Essere Steven Adams

Avete mai desiderato essere un’altra persona? Avere un carattere più sicuro, un fisico migliore, poter compiere azioni, movimenti o anche solo vivere vite che potete soltanto immaginare? Un po’ come quell’introverso burattinaio partorito dalla mai banale penna di Charlie Kaufman che, attraverso un tunnel direttamente collegato alla mente di un attore molto stimato, riusciva a sentirsi vivo liberandosi di fobie e costrizioni per almeno quindici minuti.

E voi, se aveste a disposizione questi quindici warholelliani minuti, non vorreste immedesimarvi in un settepiedi nato ai confini del Mondo con una faccia da attore e diciottesimo erede di un ex ufficiale della marina britannica???

Chiudete gli occhi. Scivolate nel tunnel. Benvenuti nel mirabolante mondo di Steven Adams.

Nonostante il fascino esotico che la Nuova Zelanda tende a suggerire istantaneamente Rotorua non dev’essere un gran posto in cui crescere, e la prematura morte del padre ha aggiunto un carico da novanta sfociato in cattive abitudini e sentieri difficili. Ma Steven Adams non è tipo da buttarsi via così velocemente e grazie all’amico di uno dei – diciassette, ricordiamolo – fratelli si iscrive alla Scots College High School di Wellington dove si approccia alla pallacanestro.

Grezzo, pura argilla da modellare. Ma il talento si intravede e la tenacia non manca. Tanti college vorrebbero poterci lavorare sopra ma lui sceglie Pittsburgh per il suo one-and-done prima dello sbarco nella Lega di Adam Silver. Lo chiamano gli Oklahoma City Thunder con la loro prima scelta (12) nel Draft del 2013 e Steven Adams sembra apprezzare molto lo sfarzo del piano di sopra.

Già dalla stagione da rookie si fa apprezzare molto da staff e compagni per la voglia di migliorarsi, e molto meno dagli avversari per il suo gioco estremamente fisico. Lui cerca solo di esprimere se stesso, non è un violento, gioca duro. Gli avversari sembrano comunque non gradire.

 

 

Per quelli con la casacca diversa dalla sua però è come un veleno che entra sotto pelle. Non lo sopportano. Ma lui cerca di solo di dare il suo contributo alla squadra, incassando reazioni e colpi bassi. La vita gli ha insegnato presto che bisogna essere durie con diciassette fratelli, ricordiamolo un’ultima volta, non poteva che essere altrimenti.  

 

 

E’ fatto così, è più forte di lui. Il suo è solo un sano feticismo per i gomiti degli avversari. Cosa c’è di male, dovete credergli. Come fate a non credere ad una faccia così?

 

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L’apparente menefreghismo nei confronti del trattamento ricevuto – e della vita ancor più in generale – sommato ad una personalità debordante ed un accento neozelandese particolarmente comico, ne fanno immediatamente un personaggio for the ages nonostante la giovanissima età (classe 1993).

E’ una calamita capace di risucchiare tutta l’attenzione nel suo vorticoso tornado di spontaneità e possiede la faccia sveglia e accattivante di un giovane Johnny Depp o Orlando Bloom. Anzi, visto che parliamo di Nuova Zelanda, di un Jason Momoa, dal quale i buttafuori di Los Angeles non riescono a distinguere per la sua immensa felicità.

 

 

Ha una capacità di socializzazione diversa; il suo profilo twitter, ad esempio, è un bignami che ci permette di entrare ancora meglio nella Adams-dimensione; dalla passione per viaggiare a quella per lo sperimentare ogni cucina esistente, passando per una collezione di perle che ne consacrano definitivamente la sua unicità.

I compagni gradiscono molto, in particolare Nick Collison che diventa suo consigliere in campo – perché con Perkins siamo andati bene ma non benissimo – e grande amico con il quale condivide viaggi ed esperienze che sono già frutto dell’invidia di molti.

Ma la vera perla di cui l’umanità non potrà mai essere grata abbastanza è la loro epica ed irripetibile stretta di mano. Non che Adams fosse nuovo nel mostrare gloriose handshakes, ma qui siamo in una sorta di iperuranio, dove lo stoicismo si mischia alla Sindrome-di-Peter-Pan con risultati leggendari.

 

 

Come credo avrete già capito il caso è complesso, ma continua ad infittirsi con la stessa velocità con cui cresce il suo nuovo paio di baffi ed il look à-la-Khal-Drogo.

Grazie alla collaborazione col sempre eccentrico Kanter – altro suo grande amico e fedele seguace – nascono gli Stache Brothers e con loro nuove ampie dosi di una geniale ed irripetibile goliardia. Ma con la nascita del nuovo duo c’è anche l’inizio di un nuovo capitolo, seguendo un filone cinematografico che come sempre regala al consumatore tutto quello che necessita il nuovo film del loro attore preferito. C’è uno script ispirato, un supporting cast di altissimo livello ed un merchandising di qualità; il risultato inevitabile è un kolossal che sbanca il botteghino, riscuotendo successo al limite del fanatismo in un pubblico compreso di tutte le età.

