Se c’era una squadra data per spacciata ancora prima dell’inizio della scorsa regular season, quella squadra erano i Portland Trail Blazers. Via i 4/5 dello starting five (Aldridge, Batum, Lopez, Matthews) – con il solo Lillard rimasto a capitanare una truppa di giovani di belle speranze – i più li davano in lotta per non arrivare sul fondo della Western Conference. La realtà ha superato la più rosea delle aspettative: quinto posto a Ovest e onestissima resa nelle Conference Semifinals contro i fenomenali Warriors edizione 2015-2016. I Blazers, dallo strapiombo in cui rischiavano di precipitare, sono saliti fin quasi alla vetta. Ancora qualche passo e la squadra di Stotts potrà insediarsi, legittimamente, tra le forze dominanti poste in cima alla Western Conference.
Rewind
Quella 2015-2016, per i Blazers, è stata un’annata di continue epifanie. Damian Lillard si avvicinerà ulteriormente al livello dei LeBron, Curry e Durant di questo mondo? Spuntare sì. CJ McCollum, alla prima stagione da protagonista, si rivelerà un flop o un secondo violino di livello? Spuntare 2. Il cast di supporto formato da Aminu, Crabbe, Harkless, Plumlee e Davis si dimostrerà all’altezza? Spuntare ancora sì.
Allen “Cool Breeze” Crabbe (AP Photo/Rick Scuteri)
La stagione, proprio perché iniziata sotto il segno di questa mole di interrogativi irrisolti, non è partita benissimo: 14-21 il bilancio al 31 dicembre e detrattori che davano i Blazers al game over. Con l’anno nuovo è arrivata pure nuova consapevolezza nei propri mezzi: 30 vittorie e 17 sconfitte da gennaio alla fine della regular season, 44-38 di record complessivo e consacrazione come miglior squadra degli “umani” a Ovest (quinto posto dietro agli inarrivabili Warriors, Spurs, Thunder e Clippers). L’NBA intera, a quel punto, ha dovuto ripagare i Blazers col credito che era mancato a inizio stagione: Lillard è entrato meritatamente nel Secondo Miglior Quintetto (25.1 punti, 6.8 assist, 4.0 rimbalzi e i soliti grandi “huevos” nei momenti caldi), McCollum è stato eletto Most Improved Player con un plebiscito, coach Stotts per poco non ha “rubato” l’award di Coach of the Year a Steve Kerr; in ultimo, ma non meno importante: i tanto discussi contratti elargiti ai role players Aminu e Davis (circa 7 milioni l’anno a testa) sono diventati affaroni.
I Blazers hanno chiuso la regular season sesti per Offensive Rating, nel segno di un’eccellente distribuzione delle responsabilità, con 10 uomini con almeno 15 minuti di impiego e 9 di questi (escluso l’enigmatico Noah Vonleh) con più di 6 punti realizzati a partita. “Dettaglio”: solo 2, tra i 10 giocatori più utilizzati nel corso della stagione, avevano più di 25 anni all’inizio della stessa (rispettivamente Gerald Henderson, 27, e Ed Davis, 26). L’età, plusvalore certo per il futuro dei Blazers, ha però giocato qualche scherzo alla brigata di coach Stotts durante i playoff. Dopo la clamorosa vittoria per 4-2 contro i Clippers (resa meno clamorosa dalle decisive assenze di Chris Paul e Blake Griffin), i Blazers hanno dovuto arrendersi a dei Warriors più esperti, più quadrati e, in definitiva, più abituati a vincere. La serie, in ogni caso, è stata meno a senso unico di quanto il 4-1 pro-GS potrebbe far pensare. I Blazers, affacciandosi all’imminente offseason 2016, ripartono dunque da una fiducia nei propri mezzi rinnovata. La flessibilità salariale non manca, sta al GM Neil Olshey lavorare in modo mirato per far compiere alla squadra il definitivo salto di qualità.
