I Boston Celtics sono di gran lunga la squadra più interessante dal punto di vista del “coaching” dell’intera NBA. Brad Stevens è a tutti gli effetti un maestro del gioco, un docente, prima ancora di essere un allenatore capace. E i suoi Celtics fatti di “suddivisione della responsabilità”, senza una vera stella (almeno per ora) sono un condensato di interessanti soluzioni offensive.
Una in particolare mi ha colpito (grazie al lavoro FANTASTICO di Half Court Hoops che ci regala video già pronti) per l’efficacia figlia della semplicità di esecuzione. E’ uno schema chiamato “Winner”, sostanzialmente un modo veloce in uscita dal timeout di costruire un buon tiro da 3 punti. Una boccata d’aria per una squadra che ha tirato male dall’arco (33,5% in stagione regolare), soffrendo in particolar modo l’assenza di uno “specialista” nel reparto guardie.
Di tutti quelli che hanno tentato più di una conclusione a partita di media, il migliore dei “piccoli” (in rosso) è stato Every Bradley. Di certo non uno scorer, specialista difensivo prima che realizzatore, il numero 0 dei Celtics si è riscoperto in realtà spesso “go-to-guy” da cui andare in situazioni di punteggio in bilico.
Lo schema è presto disegnato (semicit.). Dalla rimessa, il lungo è pronto a bloccare per l’uscita di Bradley (freccia disegnata in rosso), opzione evidente agli occhi della difesa avversaria. Nel frattempo Thomas, lontano dall’azione, “blocca per il bloccante” (screen the screener), per liberare la ricezione meno prevedibile: quella del lungo sul lato debole.
Quando la palla parte della mani di Smart, tutta la difesa avversaria è assiepata in una metà campo. Servirlo quindi con un lob (anche relativamente lento) non è un enorme problema. Nel frattempo, Jae Crowder, l’unico giocatore “ancora inattivo” (si parla di frazioni di secondo), parte per bloccare proprio per Bradley: il gioco difatti è stato disegnato per lui.
Attenzione ad un particolare ora: la palla è arrivata a destinazione e tutti e 10 gli occhi della difesa guardano lì. L’obiettivo misdirection è stato ottenuto e LaVine è molto indietro rispetto al suo uomo, concedendo di fatto un’ottima conclusione piedi per terra all’avversario. Poi certo, tocca sempre metterla, ma anche quando non va dentro, nulla si può togliere alla costruzione del tiro: rapida e indolore. Perfetta per le situazioni in cui il cronometro corre veloce.
Verrebbe da dire a questo punto: eh ma quelli che tiravano meglio di Bradley nel roster c’erano! Certo, tutto vero. Jerebko e Olynyk, a cavallo del 40%. Lunghi atipici, da liberare in altro modo. Come? Facendo lo stesso ragionamento di prima, a parti invertite (inutile quindi stare a spiegare perché il nome con cui è finito sul playbook è “invert”).
In questo caso il blocco per l’uscita lontano dal ferro del piccolo viene subito premiato col passaggio del giocatore che batte la rimessa. La ricezione è chiaramente passiva, lontano dalla linea da 3 punti e portata solo ed esclusivamente per liberare dalla sfera colui che rimette l’arancia in campo.
Passata la palla, il giocatore che batte la rimessa parte subito in taglio verso il canestro. Olynyk “si stacca” dal suo uomo, il quale è convinto del fatto che sta per portare un blocco. Quella distanza in realtà è letale.
Olynyk difatti non porta alcun tipo di blocco, ma è l’esatto opposto. E’ il piccolo che blocca per la sua uscita (“cross screen”, come dicono dall’altra parte dell’Oceano) che gli permette di ritrovarsi con spazio pronto a sparare dall’arco. Come in precedenza, non è il risultato che fa la differenza, ma il fatto che si sia costruito un tiro che “in media” genera 1,215 punti ogni volta che viene tentato (ben oltre quanto prodotto da un attacco NBA).
Lo staff tecnico di Boston starà certamente già disegnando situazioni simili per Horford, il colpo del mercato biancoverde, e magari in molti sognano di vedere sempre un numero zero coinvolto nella situazione di “Winner”, ma arrivato direttamente da OKC.
Gli interpreti fanno molto spesso la differenza. Non sempre, però. Alle volte quello che si disegna sulla lavagna è la vera discriminante tra la vittoria e la sconfitta. E coach Stevens è davvero bravo in questo.