La semplicità di volare

“E se non avessi fatto il cestista?” – “Avrei fatto l’allenatore” – “Ok, ma se il basket non fosse esistito cosa avresti fatto?”.

L’intervistato ci pensa, rimane con quei suoi occhi da bambino a fissare il vuoto. Gli tornano in mente le giornate infinite per le strade di Sepolia, quando lui e i suoi fratelli dovevano fare notte per cercare di vendere delle Adidas contraffatte ai passanti. O era così oppure in sei, tra genitori e figli, non si mangiava.

“La guardia di sicurezza?” – “Come mai?” – “Non ne ho idea, forse perché sono alto. Non ci ho mai pensato”.

Come dargli torto; una persona che non ha idea dove affondino le proprie radici, che è passato dal vendere scarpe e borse contraffatte ad indossare le riproduzioni autentiche, non può pensare ad un percorso alternativo. Doveva per forza andare in questo modo.

Una famiglia come tante

Sepolia è un sobborgo di Atene, non un bellissimo posto per vivere, ma sicuramente migliore della miseria nella quale arrancavano Charles e Victoria Adetokunbo in Nigeria. Una mattina del 1990 decidono di puntare la bussola verso nord e dopo diversi giorni arrivano in Grecia. Nella patria di Socrate cominciano a vagabondare di città in città, elemosinando un lavoro come babysitter per Victoria o come manovale per Charles. Il governo ellenico non può riconoscere la cittadinanza a chi si è insediato nel paese senza uno straccio di documento, così ogniqualvolta il datore di lavoro comincia a fare delle domande bisogna rimettersi il fagotto in spalla e riprendere il pellegrinaggio. Atene sembra essere il posto migliore, ancora meglio la sua area suburbana, dove la clandestinità la fa da padrona. Charles e Veronica riescono a trovare un tetto a Sepolia nel 1991, sotto il quale nascono Thanasis, Giannis, Kostas e Alex. Le bocche da sfamare cominciano ad essere parecchie e le attività per mettersi in tasca qualche Dracma/Euro devono per forza aumentare. Thanasis è il più grande e anche il più disponibile a dare una mano ai genitori nel cercare di piazzare della merce di dubbia provenienza. Ben presto anche Giannis raggiunge l’età adatta per mettersi al lavoro (tra i due fratelli ci sono appena due anni di differenza) e comincia a flirtare con il bollente asfalto attico. Su quell’asfalto deve stare in piedi le ore per racimolare 10 euro ad orologio, e qualche scampolo di giornata a saltellare su un playground vicino casa. A dire la verità lo sport di famiglia sarebbe il calcio. Papà Charles ha giocato in Nigeria e anche i figli si divertono correndo dietro un pallone quasi mai gonfio, ma l’altezza dei due presuppone almeno un tentativo con l’arancia. Il problema è che i soldi per le calzature scarseggiano, così i genitori comprano un unico paio di scarpe da gioco; Giannis e Thanasis se le sarebbero dovute dividere. Già, ma tra i due quello ad avere più feeling con la retina (e ad essere 5-6 centimetri più alto) è il minore, così, per rendere gli 1vs1 più equilibrati, le scarpe toccavano quasi sempre a Thanasis.

L’unico paio di scarpe di Antetokounmpo e fratello

Qualche volta però le indossa pure Giannis e fortunatamente lo vede con le scarpe ai piedi tale Spiros Velliniatis, sconosciuto (fino ad allora) allenatore del Filathlitikos, squadra militante in seconda divisione greca. Rimane estasiato dalla coordinazione dei due atleti ma nel più piccolo vede una luce diversa, ha la sensazione che in un momento molto particolare per la Grecia (e di conseguenza per lo sport greco) la risposta può arrivare da lontano.

“Non stavo giocando a pallacanestro, stavo solo correndo con i miei fratelli. Ma lui ha visto qualcosa in noi, sapeva già.”

