Sono giorni di discussioni sui massimi sistemi in NBA, con il basket che spesso rimane sullo sfondo (anche perché la regular season deve ancora iniziare). Il caso di Colin Kaepernick, giocatore afroamericano della NFL che per protestare contro la “questione razziale” è rimasto seduto in più occasioni durante l’esecuzione dell’inno statunitense di rito a inizio partita, ormai è noto. E anche molti cestisti NBA di spicco hanno voluto dire la loro nelle ultime settimane; uno dei più coinvolti dalla questione è stato Carmelo Anthony, che già agli ESPY di luglio aveva fatto un discorso accorato, insieme ai colleghi LeBron James, Dwyane Wade e Chris Paul, sulla necessità di riportare all’attenzione la problematica della disuguaglianza sociale a tinte razziali.
Melo, in queste ore, è voluto tornare sull’argomento:
Se n’è parlato per tutta l’estate, ma non si sono visti miglioramenti. Anzi, le ingiustizie nei confronti delle minoranze sono sempre di più. Quello che già c’era non viene risolto e nuovi problemi emergono giorno dopo giorno.
E ancora:
La cosa triste è che ormai per molti questa situazione è diventata un dato di fatto, impossibile da modificare. Non dobbiamo permetterlo. Non possiamo lasciare che le cose rimangano come sono.
Nel corso dei match di preseason, i giocatori di molte squadre NBA si sono uniti l’uno con l’altro in catene umane durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Anche i Knicks di Anthony l’hanno fatto, in segno di fratellanza e unità, prima dell’esordio in preseason della scorsa notte contro gli Houston Rockets.