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Vi starete sicuramente chiedendo cosa stiano pensando Chris Paul e DeAndre Jordan dietro quei sorrisoni dati in pasto ai fotografi. La risposta è solo e soltanto una.
Questo è l’anno giusto.
Tra i tre, l’unico ad avere qualche più che lecito dubbio su un futuro così luminoso sembra essere Blake Griffin, che evidentemente deve essersi accorto che sulla canotta che sta indossando è cucita una terribile maledizione. Soltanto quelle otto lettere che campeggiano al centro della divisa, quanto di più infausto si possa sfoggiare su un parquet americano, possono giustificare un sorriso così imbarazzato. C’è scritto Clippers! Ah, se avessero dato ascolto a Federico Buffa…
La stagione
Eppure le premesse non erano delle peggiori, anzi. I Clippers si presentano ai blocchi di partenza della stagione freschi di rocambolesco rinnovo di DeAndre Jordan e con un Paul Pierce in più, giunto a Los Angeles grazie al profondo rapporto che lo lega a coach Doc Rivers, esperto timoniere di una delle squadre più quotate della West Coast. Chris Paul e soci si comportano egregiamente in regular season, chiudendo la stagione con 53 vittorie, che valgono l’accesso ai Playoff con il seed #4 ad Ovest. I primi ad affrontarli sulla via delle Finals sono quei Portland Trail Blazers orfani di 4/5 del quintetto titolare di 365 giorni prima. Un pur scatenato Damian Lillard, coadiuvato da baldi giovani precocemente bollati come meri rincalzi, è costretto a soccombere nelle prime due gare di fronte allo strapotere della truppa di coach Rivers, ma la Dea della Fortuna ha una memoria da elefante. Quel sorrisetto appena accennato da Griffin e quel maledettissimo nome cucito sulla canotta riappaiono da un ordinatissimo cassetto della memoria e per i Clippers non c’è più nulla da fare. una delle fatate mani di Chris Paul si rompe e come se non bastasse anche il povero Blake è costretto a fermarsi ai box per il riacutizzarsi dell’infortunio al quadricipite. Senza le due stelle i Clippers vengono letteralmente travolti dalla rimonta di Portland, che li condanna all’ennesima stagione di zero tituli.
Il “crac” che pone fine alla stagione dei Clippers (credits to sports.abs-cbn.com, via Google)
Il mercato
Se i Lakers piangono, i Clippers non possono certo permettersi di ridere. Infatti, sebbene i cugini gialloviola navighino a vista ormai da qualche anno, in casa Clippers non si possono dormire sogni tranquilli: il core della squadra è piuttosto in là con gli anni e il tempo a disposizione per portare a casa almeno un anello non è molto. Dato per scontato che i big three rimangano a Los Angeles, il principale obiettivo del front office è quello di rimpolpare la panchina con elementi di qualità ed esperienza, degli “usati sicuri” che permettano ai titolari di tirare il fiato e di evitare brutte sorprese in caso di infortuni. Proprio per questo motivo è importante cercare di riconfermare quegli uomini che nei momenti di difficoltà hanno tolto le castagne dal fuoco della sconfitta: l’identikit in questione è quello di Jamal Crawford, eletto Sesto Uomo dell’Anno per la terza volta in carriera, che ha già dichiarato di voler rimanere a Los Angeles anche l’anno prossimo. Non è questo il caso di Austin Rivers, figlio di coach Doc, che non eserciterà la player option e probabilmente si trasferirà altrove, strappando un contratto più vantaggioso di quello che i Clippers potrebbero offrirgli (stesso discorso per Wesley Johnson e Cole Aldrich, anche se con meno bigliettoni in ballo). Luc Mbah a Moute, titolare nella serie contro Portland, potrebbe rimanere, ma soltanto se si accontenterà di un’estensione non troppo esosa per le povere casse dei Clippers. Infatti, anche a causa del faraonico rinnovo di DeAndre Jordan, il salary cap per la prossima stagione prevede 10 milioni scarsi di spazio salariale, pertanto la dirigenza dovrà fare i salti mortali sul mercato per accaparrarsi qualità e sostanza ad una modica cifra. Paul Pierce, giunto in pompa magna a Los Angeles per mettere la sua