Immaginate una mattina normale, sorseggiate un caffè, date un paio di morsi a un cornetto alla crema e alla TV passa un servizio sul Chievo campione d’Italia, con Atlanta e Sassuolo a lottare per i due posti Champions. Ecco lo scenario che attualmente le semifinali di conference ci offrono non è utopico come quello sopra descritto ma esclude parecchie realtà che hanno contribuito a trasformare la NBA in un prodotto mondiale. In un sistema come quello americano questa dovrebbe essere la normalità dal momento che, tolti gli Spurs, dovrebbero crearsi delle circostanze per le quali tutte le franchigie, dopo un ciclo di successi, siano costrette a lasciare qualche mano sul piatto. Eppure c’è differenza a lasciare qualche anno o qualche decennio quindi sarebbe curioso scoprire quando queste nobili decadute torneranno alla ribalta della scena. E visto che parliamo di nobili non ci resta che partire dal brand più cool del pianeta: Los Angeles Lakers.
NBA Finals: 31
Vittorie: 16
Antefatti
Tutti gli appassionati della palla a spicchi hanno ancora gli occhi lucidi per i sessanta cioccolatini che Kobe ha voluto regalarci alla sua festa d’addio. Eppure che ci sarebbe stata una vita senza il Mamba la franchigia californiana lo avrebbe dovuto intuire dopo che l’infortunio al tendine di Achille aveva fermato il 24 nel 2013. Il problema è che dopo l’addio di Phil Jackson il management, nelle figure non lungimiranti di Mitch Kupchak e Jim Buss, ha provato a confermarsi fin da subito ai vertici della lega con risultati disastrosi per usare un eufemismo. Dopo un anno positivo con Mike Brown (semifinali di conference raggiunte) arriva il tanto agognato 2012 che porta con se la celeberrima Dwightmare e la firma di Steve Nash in cambio di un quantitativo di scelte esagerato per un trentottenne anche se con il QI del canadese. Come se non bastasse coach Brown inizia con il non invidiabile record di 1-4 che gli vale l’esonero a beneficio di Mike D’Antoni. Si passa da un uomo con oltre 200 varianti offensive nel suo playbook al santone del 7 second or less. I giocatori non esprimono minimamente il loro reale potenziale e con Bryant infortunato i sogni di gloria svaniscono in un eliminazione al primo turno dei playoff per mano degli Spurs. Effettivamente la mano di D’Antoni si vede, la squadra ha il quinto Pace della lega (98,7) ma Howard e Gasol non sono funzionali per le transizioni offensive dell’ex coach dei Suns e inoltre il concetto di quick decision proprio non entra nella testa dei losangelini. In difesa il problema è grave: nonostante un intimidatore come Dwight la lettura dei pick and roll è pessima soprattutto perché l’attuale centro di Houston rimane tra color che sono sospesi troppo spesso e lascia al portatore di palla un range di soluzioni troppo elevato. La stagione successiva D’Antoni viene riconfermato in panchina e il Pace continua a salire (98,7 secondo della lega) ma per quanto Howard fosse disfunzionale per le idee del coach sotto i tabelloni faceva comodo. La squadra prende 110,6 punti ogni 100 possessi ed è la peggiore sia per percentuali di rimbalzi offensivi sia per quelli difensivi. Kobe gioca appena sei partite, Nash quindici e questo dovrebbe bastare a fotografare degnamente la stagione 13/14.
