“Caro Kobe ti scrivo…” – Lettere dai tifosi (e da noi)

Caro Kobe,

noi due non ci siamo mai conosciuti, eppure tu hai fatto parte della mia vita. Quando ho mosso i miei primi nel mondo della pallacanestro, tu eri lì. Tu c’eri, eri ben presente con la tua figura tanto ingombrante quanto maestosa. Sei stato, sei e sarai il metro di paragone di un’intera generazione di cestisti, non importa che essi siano giocatori o semplici tifosi. Tu sarai lì a giudicarci dall’alto del tuo magistero. Hai voluto l’Eccellenza, l’hai pretesa quale unico trofeo e una volta afferrata non l’hai più voluta lasciare. L’hai pretesa innanzitutto da te stesso, massacrandoti e torturandoti pur di poter dire di essere il più forte, di essere il migliore, che finalmente si doveva fare a modo tuo. Perché in fondo il tuo peggior nemico non fu Shaq, non fu Smush, fu Kobe Bean Bryant. Ogni volta che ti superavi non potevi essere sazio, dovevi superarti ancora, e ancora, e ancora. Il problema venne quando tu capisti che nessuno al mondo ragionava come te, che a nessuno interessava lavorare quanto lavoravi tu. L’Eccellenza la pretendevi anche dagli altri che ti stavano attorno. Li hai umiliati, insultati, logorati, sfiancati pur di far loro capire che solo il lavoro duro poteva condurvi al dominio del mondo. Si perché i titoli non ti bastano, non ti sarebbero bastati neanche se fossero stati sei, tu volevi il mondo ai tuoi piedi. E ce l’hai fatta. Alla fine avete vinto tu e la tua tenacia, il mondo era finalmente ai tuoi piedi. Certo questo ha avuto un prezzo: amici, compagni, allenatori, tutti legami rotti o rovinati dalla tua continua sfida perché non li ritenevi all’altezza, perché non erano disposti a pagare il tributo che l’Eccellenza ti richiede. Ti è costato anche dei titoli, è inutile negarlo, e credo che arrivati a questo punto della tua carriera, della tua storia neanche tu abbia più voglia negarlo. Sono altrettanto sicuro che se ti fosse data l’occasione di ricominciare tutto, non cambieresti atteggiamento, non rinnegheresti alcuna scelta fatta. Ed è giusto così, è uno dei motivi per cui tanto ti abbiamo amato e tanto ti abbiamo odiato. Ed infine ti è costato il fisico, prima o poi sapevi dentro di te che il tuo corpo sarebbe venuto a chiede il conto per come lo hai trattato. La mente per te è sempre stata superiore al corpo, ma era nell’ordine delle cose che prima o poi il corpo avrebbe ceduto e non saresti più stato quello di prima. Ed è per questo che saluti il tuo grande amore, perché scendere in campo e non poter più fare quello che ti è sempre uscito con facilità uno con la tua voglia di dominio non può sopportarlo. Sono altrettanto sicuro che sotto sotto non ne puoi più del Farewell Tour, che ne sei profondamente disgustato. Disgustato dall’affetto che tutta America e tutto il mondo ti hanno tributato, a volte sincero, più spesso finto. Sei stato odiato così tanto e da così tanti per credere veramente a questo circo. Solo chi oggi ammette di averti odiato da avversario dice la verità, perché l’odio nello sport genera sempre più rispetto dell’amore, anche se non tutti sono pronti ad accettarlo. Questi ultimi tre anni sono stati uno strazio, perché un campione del tuo calibro merita sempre e comunque una chance di giocare per quello che conta veramente. Ma non saranno certo tre anni a farci dimenticare chi sei stato per i precedenti diciassette. Non potremo mai dimenticare perché ti abbiamo amato e perché ti abbiamo odiato, non lo potremo mai fare. Questo resterà in noi: il ricordo delle tue gesta e delle sensazioni che ci percorsero nel guardare l’impossibile compiersi sotto i nostri occhi. Vorrei poter dire che sto esagerando, che stiamo pur sempre parlando di sport e di un giocatore che si ritira. Lo vorrei davvero. Ma quando una parte della tua vita se ne va si prova come se un pezzetto di te si allontanasse per non tornare mai più indietro. E fa male, molto male. Scusaci se siamo così sentimentali, ma se qualcuno rapisce il tuo cuore difficilmente il suo addio, per quanto distante, passa nell’indifferenza.

Ciao Kobe

Alessandro R.

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Pubblicato da
Michele Ipprio

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