Perdere. E perderemo. Per anni la dirigenza dei Philadelphia 76ers si è affidata ciecamente al caro vecchio mantra di Sam Hinkie, facendo incetta di aspiranti cestisti o presunti tali e confidando nelle numerosissime palline che abitualmente affollano la sacra urna della Lottery. La Dea Bendata ha finalmente consegnato nelle mani dei Sixers la tanto agognata prima scelta, da qualche ora convertita nel promettentissimo Ben Simmons, il rookie più atteso dell’intera Draft class: sarà l’inizio di una nuova era o ci troviamo di fronte ad una delle tante tappe del processo di rebuilding, che da anni ormai sacrifica la lettera “W” sull’altare della crescita dei giovani?
La stagione e il Draft
La scorsa stagione si è conclusa come da pronostico: 10 misere vittorie a fronte di ben 72 sconfitte, con Noel e soprattutto Okafor a spadroneggiare troppo spesso nei locali e di rado sotto le plance. Nonostante i risultati non proprio entusiasmanti, la dirigenza ha sempre difeso il coach Brett Brown, incolpevole protagonista della cavalcata perdente dei suoi. Dalle sue sapienti mani passa gran parte del futuro dei Sixers: toccherà a lui prendersi cura della futura prima scelta dell’ormai imminente Draft, preziosa eredità dell’ex GM Sam Hinkie, dimessosi lo scorso aprile. Una lettera di tredici pagine rappresenta il testamento morale della sua gestione che, pur caratterizzata da decisioni talvolta bizzarre, porterà in dote un futuro sicuramente luminoso in quel di Philadelphia. A gestire le operazioni sarà Bryan Colangelo, figlio dell’attuale advisor dei Sixers, che avrà il delicato compito di rilanciare le ambizioni di una franchigia e di una città finita ai margini dell’universo Nba. Il tutto dietro suggerimento, non troppo velato, del Commissioner Adam Silver, preoccupato per il business dell’intera Lega. Dopo 3 dolorosi anni di sconfitte, che hanno fatto spazientire tifosi e piani alti dell’Associazione, si chiude dunque la disastrosa era Hinkie, proprio adesso che il vulcanico GM era riuscito a conquistare l’ambitissima prima scelta.
Coraggio Sam, sarà per la prossima volta (credits to www.basketinside.com, via Google)
Nonostante le smentite di rito, da qualche giorno ormai i piani di Colangelo e soci erano chiari a tutti e la notte del Draft ha confermato le indiscrezioni: risollevare le sorti dei derelitti Sixers sarà compito di Ben Simmons. Anima da playmaker intrappolata in un corpo da centro, Simmons è un ibrido dal talento apparentemente smisurato in grado di palleggiare, catturare rimbalzi e concludere al ferro ad un livello impensabile per un ragazzo del college. Nonostante le difficoltà al tiro, ben note in quel di Philadelphia, Simmons è l’essere umano più simile a LeBron James (con il quale condivide l’agente ed un contratto, leggermente meno oneroso, con la Nike) che si sia mai visto su un parquet. Sbaragliata dunque la pur agguerrita concorrenza di Brandon Ingram, altro talentuosissimo gioiello di questo Draft finito a Los Angeles, che aveva sostenuto un workout a Philadelphia. Simmons invece, peccando forse di troppa superbia, aveva deciso di non sottoporsi a provini di ogni genere, ma di fronte al fortissimo interesse dei Sixers il giovane è stato costretto a rivedere i suoi piani: con una cena nel bel mezzo delle Finals e la concessione del tanto agognato provino, le parti hanno finalmente rotto il ghiaccio e sono pronte a convolare a nozze. Nel corso della serata sono stati fatti vari tentativi per assicurarsi anche una scelta top-8: molto probabilmente l’obiettivo era quello di assicurarsi un esterno di indubbio valore come Kris Dunn o Buddy Hield, ma le negoziazioni con i vari Celtics, Timberwolves e Kings non sono andate a buon fine. Messa immediatamente alle spalle la delusione, Colangelo si è dato da fare per convertire le scelte numero 24 e 26, gentilmente concesse da Miami e Oklahoma, in valide pedine da regalare alla scacchiera di coach Brown. Le principali necessità, alla luce del sovraffollamento del reparto lunghi, riguardavano il backcourt, ed è in quest’ottica che si spiegano gli innesti di Timothe Luwawu e Furkan Korkmaz. Il primo è un esterno dotato di mezzi atletici e potenziale difensivo impressionanti e con la sua notevole apertura alare sarà in grado di togliere le castagne dal fuoco in più di una situazione; sebbene il jumper sia molto migliorato negli ultimi tempi, non è ancora una sentenza nella metà campo avversaria e anche il suo ball-handling necessita di un upgrade per giocare al piano di sopra. Korkmaz incarna invece il prototipo del suo contraltare: ad un’eccellente range di tiro unisce anche un invidiabile atletismo, ma lascia molto a desiderare quando la palla passa agli avversari, anche a causa di una struttura fisica attualmente troppo gracile per tenere testa ai suoi pariruolo più imponenti e per questo motivo potrebbe rimanere qualche anno a farsi le ossa in Turchia.