27-55 è il record che condanna i Lakers all’esclusione dai playoff (non succedeva dal 2005) e al minor numero di vittorie da quando la franchigia si è trasferita nei pressi di Hollywood. La dirigenza decide di affidare le redini della squadra a Byron Scott per iniziare una ricostruzione che parte dal draft dove alla numero sette viene preso Julius Randle e alla 46 Jordan Clarkson. L’idea sarebbe quella di promuovere un gruppo giovane sotto l’egida di Kobe Bryant ma anche in questo caso a livello decisionale andiamo maluccio. Jeremy Lin e Carlos Boozer si uniscono alla compagnia; mentre il primo è impegnato in una scoperta introspettiva per capire se può essere un playmaker titolare oppure se deve rassegnarsi ad essere utilizzato come arma dalla panchina, l’altro ha vissuto quattro buone stagioni a Chicago e adesso non gli rimane che percorrere l’ultimo giro di pista nella franchigia più glamour della lega. Non esattamente due profili ideali per attuare un rebuilding. Gli inizi sono catastrofici dal momento che dopo 14 minuti durante la opening night la gamba destra di Randle, la prima pedina per la ricostruzione, fa crack. Stagione finita. Senza velleità di classifica e con l’unico obiettivo di aumentare il numero di palline a disposizione per la lottery la stagione dei Lakers scorre inesorabile verso la notte del 14 Dicembre quando Bryant segna 26 punti nella vittoria contro Minnesota e diventa il terzo miglior marcatore della storia superando His Airness. Le notizie liete per i giallo-viola si fermano qui dal momento che un mese dopo il Mamba deve salutare ancora una volta in anticipo i suoi compagni per un infortunio alla cuffia dei rotatori e la squadra (già in caduta libera con il 24 a segnare ogni sera) si lascia andare verso un pietoso record che recita 21-61. Tutto ciò è frutto di un gioco che oltre a non adeguarsi ai tempi non combacia minimamente con le caratteristiche dei suoi interpreti.
Byron Scott è un seguace della Princeton Offense, il problema è che stiamo parlando di un set offensivo che nella mente di Scott coinvolge soltanto due, massimo tre giocatori e che spesso porta la squadra a ristagnare nella metà campo avversaria come in questo caso. Inoltre i Lakers tirano pochissimo da 3, soltanto il 22% delle loro conclusioni provengono da oltre l’arco, di questi tiri appena il 72% proviene da un assistenza, dato peggiore tra le 30 franchigie, nell’anno in cui i Golden State Warriors si apprestano a legittimare il dominio nel nome dello small ball. Questo ci porta a supporre che i Lakers muovono la palla poco e male, corrono meno dell’anno precedente (Pace 94 neanche pessimo) ma segnano quasi un punto in meno ogni 100 possessi. Per provare a invertire la rotta servirebbe un equilibratore, un uomo in grado di controllare i battiti cardiaci della squadra e innalzarli o abbassarli in base alle esigenze. In poche parole un playmaker. La seconda scelta assoluta del Draft 2015 effettivamente è una point guard e risponde al nome di D’Angelo Russel from Ohio State University. Del predestinato purtroppo ha soltanto la nomea infatti tra tweet fuori luogo e scherzi poco carini ai compagni di squadra non mi sorprenderei troppo se durante l’estate trovi una nuova casa. Andando con ordine la dirigenza decide di dare fiducia a Byron Scott e finalmente fa una mossa giusta sul mercato assicurandosi Lou Williams, fresco sesto uomo dell’anno e affidabile tiratore, seguita però da un paio di decisioni poco oculate. Come detto sopra i Warriors hanno inaugurato una nuova era fondata su corsa, spacing e tiro da 3. Gente come Roy Hibbert, Brandon Bass e il redivivo Metta World Piece tendono a non immedesimarsi granché con questa filosofia. La squadra va malissimo: corre di più rispetto all’anno scorso ma tutte le franchigie NBA si sono adattate di conseguenza e questo miglioramento non si nota anzi il contrario, le conclusioni da 3 aumentano ma le percentuali sono deleterie (peggior squadra nella lega per Effective Field Goal Percentage) e per finire il Net Rating è -10,12 meglio soltanto dei 76ers. Il farewell tour di Kobe è tempestato di sconfitte, per la precisione sono 65 a fronte di appena 17 W. Peggio i Lakers non avevano mai fatto.
