Alla stoppata di LeBron su Iguodala, alla squadra più forte di sempre (lo dicono i numeri: quel 73-9 resta nella storia) sconfitta da un’ambizione gargantuesca, dalle proprie paure e da Michael Jordan reincarnatosi nel Prescelto.
Perdere così fa male, malissimo; le epiche gesta dei Warriors si sono fermate sul più bello, appena prima del trionfale ritorno a casa da Troia sconfitta. Stavolta hanno vinto gli underdog, i Troiani. 4-3 Cavs, le 402 triple segnate da Steph Curry in regular season che finiscono improvvisamente nel dimenticatoio, la “garra” di Draymond Green che d’un tratto sembra la tracotanza di un bulletto di periferia, l’intera narrativa NBA che, di fronte a un bivio, imbocca la strada più conservativa e conciliante.
Trasfigurazione LeBroniana; stoppata su tela (2016)
Dopo “Il pugno di dollari” della stagione 2014-2015, conclusasi con la vittoria del Titolo; dopo la pretesa dei “Dollari in più” del 2015-2016 che hanno lasciato la banda Warriors senza bottino, è la volta del “Buono”, del “Brutto” e del “Cattivo”.
Il Buono è Steph Curry, in cerca di redenzione e con alle spalle una stagione tripolare vissuta sui binari narrativi: messia di un nuovo basket? – più grande di sempre? – peggior leader di sempre? Il Brutto è Draymond Green: la belva feroce, guru verbale e fisico dei Warriors, anche lui in cerca di riscatto e della definitiva consacrazione. Il Cattivo… Il Cattivo, beh, alla fine perde sempre, no? Soprattutto quando prova a vincere facile. Forse non stavolta; stavolta parte con tutti i favori del pronostico.