Durante queste finali, i protagonisti principali hanno riempito la scena in queste 5 partite e si sono rivelati nelle figure attese di Curry, Thompson, Green e Iguodala per Golden State e di Irving e James per Cleveland, con il contributo importante e forse inaspettato di un giocatore chiave come Richard Jefferson.
Per interpretare le parole “contributo inaspettato” riferite a Jefferson, si deve forse rapidamente analizzare il passato del giocatore prima di questa stagione. Lanciato nella lega dai New Jersey Nets, il prodotto degli Arizona Wildcats, rimane 7 stagioni nella franchigia per cui disputa due serie di Finals senza mai conquistare il titolo. Giocatore esplosivo, utilizzato per i primi tempi per portare energia dalla panchina, Jefferson matura negli anni fino ad assumere un ruolo importante nella squadra di New Jersey. Nella fasi di rebuilding però i Nets decidono di non farlo rientrare nel progetto e viene così trasferito ai Bucks dove disputa una solida stagione, trascinando Milwaukee con una media punti da primo realizzatore. Tuttavia, le 34 partite vinte quell’anno pesano, ed avendo all’epoca 28 anni, decide di trasferirsi in una contender, ed approda quindi alla corte dei San Antonio Spurs di Tim Duncan. L’accostamento al sistema Popovich però, purtroppo non funziona. Jefferson è ancora un giocatore che fa della fisicità e dell’atletica le sue caratteristiche più importanti e di fronte alla richiesta di diversificare il suo stile in funzione di un gioco più ragionato ed “europeo”, non riesce a contribuire propriamente alla causa di San Antonio. Viene quindi scambiato per una prima scelta futura e per Stephen Jackson ai Warriors e da qui scaricato prima a Utah e poi dai Jazz a Dallas, guadagnandosi in queste squadre ruoli da veterano, senza mai veramente incidere per la sua squadra. Sbarca sul pianeta “Cleveland on a mission” quest’anno e partita dopo partita dimostra di potersi ritagliare minuti importanti fino alle ultime serie di playoffs, in cui sembra trovare definitivamente la sua dimensione. Pur non tirando con medie eccezionali da tre punti Jefferson ha una percentuale del 68% da dentro l’area e diventa, in questi playoffs, uno dei destinatari preferiti degli assist del compagno di squadra Lebron James.
A 35 anni compiuti e al minimo salariale, quindi, Jefferson ritrova la via del successo, superando per prestazioni, giocatori molto più attesi in questa post-season come Kevin Love e contribuendo a portare Cleveland nuovamente a sognare, pur in una durissima serie come quella contro i Golden State Warriors.
di Marco Malvezzi