– Che ne dici di Phil? Ormai è uno di famiglia.
– Jackson ha già un altro impegno cara, non può venire.
– Quell’agente della CIA? Non sarà un chiacchierone, ma in fondo è un brav’uomo.
– Lo conosci, non ama questi eventi mondani.
– E Spoelstra? Non mi dire che anche il caro Erik è impegnato!
– Pare proprio di sì.
– E adesso? Chi invitiamo?
– Beh, qualcuno ci sarebbe…
Brutta faccenda, care divinità del basket. Le Finals si avvicinano e, a quanto pare, la lista degli invitati (anzi, dell’invitato) al fastoso Ballo in onore del vincitore è ancora in alto mare. Il Larry O’Brien Trophy non vede l’ora di conoscere il suo nuovo partner, colui che avrà l’onore di aprire le danze in compagnia di una consorte tanto ambita, ma inaspettatamente i soliti noti della palla a spicchi hanno dato forfait: Jackson, Popovich, Spoelstra e gli altri guru delle panchine Nba, volenti o nolenti, non saranno presenti allo sfarzoso party di fine anno. A chi concedere dunque un così grande onore? I nostalgici storceranno il naso, ma sembra proprio che il Gran Ballo delle Finals, storicamente riservato alle aristocrazie losangeline o bostoniane, stia per aprire le porte anche ai debuttanti di periferia. I quattro pretendenti rimasti in gara infatti, pur con le dovute eccezioni, non hanno mai calcato palcoscenici così prestigiosi in tutta la loro carriera e rischiano di sfigurare in una kermesse a cui hanno sempre assistito da spettatori e mai da protagonisti. Tuttavia, nel corso dell’intera stagione hanno dimostrato di poter fronteggiare a viso aperto i concorrenti più quotati e, grazie a degli inaspettati assi nella manica e ad una buona dose di sfacciataggine, sono riusciti a guadagnarsi un posto al sole ai danni dei rivali più esperti. Popovich e compagnia cantante non ci perdoneranno facilmente, ma siamo convinti che, a prescindere dal curriculum, la scelta degli Dei ricadrà sull’allenatore più virtuoso, per quanto debuttante.
Definire “debuttante” un pluricampione Nba del calibro di Steve Kerr potrebbe essere sufficiente quantomeno per essere accusati di lesa maestà. Tanto più con un roster in grado di spazzare via il record di vittorie in regular season, gelosamente detenuto fino a pochi mesi fa proprio da quei Bulls tra le cui fila militava un giovane Kerr. Tanto più con un Curry in versione deluxe, infortuni permettendo. Pur avendo lasciato a lungo il timone nelle sapienti mani di Luke Walton, neoallenatore dei Los Angeles Lakers, che ha sapientemente accumulato vittorie su vittorie consentendo al coach di riprendersi in tutta calma dai problemi alla schiena, Kerr è riuscito a plasmare una vera e propria macchina da guerra senza punti deboli (o quasi). Tuttavia, chiunque nell’ambiente sa che vincere è difficile, ma la vera impresa è riuscire a ripetersi. Dopo la cavalcata trionfale dello scorso anno, con un debuttante quanto sorprendente Steve Kerr a dirigere le operazioni, gli occhi di tutti sono necessariamente puntati sulla corazzata californiana, ritenuta la squadra da battere per festeggiare la conquista dell’anello, ma le troppe attenzioni potrebbero non giovare ad una squadra in grado di aggiudacarsi il titolo anche grazie alla mancanza di troppe pressioni (oltre che, ovviamente, ad uno spettacolare gioco corale). A 365 giorni di distanza le cose sono molto cambiate: i campioni in carica devono fare i conti con rivali agguerritissimi che non sembrano voler riservare ai ragazzi della Baia i dovuti omaggi. Toccherà dunque a coach Kerr tenere i suoi ragazzi costantemente sulla corda e prevenire ogni eventuale calo di concentrazione: se vuole tornare sul gradino più alto del podio dovrà riuscirci ad ogni costo, altrimenti non potrà far altro che assistere al ballo da misera comparsa, limitandosi a guardare da lontano il debuttante di turno e a sfornare sorrisetti e frasi di circostanza. Coach avvisato, mezzo salvato.
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Dicevano che Billy Donovan sarebbe rimasto a casa quella sera. Non che non avesse voglia di unirsi ai festeggiamenti, sia chiaro, ma qualcuno avrebbe pur dovuto riordinare la casa mentre le adorate sorellastre avrebbero tentato di conquistare il trofeo. A dire il vero, sembra proprio che le sorellastre in questione, tali Rick Carlisle e Gregg Popovich, abbiano fatto di tutto per tenerlo lontano dal party, ma Billy è un allenatore particolarmente testardo ed è disposto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo, anche a rovinare la festa a due sorelle altolocate come le sue. Con l’aiuto di Sam Presti, fatato GM di Oklahoma, è infatti riuscito a strappare l’invito per la festa, scortato da due bodyguard d’eccezione. Fiabe a parte, le speranze dei Thunder sono infatti riposte, come da 7 anni a questa parte, sul duo Russell Westbrook-Kevin Durant, chiamati a dimostrare il loro valore in una durissima serie contro i campioni in carica. Questa volta però non sono soli: ad accompagnarli sulla via dell’impresa c’è il roccioso Steven Adams, grazie al quale Donovan è riuscito a sovvertire le gerarchie all’interno della sua amata famiglia. E’ proprio sulle spalle del centro neozelandese che l’ex coach dei Florida Gators è giunto fino alle meritatissime Finali di Conference, nelle quali sta cercando di riproporre, con alterne fortune, quel pick&roll che tanti grattacapi ha creato alla difesa degli Spurs. L’ascesa di Donovan non è certo frutto del caso: 20 anni trascorsi ad spiegare pallacanestro al college conditi da due titoli consecutivi NCAA (facile vincere con Horford, Noah e Brewer a livello collegiale direte voi, ma come abbiamo già detto l’impresa non è vincere, ma riuscire a ripetersi) sono il coronamento di un curriculum più che sufficiente per guadagnarsi la chiamata ai piani alti dopo aver rifiutato più volte il salto nel basket dei grandi. L’ex re di Gainesville è pronto a godersi la sua serata da protagonista, ma deve fare i conti con le lancette dell’orologio: Steve Kerr si augurerà di certo che la mezzanotte arrivi al più presto e, in caso di smarrimento di una scarpetta da ginnastica, cercherà di sbarazzarsene al più presto prima che qualche pezzo grosso se ne accorga.