clutch ability al servizio della squadra, ha profondamente deluso le attese e sta ancora meditando su un eventuale ritiro; è stato anche per le sue carenze che la dirigenza ha spedito l’ex Born Ready Lance Stephenson a Memphis in cambio di Jeff Green, che quest’estate sarà libero da vincoli contrattuali. La sua permanenza rimane la priorità del front office, ma se non si dovesse giungere ad un accordo con tutta probabilità sarà lo spot di ala piccola quello che necessiterà di un maggiore restyling. I nomi allettanti non mancano, a partire da quel Kevin Durant che però, per ovvi motivi economici, volerà a Los Angeles soltanto per incontrare i suoi numerosi estimatori, ponendo la sua firma su qualche poster e possibilmente anche su un più che remunerativo contratto. I sogni proibiti rispondono ai nomi di Harrison Barnes e Chandler Parsons, ma molto difficilmente rifiuteranno svariati milioni di dollari pur di trasferirsi a Los Angeles e, a meno di inaspettate trade per liberare spazio salariale, non sembrano essere alla portata economica dei Clippers. Più probabilmente la dirigenza punterà su nomi più abbordabili, come Luol Deng, Joe Johnson e Maurice Harkless. Per aggiungere profondità al roster, oltre alle scelte al Draft di stasera, potrebbe tornare in squadra Branden Dawson, scelto 365 giorni fa e lasciato girovagare in D-League, mentre Jeff Ayres e Pablo Prigioni, ormai ai margini del progetto, sono già con le valigie in mano.
Il Draft
Trovare un prospetto NBA ready con la venticinquesima scelta di un Draft non esattamente ricchissimo come quello di quest’anno è un’impresa impossibile. Proprio per questo motivo, secondo qualche beninformato la dirigenza dei losangelini starebbe cercando di scalare posizioni all’ormai imminente Draft, mettendo sul piatto la già citata venticinquesima scelta, la terza del secondo giro e qualche rincalzo nel tentativo di arrivare più in alto possibile nelle gerarchie della serata. Se le cose non dovessero andare per il verso giusto, ai Clippers non resterebbe che la speranza di estrarre dal cilindro la steal of the Draft, in grado di contribuire fin da subito all’assalto al Larry O’Brien Trophy.
Il futuro
La prossima stagione sarà finalmente quella giusta? Difficile dirlo, ma se la dirigenza riuscirà a far quadrare i conti, assicurandosi delle valide pedine sul mercato dei free agent e un giovanotto di belle speranze questa notte, i sogni di gloria di giocatori e tifosi potrebbero diventare finalmente realtà. Allo stato attuale tuttavia la situazione non sembra essere delle più rosee: il poco spazio salariale, la poco preziosa scelta al Draft e il comprensibile sconforto della squadra dopo anni di tentativi andati in fumo potrebbero condizionare in negativo la prossima stagione. Più realisticamente i Clippers staccheranno il pass per i Playoff, ma nel caos della Western Conference sarà difficile avere la meglio su Warriors, Spurs e Thunder (Durant permettendo), che sembrano essere tecnicamente e mentalmente più attrezzati dei losangelini per la corsa al titolo, senza considerare i freschi campioni di Cleveland.
E’ passato solo qualche anno, ma sembra che i ragazzi abbiano imparato la lezione (credits to nba.com, via Google)
Avere in squadra gente del calibro di Chris Paul, Blake Griffin e DeAndre Jordan, scortati da un ottimo supporting cast, e vedere la propria bacheca miseramente spoglia dev’essere quanto di più frustrante si possa immaginare in ambito sportivo. I Clippers devono scrollarsi di dosso paure e insicurezze al più presto se vogliono scrivere il proprio nome sugli annali del basket. Perché si sa, il nome dei vincitori riecheggia in eterno, mentre il talento degli sconfitti rimane sepolto nella polvere. Giocatori e management, tifosi e coaching staff devono lavorare tutti insieme per scongiurare il rischio dell’oblio. Il tempo stringe, ma il personale della sala trofei è stato già allertato: una spolveratina alla bacheca non fa mai male, sperando che qualche anello rimpiazzi le ingombranti ragnatele del presente.
A cura di Federico Ameli