Crescendo il nostro Eroe-dei-due-Mondi porta anche il livello della comunicazione ad un piano superiore, e ogni volta che qualcuno gli mette un microfono davanti diventa immediatamente un imperdibile cult.

Riesce sempre a bucare lo schermo, indipendentemente dall’argomento, districandosi tra tematiche scottanti come quella dello spray aderente Stickum fino a spiegazioni al limite dell’irreale sulle frequenti emicranie che lo tormentano. Persino quando compie una mezza gaffe – in buona fede – definendo gli esterni dei Warriors “delle piccole scimmie veloci” non puoi volergli male. Come fate a voler male ad una faccia così?

 

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È il ritratto della genuinità; ogni movimento, ogni frame, ogni atomo di cui è composto è incapace di esprimere negatività, ansia, con la capacità dei grandi di non prendersi mai troppo sul serio e sparando una quantità spasmodica di Mate! che ti costringono alla resa per manifesta inferiorità. Ancora una volta, come fate a voler male ad una faccia così’?

 

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Per la fortuna degli avversari però Steven Adams è soltanto un grande caricatura mediatica, e non è poi così forte a giocare a pallacanestro… Ecco, niente. Steven Adams è anche uno dei centri più promettenti di tutta la NBA.

Da quando ha mosso i primi passi nella Lega Adams è cresciuto e migliorato ogni stagione, aggiungendo a fisicità e rimbalzi una maggiore produzione offensiva (quest’anno 8 punti di media, suo massimo in carriera) e qualità difensive d’élite anche per gli standard altissimi NBA. Con lui in campo il DefRtg dei Thunder in regular season scende da 103 a 99 (migliore di squadra) e nessuno ha avuto un NetRtg migliore del suo (11.1) ad eccezione di Kevin Durant (11.2).

Steven Adams è un grande rim-protector e possiede una grande mobilità e un’ancor più sorprendente velocità di piedi, atipiche per un giocatore di 2.11 che fino a meno di dieci anni fa non aveva mai giocato una partita.

 

Guardate quest’azione per esempio. Prima recupera su Mills, che comunque aveva scarso angolo di tiro, poi chiude l’aria su Ginobili sconsigliandogli il push-shot ed infine sullo scarico dell’argentino esegue un perfetto close-out sulla tripla dall’angolo di Mills impedendogli un tiro pulito. Tutto questo in dieci secondi. La sua presenza in area ha fatto talmente male agli Spurs che i tifosi texani erano disposti ad ogni mezzo pur di non vederlo nel pitturato.

Inoltre è diventato un mortifero “rollante”, specialmente in situazioni di pick-and-roll, riuscendo a sfruttare al meglio lo spazio che le difese avversarie sono costrette a concedergli a causa della presenza di due giocatori del calibro di Westbrook e Kevin Durant.

La qualità dei suoi tagli ha letteralmente fatto saltare il piano-partita di Popovich, regalando ai Thunder la finale di conference contro i Golden State Warriors. E tra le tante ciliegine che adornano questa torta al gusto Kiwi la serie valida per il titolo dell’Ovest ne ha regalate di veramente succose.

I contatti di gioco da playoff basketball, inevitabili quando si arriva a Maggio-Giugno, hanno lasciato i segni. Ma fasciature, bende e garze di cotone nel naso non sono niente in confronto al duello sud-equatoriale con il sempre docile Draymond Green. Trovatosi davanti un degno sfidante il giocatore di Golden State ha espresso non una ma ben due volte tutta la sua simpatia nei confronti del giovane Thunder, sfidandolo a colpi di elasticità mantenendo una principesca eleganza.

 

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Adams come sempre ha trovato le parole giuste e ha prontamente fornito la sua visione sul modo di giocare di Green, mantenendo la solita noncuranza nei confronti di quello che lo circonda e concentrandosi sul lavoro da fare. Infatti, nonostante i numeri a differenza della serie contro gli Spurs siano andati più a sud dei calci di Green, Steven Adams ha portato il suo prezioso contributo.

Parte integrante della difesa fisica e capace di cambiare su tutti i blocchi, lottando su ogni palla – specialmente a rimbalzo – e rendendosi partecipe di giocate misteriose, come lasciar partire una cannonataletteralmente – in Stile-Tom-Brady per trovare un compagno (Robertson) sotto canestro, o volare in formato supereroe con una schiacciata che fa tremare il palazzo.

 

 

Tra le infinite comparazioni suggerite da ESPN forse ci sarebbe stata bene anche quella con qualche supereroe dei fumetti – visto anche che il suo sosia Momoa sarà il nuovo Acquaman.

Ma nonostante una scorza dura à-la-Superman Steven Adams sembra disinteressato al possedere grandi poteri e le conseguenti grandi responsabilità che ne seguono. Non ha un rapporto viscerale con la propria città natale, tutt’altro. All’essere un valoroso cavaliere oscuro preferisce la schizofrenia di un clown sadico. Non è un misogino miliardario né un ex scienziato dalla pelle verde.

Steven Adams è soltanto un bushman, Mate! Un ragazzo semplice con un sorriso da incantatore disilluso e una natura spirituale che non arriveremmo mai a capire. Anche perché sarebbe un lavoro impossibile perfino per un supereroe.

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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