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Potrai anche essere il miglior ballerino del mondo, ma se non c’è feeling con il tuo partner non puoi pretendere di aprire le danze. Non essendo riuscito a conquistare il ruolo da protagonista nel corso della serata di gala dello scorso anno, i Cleveland Cavaliers si sono ben presto sbarazzati del povero David Blatt per affidarsi ad uno che conosce bene, seppur da comprimario, il sapore della vittoria. Eppure l’esordio di Tyronn Lue nel mondo del jet set non era stato esattamente da incorniciare: non avrà perso le sue scarpe sulla scalinata, ma il suo scivolone sul red carpet resterà indelebile nella memoria di tutti i commensali del lontano 2001. Archiviato una volta per tutte l’incubo di Allen Iverson, Lue è riuscito a fare breccia nel cuore dei suoi ragazzi, consentendo loro di raggiungere quell’intesa che nella scorsa stagione era da tutti considerata il tallone d’Achille dell’armata di LeBron James. Affiancato da due validissimi scudieri e da una corte estremamente efficiente, quest’ultimo non è più chiamato agli straordinari pur di riuscire a vincere in patria: quel branco di tiratori che fino a pochi mesi fa non faceva altro che attendere gli scarichi sugli esterni di James si è trasformata in una vera e propria squadra in grado di proporre un gioco armonico e tremendamente efficace, che nel giro di 8 partite ha letteralmente annichilito la concorrenza di Pistons e Hawks; inoltre, la costante crescita di Irving e Love permette a LeBron di concedersi le meritate pause e di restare fresco e lucido per la volata finale. Se affrontare i Cavs è diventato il peggior incubo di ogni squadra, il merito è da attribuire soprattutto al debuttante Tyronn, intenzionato a bussare nuovamente alle porte degli dei del basket: essere accompagnati da un Re in forma smagliante è senza dubbio un ottimo biglietto da visita.
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L’ultimo dei nostri debuttanti è un ragazzo con il basket nel sangue. Nato ad Indianapolis nel lontano 1957, instaura un amore viscerale con la palla a spicchi, che lo porta ad allenare a soli 13 una squadra di ragazzini di qualche anno più giovani. La voglia di sfondare nel basket che conta lo spinge a lavorare duramente ogni giorno per cercare di migliorare il suo gioco, ma a quanto pare il talento donatogli dagli dei della palla a spicchi non è sufficiente affinché le porte della Nba si spalanchino per lui: il 25 giugno 1979 il suo nome non figura tra quelli scelti dalle franchigie del piano di sopra. Il nostro uomo però non conosce sconfitta e cerca in tutti i modi di entrare a far parte di quel mondo che nel ’79 aveva deciso di fare a meno di lui. L’entrata principale era rimasta serrata, ma la panchina costituirà la sua personale porta di servizio, dalla quale riuscirà finalmente ad entrare nel 2005. Dwane Casey, dopo 37 anni vissuti sul parquet e 14 serratissime gare contro gli Indiana Pacers e i Miami Heat, è riuscito finalmente a raggiungere le sudate quanto meritate Finali di Conference con i suoi Toronto Raptors; ad attendere al varco delle Finals gli stanchi ma più che mai affamati di gloria dinosauri ci sono i Cavaliers di LeBron e Tyronn Lue, pronti a divorare l’ennesima preda sulla via della gloria. Guai a sottovalutare l’avversario però: la forza dei Raptors è quella del collettivo, di una squadra che fa del duro lavoro la ricetta del successo, proprio come il suo allenatore. Pur senza il costante apporto dei leader della squadra (Lowry e DeRozan troppo spesso hanno tradito le speranze in loro riposte), Casey è riuscito a sfruttare a suo vantaggio i punti deboli dell’avversario: emblematica la scorsa serie contro Miami, priva di Whiteside, in cui il coach ha gettato nella mischia un indemoniato Bismack Biyombo che non ha fatto prigionieri nel quintetto piccolo incautamente proposto da Spoelstra. Non sarà facile spuntarla contro il Re di Cleveland, ma Casey, da buon esponente della working class, darà battaglia fino all’ultimo secondo pur di arrivare al tanto atteso appuntamento con la storia: in 40 anni di esperienza ne ha visti anche troppi di balli sfrenati senza poterci mettere piede, staremo a vedere se le lezioni serali di danza daranno i loro frutti.
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Quattro sbarbati coach in rampa di lancio sono pronti a darsi battaglia per conquistare l’ingioiellata mano della Vittoria. Quattro personalità diverse, un unico obiettivo: ancora qualche settimana e sapremo chi potrà, almeno per una sera, mettere da parte tuta e scarpe da ginnastica ed indossare, raggiante, un elegantissimo smoking.