. Nei due giorni successivi a gara 1 però Abdul-Jabbar guarda per ore il video della partita e partecipa a sessioni di prove di maratona e i ripetuti tentativi di coach Pat Riley di convincere Abdul-Jabbar a prendersi una gara di riposo falliscono tutti.
In gara 2 Abdul-Jabbar realizza 30 punti, cattura 17 rimbalzi, serve 8 assist e rifila 3 stoppate con i Lakers che violano il Boston Garden per 109 a 102. Ormai il Capitano ha ritrovato se stesso e i Los Angeles Lakers chiudono la serie in sei partite vincendo un altro titolo NBA con Abdul-Jabbar che nelle quattro partite vinte da L.A tiene una media di 30.2 punti, 11.3 rimbalzi, 6.5 assist e 2.0 stoppate venendo eletto MVP delle Finals.
Ormai Kareem, viste anche le 38 primavere, sta andando verso le sue ultime stagioni e così oltre a continuare a fare yoga, rafforza il suo programma di fitness iniziando a praticare arti marziali per mantenere le sue braccia e le sue gambe forti e agili e meditando anche prima di ogni partita per ridurre lo stress.
La stagione 1985-1986 vede i Lakers venire eliminati nella finale della Western Conference dagli Houston Rockets ma i giallo-viola si rifanno l’anno successivo tornando in finale NBA, ancora una volta contro i Boston Celtics di Larry Bird, vincendo il titolo in 6 partite con Magic Johnson eletto MVP delle Finals, Abdul-Jabbar vince così il suo quinto titolo NBA a 40 anni ma invece di ritirarsi rinnova il contratto con i Los Angeles Lakers per altri due anni.
L’anno sportivo 1987-1988 vede i Lakers arrivare ancora una volta in finale NBA, è infatti ben la settima finale in 9 anni, avversari questa volta sono i Detroit Pistons di Isiah Thomas.
La serie è durissima contro i “Bad Boys” di Detroit che sono in vantaggio per 3 a 2 prima di gara 6 al Forum di Los Angeles. I Lakers sono sotto nel punteggio ma recuperano, con Kareem che dopo aver subito il fallo da Laimbeer realizza i due liberi che danno la vittoria a L.A. per 103 a 102, i giallo-viola poi vincono anche gara 7 per 108 a 103 e conquistano il titolo NBA per il secondo anno di fila per un reapet che non accadeva dalla stagione 1968-1969 quando a ripetersi furono i Boston Celtics.
Si arriva a quella che sarà l’ultima stagione di Kareem Abdul-Jabbar prima del ritiro, la 1988-1989, dove i Lakers tornano alle finali in un rematch della stagione precedente contro i  Detroit Pistons. Abdul-Jabbar da il massimo anche in questa serie e in gara 3 realizza 24 punti e  cattura 13 rimbalzi ma tutto questo non basta per strappare la vittoria, i giallo-viola soffrono dell’assenza di Byron Scott (fuori per tutta la serie di finale) e hanno Magic Johnson in non perfette condizioni, con il play che poi salterà gara 4. I Pistons vincono per 4 a 0 conquistando il titolo con Abdul-Jabbar che nella sua ultima partita realizza 7 punti e cattura 3 rimbalzi.
Il 28 Giugno 1989 Kareem Abdul-Jabbar annuncia il suo ritiro dal basket giocato e nel suo “tour di ritiro” il #33 riceve standing ovation in ogni campo di gioco da parte di tutti i tifosi e anche regali che vanno da uno yacht chiamato “Il Capitano Skyhook”, a maglie della sua carriera incorniciate fino a un tappeto afgano. Inoltre alla sua partita di addio al basket hanno partecipato sia leggende dei Los Angeles Lakers sia leggende dei Boston Celtics, e come riferito da Magic Johnson nella sua biografia “My life”, ogni giocatore si è presentato in campo con gli occhiali in pieno stile Kareem e ha provato almeno una volta uno skyhook con risultati comici.
I 7 punti in gara 4 contro i Pistons sono gli ultimi di Abdul-Jabbar in NBA dove ha realizzato 38.387 punti, record assoluto ogni epoca, ha catturato 17.440 rimbalzi, ha stoppato i suoi avversari 3.189 volte, ha tirato dal campo con il 55,9% in 1.560 partite giocate ed è andato in doppia cifra per 787 partite consecutive. Nei 20 anni di carriera NBA, inoltre, la sua squadra ha raggiunto 18 volte i playoff superando il primo turno in 14 occasioni ed arrivando 10 volte in finale. I titoli NBA conquistati da Abdul-Jabbar sono 6 (1 con i Milwaukee Bucks e 5 con i Los Angeles Lakers) e sempre sei sono i titoli MVP della Regular Season (1971, 1972,1974,1976,1977,1980) mentre 2 sono gli MVP delle Finals (1971 e 1985) più il Rookie Of the Year del 1970.

