Stephen Curry è una dei volti della NBA oggigiorno, uno di quei personaggi con cassa di risonanza mondiale per qualsiasi cosa faccia o dica. La sua influenza sempre maggiore nella Lega è testimoniata dal suo inserimento nell’unione dei giocatori come rappresentante di punta nelle trattative per evitare il lockout nel 2017 e per atleti di questo calibro è normale anche trattare argomenti caldi a livello mediatico e che esulino dal semplice basket giocato.
È successo anche a Curry, che in un’intervista concessa al blog TechCrunch è stato interpellato anche su due tematiche che vanno per la maggiore in questi giorni oltreoceano: le elezioni presidenziali di novembre e la vicenda riguardante Colin Kaepernick.
Per quanto concerne il successore dell’amico Barack Obama alla Casa Bianca, Curry non ha dubbi nel sostenere la democratica Hillary Clinton come aveva già ribadito anche in estate. Sulla protesta del quarterback dei San Francisco 49ers, il prodotto di Davidson si divide: garantisce sostegno per le buone ragioni espresse da Kaepernick ma non approva le modalità, ovvero il non alzarsi in piedi per l’inno nazionale.
Ecco le parole a riguardo di Curry.
L’unica cosa di diverso che farei è alzarmi in piedi per l’inno. Detto questo, se si ascolta il modo in cui parla e il messaggio che sta cercando di trasmettere non solo a parole ma coi gesti, non sta mancando di rispetto né ai veterani né alle forze dell’ordine. Non è questa la sua intenzione: lui continua per la sua strada perché vuole creare maggior dialogo sull’ingiustizia sociale e sulla divisione razziale. So bene quanto sia delicato l’argomento perché sono spesso coinvolto nel cercare dei modi per rendere migliore la nostra comunità, soprattutto per gli afroamericani. Non è la maniera in cui lo farei io, ma supporto il suo tentativo di creare un dialogo o di continuarne uno, o ancora di cercare di migliorare una situazione che purtroppo è terribile e molto diffusa nel nostro Paese.