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Salary Cap, un paio di appunti per spiegare queste cifre “fuori controllo”

Il mercato dei free agent NBA è “ufficialmente” (le firme al solito arriveranno poi, tra qualche giorno) partito da meno di 48 ore e il bombardamento di cifre che ci ha travolto è più cospicuo e soprattutto più oneroso del solito. Conseguenza attesa da molti in quanto il Salary Cap NBA, ossia il monte ingaggi a cui ogni franchigia deve fare riferimento, ha subito un’impennata non da poco in questa stagione.

Andiamo con ordine.

Nella stagione 2015/2016 la quota fissata per gli “stipendi” si aggirava attorno ai 70 milioni di dollari. Cifra rispetto alla quale venivano poi calcolati soft e hard cap, apron e tutto ciò che ne consegue (senza stare a dettagliare più di tanto). Quello su cui mi interessa puntare l’attenzione è un aspetto: i contratti che le squadre NBA possono offrire partono dal Salary Cap, ma sono poi in realtà quote percentuali dello stesso.

Troppo complicato? Facciamo un esempio numerico. Mike Conley (attualmente il giocatore che ha firmato l’accordo più oneroso della Storia NBA), classe 1987, è stato quarta scelta assoluta al draft del 2007. Dopo i suoi primi 4 anni nella Lega (giocati sempre nei Grizzlies), il playmaker originario dell’Arkansas ha poi firmato un contratto da 5 anni per un ammontare da 40 milioni di dollari. Una media da 8 milioni l’anno, in realtà distribuita in maniera “crescente”, partendo da un contratto da 6,6 milioni la prima stagione per arrivare ai 9,6 in quella appena trascorsa.

Fin qui spero sia tutto chiaro. Conley ha così giocato 9 stagioni in NBA, tutte nella stessa squadra e anzianità e fedeltà alla maglia sono due caratteristiche che l’NBA tende a premiare a livello salariale. In ragione di questo il playmaker ha maturato la possibilità di ambire ad un massimo salariale pari al 35% del Salary Cap NBA.

Badate bene. Non si fa riferimento a cifre, ma a percentuali. Il fatto che il Salary Cap in questa stagione raggiunga l’esorbitante cifra di 94 milioni di dollari è una delle ragioni per cui i contratti stanno schizzando alle stelle.

Questo vuol dire che il suo stipendio incide non su 70 milioni, ma su 94. E il 35% di 94 è ben più grande di quello calcolato su 70.

Questa però è solo una delle motivazioni.

Difatti i contratti sottoscritti questa estate hanno valenza pluriennale (il buon Conley prenderà 153 milioni di dollari spalmati nelle prossime 5 stagioni). Va tenuto quindi conto non solo dell’aumento di questa sessione di mercato, ma anche di quelli che ci saranno negli anni a venire.

Piccola parentesi obbligatoria. L’NBA ha sottoscritto un contratto con le maggiori emittenti televisive statunitensi (TNT e ESPN/ABS) da 24 miliardi di dollari per 9 anni, a partire dal 2016/2017. Questo sta a significare che il Salary Cap continuerà a crescere in prospettiva futura, quello di questa estate è soltanto il primo incremento. L’incidenza quindi sarà ancora minore in futuro.

Stop, stop, stop. Serve un altro esempio, lo so.

Solomon Hill, 23esima scelta al draft 2013 da parte dei Pacers, ha firmato un contratto da 52 milioni di dollari per 4 stagioni. Un giocatore da 4,2 punti e 2,8 rimbalzi di media in meno di 15 minuti di utilizzo che becca tutti quei verdoni?

Oltre ad esserci sicuramente l’intenzione da parte della squadra dell’Indiana di puntare su di lui, quelle di Hill sono cifre che si prestano bene ad essere contestualizzate:

L’incidenza di queste cifre difatti, in realtà sarà molto più ridotta di quanto si possa immaginare. Sostanzialmente ha lo stesso peso di un contratto da 8 milioni di questa stagione: sempre tanta roba se si pensa che Steph Curry ne ha incassati 11 (il contratto del secolo quello dei Warriors!), ma di certo molto meno ingente se si ragiona in prospettiva.

Ultimo punto, ma non di certo per importanza, è il fatto che il monte ingaggi (lasciatemelo italianizzare per non star sempre a ripetere Salary Cap) aumenta non in maniera “regolare”, ma a gradini, a salti.

Questo vuol dire che le squadre NBA non hanno la libertà di spalmare queste cifre nel corso degli anni, ma dovendosi attenere a dei limiti prefissati ben precisi, devono per forza di cose distribuirli soltanto nel momento in cui il “tetto” salariale subisce un aumento.

Questo che vuol dire? Che questa estate, su una popolazione d circa 400 giocatori NBA, soltanto un centinaio sono quelli “da rinnovare”. 300 di essi sono già sotto contratto, il che vuol dire che la “fetta” di aumento del cap se l’accaparra soltanto un quarto dei giocatori.

Ritorno per l’ultima volta ai numeri, perché questo è un concetto decisivo da comprendere.

I circa 300 contratti NBA già sottoscritti prima di questa sessione di mercato “occupano” 1,75 miliardi. Con l’aumento il Salary Cap totale oscillerà tra i 2,8 e i 3,25 miliardi (in base a quanti supereranno la soglia fissata dal Salary Cap).

Questo vuol dire che i 100 free agent di questa estate si accaparreranno una quota tra il miliardo e il miliardo e mezzo. Mediamente tra i 10 e i 15 milioni di dollari a testa.

Attualmente la media è 6 milioni. Il doppio.

E’ tutto chiaro adesso?

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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