Da sinistra a destra: Olshey, Aminu, Davis e Stotts (credits to oregonlive.com)
Mercato
Innanzitutto si tenterà di trattenere i free agent chiave, per mantenere saldo il core che tanto ha fatto bene in questa stagione. Le due priorità assolute sono i restricted Allen Crabbe e Moe Harkless; il primo – guardia/ala piccola 24enne – è in piena rampa di lancio e ha dimostrato di possedere le stimmate del grande tiratore (10.3 punti con quasi il 40% dall’arco in stagione, giocando prevalentemente da sesto uomo), il secondo, ad appena 23 anni, è già una delle ali più versatili in circolazione (sopratutto dal punto di vista difensivo). Entrambi hanno ancora qualche limite (Crabbe può migliorare a livello di scelte, Harkless è da sgrezzare in attacco), ma, dati margini di crescita ed età, saranno quasi sicuramente confermati. Il rischio che qualche squadra in cerca di talento giovane spari alto c’è – nell’ordine dei 15 milioni l’anno per Crabbe e dei 10 per Harkless –, ma a meno di offerte-monstre simili i due rimarranno a Portland. Gli altri due free agent di livello – Gerald Henderson e Meyers Leonard – vengono da stagioni agli antipodi: il primo ha sorpreso in positivo dopo un arrivo passato completamente sottotraccia (ed è diventato l’unico vero giocatore di esperienza della rotazione di Stotts), il secondo – da molti indicato come uno dei talenti più puri del roster dei Blazers – ha deluso clamorosamente. Henderson è unrestricted free agent, ma potrebbe comunque tornare a Portland a un prezzo vantaggioso (in squadra si è trovato bene); Leonard, al momento, pare invece il più sacrificabile del lotto. Probabilmente, essendo free agent con restrizioni, lo si lascerà partire alla prima offerta consistente.
La situazione salariale dei Blazers – anche se si dovessero rifirmare Crabbe poniamo a 12-13 l’anno e Harkless a 8-9 – rimarrebbe tra le migliori di tutte le franchigie in zona playoff. La grande necessità sul mercato, a parte la conferma dei talenti di casa, è l’acquisizione di un rim-protector di prima fascia. Mason Plumlee è un centro atipico, trasformatosi in un insospettabile all-around player, ma privo degli istinti dell’intimidatore puro (solo 1 stoppata a partita per lui in stagione, in cui è partito titolare in 82 gare su 82); Ed Davis è un ottima ala grande/centro di riserva, con propensione al rimbalzo e alla stoppata, ma manca del talento grezzo necessario a farne uno starter NBA. I Blazers cercheranno sicuramente un improvement (anche per avere la possibilità di giostrare i vari Aminu, Harkless, Plumlee e Davis in più ruoli). Tra i nomi da monitorare in ottica free agency: Hassan Whiteside (che però chiederà un contrattone, difficilmente conciliabile con le conferme di Crabbe e Harkless), Bismack Biyombo (più abbordabile, anche se per lui si è parlato di 15 milioni l’anno) e Ian Mahinmi (uno dei migliori free agent nel ruolo per rapporto qualità-prezzo supposto). Da non trascurare anche le piste che portano ai due veteranissimi Al Horford e Dwight Howard, il primo in cerca del contratto della vita, il secondo accalappiabile con un’offerta da discount. L’altra esigenza dei Blazers è aggiungere profondità ed esperienza nel settore guardie: una riserva per Lillard (Felton, Dellavedova, Chalmers), una guardia tiratrice pura (Courtney Lee, Eric Gordon), o un profilo ibrido tra i due (Jennings, Lawson, Barbosa).
Hassan Whiteside e Bismack Biyombo (credits to defpen.com)
Draft
Con una mossa a sorpresa i Blazers hanno acquisito da Orlando la pick numero 47 nel Draft della scorsa notte, con cui si sono assicurati Jake Layman, ala piccola ventiduenne da Maryland. I Magic in cambio hanno ricevuto 1.2 milioni di dollari e una pick al secondo giro del Draft 2019. Layman è un giocatore di stazza (2.06m x 100 kg) e di grande atletismo, cui però sembra mancare l’attitudine mentale necessaria per avere un ruolo da protagonista in NBA. Lo skillset è quello tipico dell’ala contemporanea: tiro da fuori, mobilità laterale e dinamismo verticale. Resta da vedere, dopo quattro anni di college, quali sono i suoi margini di miglioramento.
Futuro
I Blazers faranno di tutto per consolidare la propria posizione e per entrare legittimamente nel club degli elite team. Da lì il passo per diventare contender, si sa, è brevissimo. Con le giuste mosse di mercato (rifirma dei free agent interni, ma non a cifre folli; acquisizione di un lungo di qualità e di un paio di rincalzi di buon livello nelle posizioni di 1 e 2) Portland potrà dire la sua già dalla prossima stagione. Il nucleo della squadra è solido, la guida di coach Terry Stotts sapiente (quando non illuminata), il duo Lillard-McCollum vuole incalzare la coppia di esterni delle meraviglie Curry-Thompson; i pezzi del puzzle sono tutti in posizione.
Basta non avere troppa fretta di raggiungerla, la vetta di cui sopra; spesso è meglio la certezza di un percorso più docile, e sicuro, che i rischi di un sentiero irto di pericoli, ma più breve. La cima della Western Conference è lì che aspetta.
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