Se dal lontano 2000, eccezion fatta per l’annus horribilis 2012-2013, in quel di Dallas ci si trova costretti senza troppi rammarichi a rimandare le vacanze causa un’inderogabile postseason, è evidente che il front office dei Mavericks conosce alla perfezione il significato assunto dalla parola “longevità” all’interno della Lega più bella al mondo. Tuttavia, il fatto che la presenza in squadra di un fuoriclasse come Dirk Nowitzki (sarà mica un caso che dal suo anno da sophomore Dallas fa gli onori di casa sul red carpet dei Playoff?), periodicamente coadiuvato da giocatori dalle indiscutibili qualità (citofonare Nash), non sia stata sufficiente a trasformare la suddetta longevità in una vera e propria legacy relega la franchigia texana al ruolo di outsider, che ad onor del vero qualche anno fa ha comunque concesso più di una soddisfazione a WunderDirk e soci.
La sconfitta al primo turno della scorsa stagione chiude un quinquennio da archiviare e dimenticare quanto prima, paradossalmente inaugurato dalla storica conquista dell’anello, durante il quale i ragazzi di coach Carlisle hanno accumulato una serie di premature uscite di scena dalla postseason. Lo scorso aprile furono i Thunder del fu Kevin Durant, in una delle sue ultime apparizioni con la casacca che ben presto sarebbe caduta vittima di tristi combustioni, a spazzare via i sogni di gloria dei Mavericks, i quali si apprestano ad iniziare una nuova stagione forti di una presenza teutonica e totemica che dal 1998 fa innamorare l’America, e non solo, con le sue prodezze.
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