E quindi è successo: Kevin Durant è un nuovo giocatore dei Golden State Warriors! Con la lettera pubblicata su Players Tribune Durant ha posto fine ai dubbi dopo tre intensissimi giorni di moratorium prendendo una delle decisioni forse meno convenzionali ma sicuramente più affascinanti e storiche della NBA.
Premessa: se cercate un articolo che cerchi di inquadrare la natura umana della scelta di KD, o che ne condanni una moralità (per alcuni) superficiale, o che peggio ancora cerchi di valutare la decisione dell’ex giocatore dei Thunder sotto un aspetto emotivo-sociale, questo non risponderà alle vostre richieste. Visto dal di fuori ― e chi scrive non si picca di conoscere Durant personalmente ― è pressoché impossibile sapere quale sia l’angolo di lettura migliore e quali siano realmente i fattori che hanno spinto Durant a lasciare l’Oklahoma. E ancora meno produttivo sarebbe parlare della mancanza di epicità di una scelta che odora di “Se non puoi batterli, unisci a loro” ma che alla fine ― e come sempre ― ha al suo interno milioni di sfaccettature che è rischioso (ed impossibile) giudicare senza un contesto adeguato. Infine, è importante ricordarsi che Kevin Durant, oltre ad essere un meraviglioso atleta della nostra società panem et circenses, è soprattutto un professionista. Un professionista che dopo nove anni ha deciso di compiere un cambiamento importante, scegliendo quella che per lui (e solo lui può saperlo) è l’opportunità lavorativa migliore. E non si tratta neanche di non avere una componente sentimentale, tutt’altro: è solo una questione di libertà decisionale.
Detto questo, non era mai successo nella storia della NBA che un ex-MVP sotto i trent’anni si unisse alla squadra col miglior record della stagione precedente: quando Shaq si unì ai primi Cavs di LeBron (2009) era ormai sulla via del tramonto della sua carriera e lo stesso vale per Bill Walton coi Celtics dell’86. E quello che infatti di più impressione è che Durant all’inizio della nuova stagione avrà da poco compiuto 28 anni ed ha davanti ancora i migliori anni della sua carriera. Così come gli altri fuoriclasse dei Warriors ― Curry 28, Green e Thompson 26 ― andando a comporre quella che sarà una della squadre più forti di sempre.
“Quindi? Titolo già andato?? Dinasty??? Certo che no, ti ricordi i Lakers con Nash/Howard?? Ed anche i Celtics di Pierce-Garnett-Allen hanno vinto poco! E perché gli Heat di LeBron-Wade-Bosh??”
Vero ― e comunque mettere assieme una grande quantità di talenti non si traduce matematicamente in certezza di vincere. Però occorre fare chiarezza: nel caso dei Lakers la chimica risultò disastrosa ed il progetto tecnico (di D’Antoni) venne rigettato quasi subito dalla squadra. Boston avrebbe potuto vincere di più ― e senza qualche infortunio magari ci sarebbe riuscita ― così come Miami, ma entrambe per arrivare a competere (e vincere) partirono da una base pressoché nulla. Entrambe venivano infatti da anni senza soddisfazioni e soprattutto dovettero trovare le giuste misure ― tipo il nuovo ruolo di Bosh dopo l’infortunio ― per imporre la loro superiorità.
Per quanto riguarda Golden State il discorso è totalmente diverso. Dall’inizio del progetto Myers-Kerr gli Warriors hanno frantumato ogni record ― per chi se ne fosse già dimenticato sono reduci dalla miglior regular season della storia ― giocando una pallacanestro straordinaria, rivoluzionando i concetti basici del gioco ― tipo non tirare da tredici metri ― e vincendo un titolo e perdendone un altro a causa di due giocate ― questa e questa― ad un minuto dalla fine di gara-7 che sono già indice nel Libro del Gioco.
Kevin Durant per i Warriors non rappresenta la luce in fondo al tunnel, ma piuttosto un terrificante upgrade, forse il più terrificante possibile e di sempre, ad un sistema-di-gioco che già prima di lui poneva dubbi semi-irrisolvibili ai propri avversari. Vi ricordate i tiri gratis concessi a Barnes nelle scorse Finals? Ecco, probabilmente cesseranno di esistere.
Non solo: Durant è un miglior rimbalzista di Barnes e soprattutto è un miglior difensore. La sua presenza garantirà più protezione del ferro così come più solidità nei continui switch, tipici della difesa degli Warriors. Durant può difendere contro ogni tipo di ala e soprattutto, nell’eventualità di un terzo round contro i Cavs in finale, è un’opzione di gran lunga migliore nella marcatura su James, potendo dare qualche possesso di respiro in più ad Iguodala. Il fatto di essere uno degli attaccanti più forti della lega (se non il migliore) finirà col trasformare il già conosciuto Death Lineup in uno juggernaut inarrestabile e spaventoso (vogliamo chiamarlo Apocalypse Lineup?) che aprirà un gigantesco wormhole che porrà fine alla realtà per come la conosciamo noi.
