Difficile ridurre a un semplice ruolo un giocatore e un personaggio che ha finito per incarnare il prototipo e il modello dell’immaginario collettivo del giocatore di basket. Michael Jordan è diventato prima di tutto un’icona della pallacanestro mondiale (anche letteralmente, nell’omonima linea di abbigliamento), riconosciuto comunemente come il miglior giocatore di ogni epoca. Dopo aver chiuso definitivamente la carriera in maglia Wizards nel 2003, chiudendo al tempo come terzo realizzatore di sempre (superato poi da Kobe Bryant), MJ ha inizialmente curato i propri numerosi brand, rientrando poi in NBA nel 2006 in qualità di proprietario, quando rilevò la maggioranza degli allora Charlotte Bobcats, oggi tornati all’originale nome Hornets. Finora i risultati della squadra sono stati quasi sempre tutt’altro che lusinghieri, alimentando la fama di scarsa capacità di Jordan in ambito dirigenziale (memorabile la scelta da lui patrocinata di Kwame Brown alla numero 1 ai Wizards nel 2001, quando era dirigente della squadra con la quale di lì a poco sarebbe tornato sul parquet). In fondo sarebbe anche giusto così: anche le leggende hanno i loro talloni d’Achille.