Velliniatis vorrebbe portarli subito in palestra ma bisogna fare i conti con i genitori. Privarsi di quattro braccia per la sopravvivenza quotidiana non è proprio il massimo per Charles e Victoria, così il coach promette un indennizzo mensile alla famiglia per il tempo che i due ragazzi passeranno con la squadra tra allenamenti e partite. Giannis però rimane titubante, non è sicuro che questa cosa del basket sia realmente utile per se stesso e per i suoi cari. Deve intervenire Thanasis e nelle grandi famiglie di solito il parere di un membro più anziano risulta decisivo. A tredici anni Giannis Adetokunbo inizia a giocare a pallacanestro.

Il primo signore a credere in Giannis

Spiros è un uomo particolarmente emotivo, capace di struggersi l’animo quando vede le condizioni in cui vivono la maggior parte delle famiglie immigrate in Grecia. Recentemente ha fondato un boys and girls club a Kipseli, il sobborgo ateniese con più immigrati, dove accoglie una sessantina di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo bramosi di concedersi un paio d’ore di divertimento. Lui dice che lo fa anche perché gli piacerebbe trovare qualche nuovo fenomeno del basket tra quei ragazzini, ma riuscire ad integrarli in un contesto non del tutto avulso da pregiudizi razziali sarebbe già un bel traguardo.

Su un parquet vero, con delle scarpe decenti e senza la minima pressione, Giannis domina la scena. In termini di cifre non eccelle ma diverte tantissimo vedere balzellare questo giraffone che pare uscito da una provetta di Abraham Erskine (il chimico che ha trasformato Steve Rodgers in Captain America).

Partecipa addirittura all’All Star Game greco e a fine campionato viene avvicinato da un paio di scout con i quali non ha un singolo vocabolo in comune. Questi infatti vengono da Saragozza e serve l’intervento di Velliniatis per spiegare al ragazzo che sarebbero disposti a mettere sul piatto 250 mila euro a stagione per portarlo in Spagna. Giannis è euforico, non vede l’ora di portare la sua famiglia lontano da tutto ciò. Corre a casa dai genitori ad annunciare la notizia e la mamma quasi scoppia in lacrime. Non ha il coraggio di raccontargli che la loro famiglia, per la Grecia e per il mondo,  non esiste. I genitori hanno rinunciato alla cittadinanza nigeriana e non hanno mai chiesto quella greca, impossibilitati a presentare la documentazione necessari. Sconsolato se ne torna in palestra a fare qualche tiro e scorge Velliniatis a colloquio con dei signori elegantissimi che parlano inglese. Il ragazzo si avvicina e scopre che sono una serie di emissari dell’NBA che vogliono inserire il nome di Giannis (appena diciannovenne) tra quelli eleggibili al draft 2013. Con un sorriso appena abbozzato prova ad opporre ai distinti signori il problema del passaporto e della cittadinanza. Inutile dire che gli emissari si erano informati a dovere ed hanno provveduto ad avviare la procedura per riconoscere a tutta la famiglia la cittadinanza greca per “meriti sportivi”. Unica condizione: il nome della famiglia diventa Antetokounmpo.

La famiglia è pronta a partire!

La lega più famosa del mondo si sta accorgendo di come siano sempre più utili giocatori in grado di ricoprire 3 o 4 posizioni con leve più lunghe della media. Il draft 2013 è povero di giocatori con queste caratteristiche (oltre ad essere povero di talento in generale) e arrivati alla quattordicesima scelta i Minnesota Timberwolves sono ad un bivio. Vedono molto bene l’ala di UCLA, quel Shabazz Muhammad in grado di scrivere 18 punti ad allacciata di scarpa nel suo unico anno presso uno degli atenei più prestigiosi nel panorama collegiale. Sarebbero comunque molto intrigati anche dalla prospettiva di prendere quel ragazzo venuto da lontano ma lo ritengono acerbo, incapace di dare il suo contributo alla franchigia nell’immediato futuro. Il management alla fine opta per Muhammad e il GM dei Bucks, John Hammond, dopo aver rispedito al mittente le suppliche dei Celtics per avere quella chiamata, sceglie Giannis Antetokounmpo. Thanasis drappeggia una bandiera ellenica sullo spigoloso corpo del fratello, il quale, quando si presenta ai microfoni del compianto Craig Sager, non ha la minima esitazione a rispondere alla domanda più ovvia.