“Quindi? Three-peat assicurato??” Come detto prima, assolutamente no. Quello che però si può dire è che nessun giocatore al Mondo sarebbe stato un fit migliore di Durant per giocare la pallacanestro di Steve Kerr. Questo non significa che gli Warriors giocheranno esattamente come negli ultimi due anni ma con un Durant in più: significa invece che la varietà di opzioni raggiungibili con lui diventa quasi infinita. E così come dovrà essere bravo Kerr a cucire un vestito più comodo per tutti, dovrà esserlo anche Durant nel assemblare i concetti di una nuova organizzazione tattica.
Ma non si affrettino quelli del “Non potrà mai avere la palla in mano quanto ce l’aveva coi Thunder”. Nonostante la presenza dei fuoriclasse già citati, Durant potrà avere più controllo di quanto si creda: Thompson potrà concentrarsi integralmente sul farsi trovare pronto sugli scarichi (auguri) e lo stesso Curry, per quel che si dica, è già abituato a giocare lontano dalla palla e anche lui trarrà giovamento ― e spazio ― dalla sua presenza (auguri vivissimi). Per di più Durant può completare perfettamente quel pick-and-roll centrale tra Curry e Green, che già ad oggi non conosce risposte efficaci.
Durant può rappresentare un’alternativa di lusso ai finali di partita concitati (vedi l’ultima gara-7) dove magari il flow tanto caro all’attacco degli Warriors potrebbe non essere brillantissimo ― e dopo 106 partite ci può anche stare ― e si necessita di una giocata singola. Cosa in cui Durant è pacificamente ― escludendo la consueta dose di haters ― uno dei migliori al mondo.
“La quantità di tiri a partita diminuirà drasticamente?” Calma. La concezione mentale di viaggiare ad oltre 19 tiri di media come quest’anno potrà dover essere accantonata, quello sì, ma il sistema-democratico di Kerr è fenomenale nel generare tiri (buoni tiri). Gli basterà aspettare che la partita venga a lui e accettare ― cosa presumibile vista la scelta di unirsi ad un sistema che funzionava anche prima del suo arrivo ― di essere un’altra letale tessera di un puzzle irrisolvibile.
Curry continuerà a prendersi i suoi tiri e di pallone ce n’è soltanto uno, questo è vero. Ma è ugualmente vero che se c’è un sistema di pallacanestro che può assorbire un giocatore così dei Golden State Warriors. Il basket è un gioco di equilibri sottili ma se questi dovessero essere trovati sembra difficile contraddire le parole del GM Bob Myers uscite ieri poco dopo l’annuncio.
Equilibri sottili che dovranno essere trovati anche per quanto riguarda l’aspetto economico della questione. Con l’arrivo di Durant ― che ha firmato un contratto di due anni con la player option sul secondo anno ― ci saranno delle scosse di aggiustamento inevitabili. Bogut e Barnes hanno già salutato (direzione Dallas) come era inevitabile che fosse. Scegliendo di tenere Livingston gli Warriors hanno di fatto detto addio ad Ezeli, così come si appresteranno a farlo con i vari FAs Speights, Barbosa, Varejao McAdoo e Rush. Livingston farà parte di una panchina che, oltre ai rookie Looney (non lo sarebbe, ma di fatto quest’anno non ha mai giocato), Jones e McCaw (appena arrivati dal draft e che potrebbero tornare molto utili), potrà essere rinforzata solo con contratti al minimo o trade exceptions.
Gli Warriors disponevano anche di una mid-level exception (poco meno di 2.9 milioni) che hanno già usufruito per prendere Zaza Pachulia (un gran colpo) puntellando così un reparto-centri molto sguarnito e trovando il quinto componente del loro starting-five ― visto che Iguodala come sempre partirà dalla panchina.
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Considerando che i rinnovi di Barnes ed Ezeli avrebbero comunque portato a delle scelte complicate (in nessun caso Golden State avrebbe potuto tenere intatto il roster di quest’anno) si può dire con una certa tranquillità che la mossa del front-office degli Warriors è stata perfetta. Così come è stato un perfetto reclutatore Jerry West, il quale ancora una volta mette il suo pesante contributo su un trasferimento di proporzioni epocali. La telefonata nella notte dopo il meeting con gli altri componenti della franchigia californiana pare essere stata fondamentale e potrebbe aver contribuito molto a cambiare il futuro della lega di cui ne è anche il simbolo.
Siamo all’alba di una nuova era per la NBA e Kevin Durant e i suoi nuovi Golden State Warriors minacciano di riscrivere la Storia. Ci riusciranno?