Categorie: Primo Piano

Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!

Il giorno dopo il rammarico non vuol saperne di passare. Anzi.

Perdere un treno come questo, occasione unica per conquistare un pass per Rio 12 anni dopo la finale contro l’Argentina (ultima partita giocata su un parquet olimpico dalla nazionale italiana), ci lascia addosso una sensazione di impotenza che ci farà compagnia come il caldo afoso nelle prossime settimane.

E proprio come la calura estiva, lascerà una lunga scia a cui è impossibile non fare caso (non di sudore, sia ben chiaro, ma di critiche). I tiri sbagliati nel momento decisivo, le palle perse, la cattiva esecuzione, la solita complessa difesa contro i lunghi avversari.

Dal 2010, da quando la “generazione NBA” azzurra ha iniziato a farci pregustare trionfi al pari di quelli di inizio millennio, non ne abbiamo letteralmente imbroccata una. L’Europeo 2011 finì già ai gironi, con un Bargnani top scorer che ci servì soltanto a battere i modesti lettoni.

2012, rimaneggiati e trascinati dal padrone di casa Datome, facemmo percorso netto, ma ci portò in dote “soltanto” una qualificazione alla competizione continentale del 2013 in Slovenia, dove alle cinque vittorie consecutive del girone, seguirono 3 sanguinose sconfitte che ci relegarono all’ottavo posto. Troppo in basso per meritare una qualificazione ai Mondiali dell’anno dopo, a cui abbiamo assistito da spettatori.

Italy players celebrate after the EuroBasket group B match Italy vs Germany in Berlin September 9, 2015. AFP PHOTO / TOBIAS SCHWARZ

Fino ad arrivare ai giorni nostri. L’Europeo di settembre, bello e crudele, finito al supplementare contro la Lituania, ancora una volta “troppo presto” rispetto alle ambizioni che tutti noi lecitamente pensavamo di aver il diritto di avanzare.

Il condizionale però, dopo l’ennesimo traguardo mancato, diventa d’obbligo. Perché dopo averle provate davvero tutte, a cambiare forse non devono più essere gli allenatori, gli schemi di gioco o i palazzetti in cui giocare.

A cambiare dobbiamo essere noi.

Evidentemente questa squadra a livello sportivo vale meno di quanto abbiamo sognato, sperato e preteso negli ultimi anni. La migliore sintesi a mio avviso l’ha fatta Belinelli.

Un gruppo che ci prova dando fondo a tutte le energie disponibili, preferendo sudare in palestra vestiti d’azzurro al posto di godersi in vacanza l’off-season. Ma un collettivo che “evidentemente non è stato bravo abbastanza”.

E’ la dura, amara e affascinante legge dello sport, in particolare in un gioco come il basket in cui molto spesso (per fortuna) vince il migliore. E le varie Ucraina, Serbia, Lituania o Croazia sono sempre state più brave di noi. Questo però non ha mai fatto venir meno la voglia di combattere (abbiamo pur sempre perso all’overtime, in gare in cui un paio di possessi hanno fatto la differenza), di crederci, di ripartire con maggiore forza.

“Siam pronti alla morte l’Italia chiamò” hanno urlato prima dalla palla a due ieri sera. E a livello sportivo questo non è mai venuto meno.

L’importante adesso è che noi facciamo tesoro della lezione, senza immaginare trionfi che ad oggi non sono alla nostra portata, né pretendere troppo da chi in realtà più di questo non è in grado di dare.

#SiamoQuesti. Nel bene e, a quanto pare, soprattutto nel male.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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