“Hai intenzione di rimanere un altro anno in Europa o vieni subito in NBA?” – “I’m ready, straight to the NBA!”.

Nascere sulla strada vuol dire anche avere una capacità di adattamento alle situazioni fuori dal normale. Giannis comincia a lavorare dal primo giorno di Summer League; è il primo che arriva in palestra e l’ultimo che spegne la luce. Nello staff dei Bucks è appena stato assunto tale Josh Oppenheimer, o come preferiscono chiamarlo gli addetti ai lavori “Shot Doctor”. Ex giocatore con un passato di sei anni in Israele è considerato uno dei migliori allenatori in circolazione per migliorare la meccanica di tiro. Instancabile lavoratore, è stato difficile convincerlo ad assegnargli un ufficio dal momento che la sua unica richiesta sarebbe stata un cellulare nuovo. Per il resto era abbastanza reperibile, visto che stava tutto il giorno in palestra. Antetokounmpo lavora un’ora al giorno con lui e le sue percentuali beneficiano notevolmente dell’impegno profuso da Oppenheimer.

#mindset

Coach Larry Drew lo inserisce gradualmente nei meccanismi di una squadra che, dopo la discreta stagione 2012-13, non riesce a bissare l’accesso ai playoff. La manovra offensiva si basa sulla coppia di point guard Brandon Knight e O.J. Mayo, ottimi tiratori e discreti giocatori di pick and roll ma non esattamente dei passatori eccezionali. La squadra chiude con appena 15 vittorie, la panchina viene affidata a Jason Kidd e il gioco di Antetokounmpo diventa una delle cose più spettacolari da vedere oggi su un parquet NBA. Intanto il ragazzo si era ambientato a Milwaukee, dove una mattina si sveglia e scopre una città ricoperta da un metro abbondante di neve. Considerando che ad Atene nevica una volta ogni cinque, sei anni direi che una città come Milwaukee rappresenta un bello stacco. Anche con i compagni di squadra va piuttosto bene: non c’è un singolo membro dell’organizzazione in grado di pronunciare il suo cognome correttamente quindi va inventato un soprannome al più presto e la scelta ricade su “The Greek Freak”. I motivi sono riscontrabili in qualche episodio del suo anno da rookie: in una partita contro Toronto Antetokounmpo sbaglia un comodo lay-up in contropiede. O.J. Mayo si avvicina al ragazzo e invece di rimproverarlo gli promette di ridargli la palla l’azione successiva, a patto che avesse provato a schiacciare. Il risultato è discreto.

Il ragazzo, per ingannare i momenti di vuoto nella fredda città del Wisconsin, si era regalato una Play Station 4. Tempo un paio di mesi si sente in colpa per essere passato dalla miseria all’ultima console in commercio e decide di venderla a Nick Van Exel, assistant coach della squadra. Ha passato tutto il primo anno di carriera a inviare mensilmente una consistente fetta dello stipendio alla sua famiglia. Un giorno si reca in banca prima della partita e invia tutti i soldi che aveva prelevato, dimenticandosi di tenere qualche dollaro per raggiungere il palazzetto in taxi. Come se fosse la cosa più normale del mondo si mette il borsone in spalla e comincia a viaggiare a tutta velocità verso il palazzetto, distante un paio di chilometri abbondanti. Fortunatamente a metà strada lo riconosce una coppia a bordo di un’utilitaria che lo accompagna al palazzetto. Arrivato in tempo per il riscaldamento spiega allo staff l’accaduto. Larry Drew è senza parole.

