In questo quinto articolo tiriamo le somme per la prima parte dello studio. Scoprire in che modo le variabili utilizzate nel modello si rapportano alle performance ci offre notevoli spunti di riflessione. L’indice utilizzato per analizzare il rapporto tra vittorie (variabile dipendente) e le variabili indipendente è stato il coefficiente di correlazione.
Per i meno ferrati in materia: la correlazione sintetizza il rapporto che esiste tra due grandezze e indica la tendenza di una a variare in funzione dell’altra. Compreso tra 1 e -1, il primo estremo indica una correlazione positiva perfetta (variazione nello stesso senso) e il secondo una correlazione negativa perfetta (variazione nel senso opposto). Per valori prossimi allo zero invece non esiste alcuna relazione.
Ricordiamo velocemente. Abbiamo utilizzato nel modello l’esperienza del team (Shared Team Experience), l’età media, la posizione del draft , l’impatto del coach e l’integrazione tra esperienza del coach e quella della squadra. Andiamo ad analizzare i coefficienti.
Tra il 1999 e il 2013, il periodo analizzato in questo lavoro, la Shared Team Experience ha registrato una correlazione media di 0,63 con un picco massimo di 0,75 (stagione 05/06) e un minimo di 0,46 (01/02) evidenziando quindi un rapporto positivo con il livello di performance; in altre parole, aumentando la quantità di esperienza in un team aumentano anche le vittorie. Ma abbiamo visto che questo non è sempre vero, altrimenti l’indice sarebbe stato uguale a 1; l’andamento curvilineo della variabile mostra che, dopo un certo limite di esperienza accumulata, i risultati iniziano a decrescere. Questo è il fenomeno che negli articoli precedenti è stato chiamato Knowledge Ossification, ovvero il momento in cui i giocatori diventano schiavi del modello adottato e, rimando vincolati in una competency trap, condannando il team ad un arresto del processo di apprendimento (learning effect).
Anche la variabile dell’età media ha registrato una correlazione positiva con le vittorie. Lo 0,50 medio e l’assenza di un valore negativo supporta la tesi iniziale peraltro collegata all’esperienza, secondo la quale la capacità dinamica e di assorbimento aumentano con il passare degli anni trascorsi nella lega, consolidando l’impatto positivo della risorsa nel team.
Discorso diverso, invece, per quanto riguarda la variabile della posizione del Draft. La correlazione media registrata per questo parametro è stata di -0,09, dunque statisticamente non influenza il numero di vittorie, ovvero non ha alcun impatto sul livello di performance. Cerchiamo di dare una motivazione.
Anche se il Draft è uno strumento che garantisce la suddivisione del talento tra le squadre e presuppone che alle prime scelte siano chiamati i migliori giocatori, questo non assicura automaticamente performance migliori. Dato che stiamo parlando di un gioco di squadra, non è tanto importante il valore assoluto del giocatore ma la sua integrazione con il talento già presenti nel team, facilitata dalla guida del coach e dalla capacità degli altri di accogliere il nuovo arrivo nel modo più efficiente e funzionale possibile. Ancora una volta la capacità di assorbimento ha un’importanza notevole.
Come controprova sulla centralità della figura del leader all’interno di una squadra, la variabile del Coach ha restituito una correlazione media di 0,30. Come detto, però, in un contesto del genere non è tanto importante la sua esperienza a se stante bensì la combinazione con quella del team. Infatti l’integrazione tra le due ha registrato una correlazione media pari a 0,40 con un picco di 0,62.
Come da ipotesi, il vero vantaggio di una squadra risiede nell’integrazione tra leader e squadra: tale rapporto facilita l’apprendimento da parte dei giocatori riducendo al minimo il tempo necessario per innescare il processo di Learning Effect raggiungendo, quindi, più velocemente un vantaggio competitivo basato sulla Tacit Knowledge.
Ed è proprio l’accumulo di conoscenza tacita l’ultimo step del modello. Trovare una relazione positiva tra Tacit Knowledge e vittorie confermerebbe l’ipotesi iniziale dello studio: costruire una base di competenze tacite aumenta la possibilità di creare un vantaggio competitivo sostenibile utile per raggiungere un alto livello di performance.
Ricordando che nel calcolo sono state utilizzate le cinque variabili, le loro correlazione e relative deviazione standard, la Tacit Knowledge ha registrato un indice medio pari a 0,58, confermando l’ipotesi della relazione positiva.
Andamento della Tacit Knowledge / nbareligion.com, Giovanni Mori
Come accennato nel primo articolo, è stata fatta un’analisi di controprova individuando i migliori team per accumulo di conoscenza tacita. I primi quattro sono stati: Los Angeles, Miami, Dallas e San Antonio. Sulle quattordici stagioni analizzate queste hanno vinto dodici titoli. Come prova del nove, a mio avviso, è molto soddisfacente.
Allo stesso tempo, però, sono stati selezionati anche i peggiori team: Toronto, Memphis, Golden State e Chicago.
La motivazione sta nel fatto di voler capire se davvero esiste un andamento ciclico dei team e se davvero a tutte le squadre, grazie ai meccanismi di Draft , Trade e Salary Cap, viene data la possibilità di aumentare il livello di performance e, perché no, di vincere il titolo. Non serve che scriva i risultati raggiunti, soprattutto da parte di una singola franchigia, da questi quattro team dopo il 2013.
Anche la seconda ipotesi è stata confermata: la NBA ha creato un sistema tale da dare a tutti i team gli stessi strumenti. Sta nelle scelte manageriale, nelle skill dei singoli al servizio della squadra, nella capacità intangibile di istaurare un’alchimia e nell’incanalare la mutualità di interessi verso un unico obiettivo, la chiave per arrivare al successo.
La maggior parte dei casi non parliamo di un qualcosa di materiale. Quasi sempre siamo al cospetto di un qualcosa che non possiamo stringere in mano. Ma chi riesce a gestire tutto ciò, chi è capace di creare una Tacit Knowledge migliore dei concorrenti alla fine avrà più possibilità di afferrare l’oggetto più tangibile del mondo NBA:
il Larry O’Brien Championship Trophy.
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AUTORE: Giovanni Mori