I San Antonio Spurs sono squadra solida, solidissima, con rotazioni ben chiare ed uno stile di gioco oliato e arioso. Prima dell’inizio di questa settimana (che sta per concludersi tra poche ore) la franchigia texana portava in dote 13 vittorie consecutive ed una difesa da prima della classe (avevano perso solamente una partita in stagione con uno scarto in doppia cifra), oltre che pregiarsi del record di franchigia costituito da 12 vittorie “and counting” con un margine superiore di almeno 25 punti.
Lunedì 25 gennaio, però, i ragazzi guidati da Pop hanno dovuto affrontare il miglior attacco NBA, quello di Golden State, ed il risultato è stato impietoso: una “L” da 120 a 90, 30 punti di differenza e seconda volta in stagione che subiscono almeno 110 punti (era successo in apertura di stagione contro OKC). La scorsa notte, dopo essere passati da casa per (stra)vincere contro Houston, gli Spurs sono volati nella casa del “Re LBJ” e le cose sono andate (ancora) male: sconfitti 117 a 103 e, per la terza volta in stagione, han concesso agli avversari una percentuale dal campo che supera il 50%.
Un filo comune di queste sconfitte? L’assenza di Tim Duncan, anche se (forse) avrebbe potuto fare poco anche lui contro 2 franchigie, Cleveland e Warriors appunto, che in casa hanno un record combinato di 41 vittorie e 3 sconfitte. Dopotutto il bello deve ancora venire e questi record non conteranno più niente quando la palla scotterà per davvero, San Antonio lo sa.