“Ma se chiamavi ti venivamo a prendere.” – “Non si preoccupi coach”.

In diciannove anni di vita nessuno si era mai preoccupato di facilitargli un compito banale come raggiungere una destinazione, e proprio qui si trova la straordinarietà di questo ragazzo.

Tornando al lato tecnico della vicenda con Jason Kidd in panchina aumentano sensibilmente i minuti a disposizione. Tra Febbraio e Marzo ritocca un paio di volte il suo carrer high, sforna diverse doppie-doppie e si afferma come uno dei giocatori più verticali della lega. In quest’ultimo parametro è notevolmente aiutato da madre natura, la quale gli ha offerto un apertura alare di 226 centimetri e un’altezza che tocca i 2.11 metri (oltre a due portaerei al posto delle mani). Non sembra riuscire ad arrestarsi il suo processo di crescita; dopo il draft è cresciuto di altri sei centimetri, ha messo nel repertorio un tiro dentro l’arco che entra con il 50% e come se non bastasse si è riunito con la sua famiglia, fattore non indifferente per la serenità di un ventenne.

Anche Thanasis ha fatto una breve esperienza in NBA. Adesso gioca per il MoraBanc Andorra in Liga ACB.

La squadra torna ai playoff e inscena una delle serie più combattute del primo turno contro Chicago, forzando la contesa a gara 6, con il buzzer-beater di Jerryd Bayless in gara 4 che ha fatto vivere uno dei momenti più emozionanti al giovane Antetokounmpo nella sua emergente carriera oltreoceano. Momenti emozionanti ne vivrà parecchi lungo il suo viaggio, come quella volta che contro i Los Angeles Lakers misa a segno la sua prima tripla doppia, il più giovane Bucks a riuscirci, o come quella volta che contro i Brooklyn Nets scrisse la quarta tripla doppia nella stessa stagione, impresa che nemmeno ad un signore chiamato Lew Alcindor è mai riuscita mentre bazzicava le strade di Milwaukee. Per i più smemorati quel signore siede al primo posto nella classifica all-time dei marcatori NBA e sarà meglio conosciuto al mondo con il nome di Kareem Abdul-Jabbar.

Deve essere stato emozionante anche l’istante in cui è stato informato che era richiesta una sua firma su di un contratto che chiamerà per 100 milioni di dollari fino al 2022. A riprova che in America l’ordinario incontra lo straordinario tutti i giorni (citazione di Bradley Cooper nel film Joy). Per rispondere alle pressione che un contratto simile può generare il ragazzo sta giocando la sua miglior stagione da quando è nella lega mettendo insieme 23,7 punti 8,7 rimbalzi 5,6 assist e 2,1 stoppate di media a partita con una percentuale dal campo del 53%. Se pensate che siano cifre importanti aggiungete che attualmente nessuno in maglia Bucks sta facendo meglio di lui in nessuna delle statistiche sopra elencate. Follia. Eppure non c’è un velo di saccenza nel suo atteggiamento. Anche quando ironizza sui voti per l’All Star Game si vede che non c’è nulla di costruito, tutto genuino al 100%. Tanto che uno dei momenti più esilaranti in questa stagione è stato quando Giannis ha deciso di digitare “Jason Kidd” su Google.

https://twitter.com/BleacherReport/status/816335345860177920/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw

Ancora non è dato sapere se il ragazzo ha dei limiti, probabilmente li scopriremo quando dovrà sobbarcarsi le responsabilità della squadra nei momenti cruciali di una stagione. Nel frattempo ci godiamo una delle macchine cestistiche meglio riuscite sulla faccia della Terra e ringraziamo, una volta di più, il professor James Naismith. Grazie a lui esiste il basket e grazie al basket esiste uno come Giannis. Poteva andarci peggio!

Dall’essere uno dei tanti fino a diventarne l’idolo.

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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