Il mercato
Si preannuncia una lunga estate per Colangelo: i punti interrogativi che aleggiano sul roster sono di gran lunga superiori alle certezze in casa Sixers. Gli unici ad essere sicuri di un posto in squadra sono Robert Covington, Richaun Holmes e Jerami Grant, tra le pochissime note liete della stagione; per quanto riguarda la riconferma di tutti gli altri (in particolare le team option che pendono sulla testa dei vari Marshall, Thompson e McConnell), molto dipenderà dal tipo di stagione che la dirigenza vorrà affrontare. 67 milioni di spazio salariale sarebbero un eccellente biglietto da visita per la free agency, se non fosse per lo scarsissimo appeal che una franchigia come quella della Pennsylvania esercita allo stato attuale. Ish Smith, in odore di free agency, potrebbe essere riconfermato, ma nel caso in cui le sue richieste risultassero esose, Colangelo potrebbe puntare su un playmaker di spessore: Rajon Rondo resta un obiettivo forse troppo ambizioso, tuttavia l’enorme spazio salariale unito alle eccellenti prospettive future potrebbero catapultarlo a Philadelphia. Jeremy Lin, reduce da dei Playoff vissuti da inaspettato protagonista, potrebbe rappresentare un valido piano B, ma anche in questo caso bisognerà vedere se l’ex sorpresa dei Knicks vorrà unirsi ad una contender per dare una svolta alla sua carriera. Un’altra via piuttosto ambiziosa porterebbe a Harrison Barnes, il quale potrebbe essere ingolosito da un contratto al massimo salariale e da un ruolo chiave in quintetto, ma attualmente i Sixers non partono favoriti nella corsa all’ala di Golden State. Capitolo lunghi: la città dell’amore fraterno è troppo piccola per Okafor, Embiid e Noel. Da mesi infatti Colangelo e soci stanno proponendo a destra e a manca i propri gioielli, nella speranza di liberare spazio sotto i tabelloni e di ottenere in cambio giocatori di primo piano o scelte allettanti. Sembra che la dirigenza voglia mettere alla prova Embiid, reduce da due anni di stop, prima di sbarazzarsene troppo frettolosamente, mentre Okafor è il principale candidato alla preparazione delle valigie, ma non sono comunque da escludere trade che coinvolgono gli altri due lunghi: proprio ieri i Rockets hanno offerto Patrick Beverley e Trevor Ariza in cambio di Noel, ma l’offerta è stata immediatamente rispedita al mittente. Infine, all’aeroporto di Philadelphia dovrebbe finalmente sbarcare Dario Saric, dodicesima pick del draft 2014, reduce da un’ottima stagione tra le fila dell’Anadolu Efes in compagnia di Korkmaz.
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Il futuro
L’assunzione dei Colangelo rappresenta un punto di svolta nella storia dei 76ers. Accantonato Sam Hinkie e il suo utopistico progetto di ricostruzione, si riparte da un duo consolidato in grado di ricostuire l’immagine di una franchigia che da troppi anni ormai militava in un campionato a parte. Proprio per questo motivo crediamo che il tanking verrà presto messo in soffitta e si cercherà di ripartire, paradossalmente, proprio dalle ceneri di quell’ardito quanto perdente ideale, ossia le numerose scelte al Draft, convertite in prospetti dal sicuro avvenire, e i promettentissimi giovani arruolati negli anni da Hinkie. Con un Simmons in più e qualche buon colpo nel mercato dei free agent, la stagione dei Sixers potrebbe riservare più di una sorpresa alla tifoseria, logorata da tanti anni di sconfitte. In una Conference “soft” come quella orientale, dopo diverse stagioni Philly potrebbe finalmente fare ritorno in postseason, vivendo un’esperienza esaltante ma senza dubbio breve: l’esperienza pressoché nulla del giovanissimo roster a disposizione di Brown si tradurrebbe in una rapida uscita di scena, che nonostante tutto riporterebbe una ventata di entusiasmo in città. Invece, se le cose non dovessero andare secondo i piani, la situazione sarebbe ben diversa. Come già detto, attualmente Philadelphia non è esattamente la meta più ambita per un cestista, pertanto parecchi free agent potrebbero storcere il naso ed accasarsi altrove; se a tutto questo aggiungiamo un probabile quanto necessario anno di rodaggio per i vari rookie (Embiid e Saric compresi), l’accesso ai Playoff torna ad essere un miraggio. Bisognerà probabilmente attendere qualche anno affinchè i Sixers tornino ai fasti di Doctor J e Allen Iverson, tuttavia la straordinaria quantità di talento ammassato a suon di sconfitte (il fine giustifica i mezzi, doesn’t it?) ci invita a guardare con ottimismo al futuro, che nella città dell’amore fraterno sembra essere sempre più roseo.
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