Offseason Preview. Dallas Mavericks: Duri a morire

Dalla cavalcata trionfale del 2011 il primo turno di playoff è stato il massimo risultato raggiunto dai Dallas Mavericks. Sicuramente la franchigia ancora dipende dalle gesta di quello spilungone tedesco e questo non è necessariamente un bene, eppure sono lì, sempre lì, e abbiamo ragione di credere che ci resteranno ancora per parecchio.

La stagione e il draft

Quest’anno a Dallas hanno sognato in grandissimo per un paio di settimane estive, giusto il tempo che DeAndre Jordan si rimangiasse la parola data, apponendo la sua firma sul rinnovo con i Clippers. Ingoiato il rospo (magari a Cuban ci vorrà un po’ di più), Donnie Nelson (non un semplice GM) ha messo insieme una squadra più che competitiva nonostante gli addii di Chandler, Ellis, Rondo e Aminu. Carlisle continua a sviluppare il suo gioco fatto di tiri da 3 (28,6 tentativi a partita) e pick and roll, trovando in Zaza Pachulia un’arma importante per non concedere troppe seconde chance agli avversari (9,4 rimbalzi a partita). I Mavs subiscono 40,9 punti per game nel pitturato, facendo peggio solo di sette squadre, il che ci fa capire come la difesa di Carlisle, coadiuvata da ottimi interpreti come Wes Matthews e Dwight Powell, lascia pochi spazi alle segnature facili. Il grande problema sono le transizioni difensive, vero tallone d’Achille di una squadra che fatica molto quando gli altri alzano il ritmo. A fronte delle sole 12,8 palle perse a partita, meglio fanno soltanto gli Hornets, i punti subiti in contropiede sono 16, riuscendo a torreggiare in questa statistica sui soli Sixers, Lakers e Suns. Nonostante qualche infortunio di troppo e il fisiologico calo di WunderDirk (44% dal campo, peggior percentuale dal suo anno da rookie), la squadra si aggrappa al sesto posto nella Western Conference che vuol dire incrocio di fuoco con OKC. La vittoria in gara 2 è solo un incidente di percorso per i Thunder, che in cinque partite dimostrano uno strapotere offensivo al quale i Mavs possono opporre ben poco.

Dallas non è stato l’epicentro di questo draft, dal momento che la loro scelta al primo giro e una scelta dei Nuggets al secondo acquistata in precedenza, erano finite a Boston nella trade che ha portato Rondo in Texas. L’unica scelta a disposizione di Donnie Nelson era la numero 46 con la quale ha chiamato A.J. Hammons, centro di 2,13 m da Purdue. Secondo gli addetti ai lavori, l’unico motivo per cui questo ragazzo non sia finito in zona lottery è lo scarso impegno profuso nel quotidiano. Hammons è abilissimo nel finire le azioni al ferro, la sua mobilità di piedi gli permette di essere molto efficace spalle a canestro e di aggiustare i blocchi nei pick and roll e pick and pop. Infatti anche il suo jumper non è da buttare e con un po’ di applicazione non sarà battezzabile lontano dall’area. Già, il problema sta tutto nell’impegno che Hammons mette nelle cose, pochino a dire la verità. In partita si vede nelle palle perse (un po’ troppe) e in alcuni tiri contestati evitabili, ma è nel quotidiano che tra allenatori e giocatori in pochi sono convinti che questa cosa del basket appassioni veramente il ragazzo. Se inoltre ci mettiamo un carattere non certo mansueto, che gli è costato un paio di multe e diverse partite di sospensione durante la sua carriera collegiale, il compito di coach Carlisle di renderlo il giocatore che potrebbe essere non sarà una passeggiata.

Il mercato

Non si può non partire da Nowitzki, anche se l’unica ragione per la quale non ha esercitato la player option è mettersi in tasca qualche Benjamin in più. Il legame che lo stringe ai Mavs e al loro proprietario è di quelli melensi e vagamente anacronistici, ed è giusto che quando il tedesco deciderà di dire basta, lo faccia sotto le volte del American Airlines Center, con buona pace di chi un pensierino ce lo aveva fatto. Chi invece potrebbe salutare Dallas dopo appena un anno di permanenza è Deron Williams. Il nativo di Parkersburg (West Virginia) è reduce da una stagione positiva rispetto ai suoi ultimi anni a Brooklyn, tuttavia la condizione fisica continua ad essere un’incognita e il corpo non è quello di uno starter per una squadra da playoff. Ecco perché franchigie con progetti a lungo termine come Jazz (che per Williams sarebbe un ritorno) e Kings potrebbero essere interessate ad una point guard in grado di dare esperienza e carisma per far crescere il gruppo. Anche Chandler Parson è uscito dal suo contratto, con la differenza che l’ex Rockets si siederà al tavolo delle trattative con base di partenza fissata a $22 milioni. 