Dopo il suo ritiro da giocatore, nel 1995 Abdul-Jabbar fa il suo ingresso nell’olimpo del basket, viene infatti inserito nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. Nel 1996 per la 50esima edizione del campionato NBA la lega stila la lista dei 50 migliori giocatori della storia, giocatori che poi vengono presentati al pubblico nell’intervallo dell’All Star Game del 1997 tenuto a Cleveland e tra questi non poteva di certo mancare Kareem Abdul-Jabbar.
Nel 1998 Abdul-Jabbar allena volontariamente al liceo di Alchesay nella riserva indiana di Fort Apache Whiteriver in Arizona cercando di iniziare così la carriera di allenatore e sempre in questo anno Kareem giunge ad un accordo con un giocatore dei Miami Dolphins, il ragazzo, nato come Sharmon Shah, aveva cambiato il suo nome dopo la conversione all’Islam. Il nome scelto dal giocatore dei Dolphins porta Kareem a denunciarlo, la questione infatti era semplice, il giocatore della NFL, tra l’altro anche lui ex giocatore di UCLA al college, aveva scelto come nome Karim Abdul-Jabbar e portava il numero 33 sulla maglia con Kareem che sentiva che quel nome sulla maglia avrebbe potuto portare una cattiva pubblicità a lui stesso dopo tutti i sacrifici che aveva fatto. Dopo la denuncia tuttavia si giunge ad un accordo: il giocatore dei Dolphins cambia nome sulla maglia portandolo ad un semplice “Abdul” e anche il suo nome che diventa Abdul-Karim al Jabbar.
Inseguendo la sua volontà di diventare allenatore, nel 2000 Abdul-Jabbar inizia a lavorare come assistente per i Los Angeles Clippers per curare la crescita del loro lungo Michael Olowokandi e poi passa ai Seattle Supersonics sempre nel ruolo di assistente per seguire i movimenti di Jerome James.
È il primo anno del nuovo millennio quando esce il documentario Bruce Lee – La leggenda, al cui interno ci sono scene montate del film del 1972 Game of Death, mai concluso per la morte prematura dello stesso Bruce Lee, a cui partecipò anche Kareem Abdul-Jabbar.

Bruce Lee e Kareem Abdul-Jabbar in una scena di Game of Death (credits to: movieplayer.it)

Nel 2002 arriva finalmente una buona occasione per l’Abdul-Jabbar allenatore, infatti viene nominato capo allenatore degli Oklahoma Storm partecipanti alla United States Basketball League e conduce la sua squadra a vincere il campionato. Tuttavia l’opportunità come head coach NBA non arriva, forse per il fatto che nei suoi anni da giocatore Abdul-Jabbar aveva sviluppato la reputazione di essere introverso e scontroso, non parlava quasi mai con la stampa e ciò aveva portato l’impressione che lui stesso la detestasse.
La sua carriera NBA fuori dal campo prosegue così come scout per i New York Knicks ed è proprio in una partita contro i Lakers che Shaquille O’Neal nota Abdul-Jabbar seduto sulle poltroncine della linea di fondo, il #34 dei Lakers si fa dare la palla e realizza due punti con uno skyhook, poi si gira e indica Kareem per essere sicuro che abbia ricevuto il suo omaggio.
Il 2 Settembre 2005 Kareem torna finalmente a “casa”, viene infatti ingaggiato dai Lakers come speciale assistente allenatore per aiutare nel loro percorso di crescita i loro pivot e in particolar modo Andrew Bynum.
Nel 2008 Abdul-Jabbar inizia invece una partita più importante di quelle disputate sul parquet, infatti gli viene diagnosticata una forma di leucemia ma tiene il mondo all’oscuro fino al novembre 2009 quando comunica la sua malattia e dopo tre anni di dura lotta, finalmente nel 2011 Kareem annuncia la sua vittoria contro il male.
Dopo aver chiuso la carriera da allenatore e aver sconfitto la leucemia, Abdul-Jabbar nel 2012 viene nominato ambasciatore culturale degli Stati Uniti d’America nel mondo dal segretario di stato Hilary Clinton.
È sempre il 2012 quando Kareem-Abdul Jabbar riceve un omaggio da parte dei Lakers che lo inserisce di fatto, sempre se non lo fosse già, nell’olimpo dei giallo-viola e del basket. Fuori dallo Staples Center di Los Angeles, tra quelle che raffigurano Magic Johnson e Jerry West, viene posizionata una statua in bronzo che immortalata la figura di Kareem con i suoi occhiali protettivi nell’atto di eseguire lo skyhook, con Kareem che nel giorno della presentazione della statua ha dichiarato di sentirsi in imbarazzo ma molto riconoscente per l’onore concesso.

La statua di Abdul-Jabbar di fronte allo Staples Center (credits to: www.rotblattamrany.com)

Lo skyhook oggi è praticamente scomparso forse perché come riferito dallo stesso Kareem e da altri grandi del passato come Bill Walton e Jerry West, i giocatori d’oggi preferiscono saltare e palleggiare, giocare di potenza e di fisico rispetto a giocare di tecnica ma anche se il gancio cielo non viene più utilizzato, ha caratterizzato tutta la carriera di Abdul-Jabbar che è stata lunga e piena di successi personali e di squadra; una cosa è certa, anche se l’ultima generazione ha trovato un modo più “emozionante” per segnare, non ha però trovato niente di più efficace.
I più grandi tra i grandi hanno un firma, un timbro indelebile che indica esattamente chi sono e quando dentro e fuori un campo da pallacanestro si parla di skyhook si pensa sempre e solo a Kareem Abdul Jabbar.

SIMONE CARLONI

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Simone Carloni

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