Situazione attuale
Buona parte del futuro della franchigia californiana passa da un sorteggio che avrà luogo il 17 Maggio. Infatti qualora le palline della lottery non dovessero assegnare ai Lakers una delle prime tre scelte la pick passerebbe di diritto ai Philadelphia 76ers, i quali si ritroverebbero con due scelte (verosimilmente) tra le prime cinque assolute. Gli analyst NBA hanno calcolato che le percentuali di mettere le mani su una delle prime tre scelte sia del 55% per i losangelini, non male quindi ma insufficiente per dormire sonni tranquilli. Qualora il sorteggio non sorrida alla famiglia Buss bisognerà puntare tutto sulla free agency (l’ altra scelta a disposizione dei Lakers si aggira all’inizio del secondo giro e solitamente non esce un All-Star). Anzitutto ci sono da risolvere questioni interne: Brandon Bass ha rinunciato alla Player Option e abbiamo ragione di credere che la sua avventura ad LA sia finita, anche Jordan Clarkson potrebbe diventare restricted free agent qualora non accettasse la Qualifying Offer prevista nel suo contratto ma qui la questione è un po’ diversa. Con l’innalzamento del salary cap qualsiasi giocatore si sente in dovere di monetizzare il prima possibile, specialmente se reduce da una stagione positiva. Clarkson ha dimostrato di essere uno dei pochi lampi di luce nella tetra stagione dei Lakers e ha espresso più volte la volontà di rimanere in California. Entro il 30 Giugno dovrà prendere una decisione, probabilmente uscirà dal contratto per firmarne uno nuovo a cifre più alte ma la sua permanenza in gialloviola non sembra essere in discussione, soprattutto dopo l’arrivo di Luke Walton.
Quanto dipende da queste maledette palline…
La free agent di quest’anno non sarà come quella del 2010 ma poco ci manca; Kevin Durant sarà libero di accasarsi in qualsivoglia franchigia egli ritenga opportuno. Per il 35 ci sono da considerare tanti aspetti, il primo dei quali è l’ambizione che spinge il nativo di Washington a sognarsi l’anello di notte. La squadra che riuscirà a mettergli a disposizione un supporting cast da titolo e ovviamente saprà usare argomenti economicamente convincenti probabilmente si troverà a roster un giocatore destinato a sconvolgere gli equilibri della lega. Nonostante lo spazio salariale dei Lakers sarà piuttosto ampio (più di 60 milioni secondo i vari insiders) le possibilità di firmare KD passano ancora dalla lottery. Se infatti il prodotto di Texas troverà una squadra con validi prospetti per il futuro e magari altri 2-3 giocatori di sistema potrebbe anche fare un pensierino a trasferirsi sulla costa, ma ora come ora LA parte svantaggiata nella corsa alla gemma di questa free agency. Altri obiettivi sono DeRozan (caldamente consigliato da Magic Jhonson), Rajon Rondo e nelle ultime ore è spuntato fuori il nome di Paul George per il quale i Pacers sarebbero disposti a sedersi al tavolo delle trattative esclusivamente per offerte da capogiro.
Quando avverrà la risalita?
Visto che di anno zero non si può più parlare per i Los Angeles Lakers questo potrebbe essere l’anno uno. Il nucleo è composto da giocatori impegnati nel loro contratto da rookie, la franchigia ha deciso di puntare su un allenatore giovane, innovativo e vincente come Luke Walton e le possibilità di arrivare ad un pezzo pregiato della free agency (non necessariamente Durant) sono buone. Se il draft portasse in dote uno tra Simmons e Ingram e Mitch Kupchak riuscisse ad arrivare a Paul George o comunque ad un giocatore che possa raccogliere l’eredità di Bryant come uomo franchigia allora è credibile pensare che nel giro di due-tre anni la squadra possa lottare per una finale di Conference. Tuttavia per rivedere il Larry O’Brien Trophy ad LA bisognerà attendere la piena maturazione di Randle e Russel e l’indebolimento di una manciata di squadre che sembrano ancora una spanna sopra gli altri. Ad Hollywood c’è tanta voglia di tornare a gioire ma la strada sembra lastricata di insidie. Starà a Walton e al suo staff (ancora in via di definizione) ricreare un ambiente vincente e magari esportare i principi di small ball in una terra che da Oakland dista quasi 600Km ma che dal titolo dista ancora di più.