Tanti per i Mavs, i quali hanno apprezzato le doti realizzative e la capacità di giocare minuti anche da stretch four senza patire troppo la sudditanza fisica, ma ci penseranno bene prima di offrire un max-contract ad un giocatore così discontinuo e perseguitato da guai fisici. Chi invece si accontenterà di un estensione a cifre decisamente più esigue è Zaza Pachulia. Il centro georgiano ha giocato per lunghi tratti la sua miglior stagione in carriera e adesso vorrebbe legare il suo futuro a quello dei Mavs, e l’unica preoccupazione per il GM Nelson potrebbe essere legata all’età (32). Così come non sembra essere più di primo pelo nemmeno David Lee, il quale ha dimostrato di poter dare ancora un contributo in uscita dalla panchina, ma a Dallas potrebbero decidere di ringiovanire il core della squadra e puntare forte su Dwight Powell in quella posizione. Affollatissima è invece la posizione di point guard, dove Raymond Felton ha dimostrato di avere ancora un paio di argomenti a suo favore. Nonostante ciò sembra che la concorrenza sia troppa, con i vari Barea, Harris, Williams, che spingono Felton lontano da Dallas, con i Pistons finora unici interessati. A sorpresa invece potrebbe continuare la sua avventura in Texas quel burlone di JaVale McGee forte della fiducia di coach Carlisle.

In entrata il nome è per forza quello. Se alla fine restassero soltanto Nowitzki e Pachulia, lo spazio a disposizione di Donnie Nelson sarebbe di poco inferiore ai $50 milioni, quindi un tentativo per Durant è d’obbligo. Tra Cuban e KD non scorre buon sangue, e il nativo di Washington ha parecchi occhi addosso, ma un contesto vincente come quello dei Mavs è difficile da trovare e questo lo sa anche Durant. In ogni caso rimane una strada impervia da percorrere, resa ancora più ostica dall’assenza di Dallas nel lotto delle “preferite”, e di alternative più economiche ce ne sono. Evan Turner è in cima alla lista, seguito a ruota da Nicolas Batum, con la suggestione Luol Deng se Carlisle preferisse aumentare l’intensità difensiva della squadra. Spendendo meno per il ruolo di small forward si può seriamente pensare ad organizzare l’assalto per Mike Conley. I Grizzlies stanno creando lo spazio per offrire al prodotto di Ohio State un contratto di livello (i Grizzlies possono offrire un quinquennale da 124 milioni mentre le altre franchigie possono arrivare solo a 94 milioni per quattro anni), e nel frattempo cercano anche qualche altro escamotage, ma Conley, dopo nove stagioni a Memphis, potrebbe scegliere diversamente. I Mavs rimangono alla finestra, ma c’è da battere la concorrenza di metà NBA, anche se i favoriti Spurs sembrano aver allentato la presa negli ultimi giorni.

Che cappello!

Qualora saltasse il piano A è pronta l’alternativa, che risponde al nome di Brandon Jennings, senza dimenticare una possibile riconferma di D-Will. Chi invece è al centro dei desideri di Cuban è Hassan Whiteside. Il leader per stoppate nella lega è in cerca di un max-contract e possibilmente di una contender; il suo contributo difensivo può diventare la chiave per raggiungere questo status, specialmente se poi lo seguissero un altro paio di free-agent importanti. Si era parlato anche di Howard ma non dovrebbe essere lui la prima scelta dei Mavs, i quali andrebbero forti su Bismack Biyombo nell’eventualità che Whiteside preferisca altri lidi. Intanto in Texas hanno alzato la cornetta del telefono per capire se Dwayne Wade sia veramente stufo dell’aria della Florida. Hai visto mai.

Scenari futuri 

Sul futuro dei Dallas Mavericks incombe l’inevitabile ritiro di Dirk Nowitzki. Quando il tedesco deciderà di smettere con il basket giocato riusciremo a capire se la dirigenza si è mossa bene in questi anni per assicurare un futuro alla franchigia, oppure se ha speculato fin troppo sulla lunga vita di Nowitzki. Anche questa free-agency sarà un importante snodo, dal momento che di giocatori interessanti ce ne sono, ma se nessuno optasse per Dallas, sarebbe logico chiedersi se stiamo assistendo alla lenta decaduta di una squadra che ha sempre avuto un certo appeal dall’arrivo di Cuban. Il rinnovo per i prossimi cinque anni, firmato questo inverno da coach Carlisle, è l’esempio di come Cuban si fidi ciecamente degli uomini che sceglie e prima di certificarne il fallimento riesamina il tutto più volte. Rick Carlisle ha fatto un ottimo lavoro e sta continuando a farlo, ma siamo certi che il vulcanico proprietario non gradirà l’uscita al primo turno di playoff ancora per tanti anni.

Temo voglia tornare a vivere certi momenti

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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