Arlington, Texas, anno di grazia 2002. Tre fratelli congolesi, che di cognome fanno Mudiay, giocano a basket nel cortile dietro casa. Il più grande di loro si chiama Stephane, il secondogenito Jean-Michael e il più piccolo Emmanuel.
Se mai dovessero raccontarvi di quelle partite, le descriverebbero più come incontri di MMA che come sfide di pallacanestro. Contatti duri, sangue e sudore sono all’ordine del giorno e nessuno dei tre fratelli si lamenta, mai. Neanche il più piccolo. Emmanuel, infatti, dimostra da subito un talento smisurato, una grande etica del lavoro e un’immensa passione per la pallacanestro. A quanto dicono i fratelli maggiori, Emmanuel sin da piccolo vive per il basket, spinto dalla voglia di garantire a chi gli sta intorno un futuro migliore e di fuggire da un passato tormentato.
Ma facciamo un passo indietro.
RADICI
Nata a Kinshasa, capitale dell’allora Zaire e attuale Congo, Theresa Kabeya si trasferisce in Canada all’inizio degli anni ’80 per frequentare una scuola di infermieristica all’Università di Montreal. In quel periodo conosce Jean-Paul Mudiay e tra i due scoppia l’amore. Dopo qualche anno vissuto nella francofona Montreal, nel 1987 la coppia decide di tornare a Kinshasa per sposarsi e mettere su famiglia. Mentre Jean-Paul trova presto lavoro come direttore del marketing per una compagnia di trasporto statale, Theresa si concentra sull’educazione dei tre figli, nati intanto tra il 1989 e il 1996.
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Se il quadro della famiglia Mudiay è splendido, del contesto politico nazionale purtroppo non si può dire altrettanto. Negli anni ’90, infatti, molte zone dell’Africa sono funestate da conflitti: lo Zaire, nazione ricca di legno e minerali, riesce a mantenere la pace nel proprio territorio fino al 1997, quando il confinante Rwanda lo invade per appropriarsi delle ingenti risorse naturali. Secondo i dati stimati dal Comitato Internazionale di Soccorso, nei nove anni successivi sono morte più di 5 milioni di persone a causa del conflitto.
Kinshasa, in quanto capitale e città simbolo del Congo, è teatro dei conflitti peggiori. La sicurezza è al minimo storico e gli scontri a fuoco sono quotidiani; le strade sono piene di corpi crivellati dai proiettili e del rumore delle armi automatiche. Non deve essere facile vivere costantemente in condizioni di pericolo e tantomeno crescervi. Spesso e volentieri le scuole non aprono per sicurezza e i fratelli Mudiay restano a casa sotto il controllo della madre.
Non fosse sufficiente una situazione tanto drammatica, un altro evento funesto colpisce la famiglia Mudiay. Nel 1998 il pater familias Jean-Paul muore per un attacco cardiaco. Theresa è costretta a caricarsi di ulteriori responsabilità e nel 2001 si rende conto di avere un’unica chance per dare una vita migliore ai propri figli: emigrare. Grazie allo status di rifugiata di guerra richiede il diritto d’asilo agli Stati Uniti d’America e si trasferisce a Dallas, città in cui vive la sorella.
C’è un piccolo problema però. Stephane, Jean-Michael e Emmanuel non possono emigrare con lei, o almeno non subito: i procedimenti burocratici per farli trasferire richiedono un paio d’anni. In attesa di raggiungere la terra promessa, i tre fratelli Mudiay si trasferiscono a casa dei nonni paterni. Emmanuel, che all’epoca ha soli 5 anni, è quindi orfano di padre e con la madre che vive dall’altra parte del mondo. In questi momenti difficili il legame tra i fratelli si rafforza, creando delle radici indissolubili che non si sfalderanno con il passare degli anni.
Fortunatamente, dopo poco più di un anno dalla partenza, a Theresa viene comunicato che i suoi figli possono raggiungerla. Ed è negli Stati Uniti che Emmanuel inizia a muovere i primi passi verso l’NBA.
SOGNO AMERICANO
Come detto prima, le qualità cestistiche di Emmanuel sono sempre state evidenti e l’adolescenza gli dona anche un atletismo e una fisicità fuori dal comune. La commistione tra questi elementi fa sì che sin dal liceo Emmanuel sia seguito da decine di scout dei college. Il ragazzo congolese viene invitato ai camp nazionali a cui partecipano i prospetti liceali più interessanti, ritrovandosi a dominare sul parquet contro gente come D’Angelo Russell e Jahlil Okafor.
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Nel primo anno di liceo gioca ad Arlington per la Grace Prep e trascinerà la scuola alla vittoria del titolo, siglando 16 punti nella decisiva finale. Avendo instaurato un ottimo rapporto con il coach Ray Forsett, quando quest’ultimo si trasferisce alla Prime Prep Academy, non ha dubbi se seguirlo o meno. Nella stagione da Junior, Emmanuel guida la squadra ad uno splendido record di 37-2, uscendo solo alle semi-finali del torneo nazionale.
Emmanuel finisce il liceo nel 2014 e Kentucky, Oklahoma State, Kansas e Baylor gli fanno sapere di volerlo a tutti i costi. Emmanuel senza pensarci due volte rifiuterà tutte le loro offerte. Perché? Il motivo è semplice.
Il leggendario coach Larry Brown guida la SMU (Southern Methodist University) dal 2012 e ha messo gli occhi su Emmanuel da qualche anno. Sapendo di non poter contare su un programma universitario affascinante come quello delle università rivali, Brown utilizza una strategia diversa, cercando di far breccia nel cuore di Emmanuel. Nel 2013 Brown ha infatti reclutato Jean-Michael Mudiay, suo fratello maggiore. Jean-Michael è un giocatore di basket discreto ma è pienamente consapevole di essere stato scelto soltanto per arrivare al fratellino.
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Il piano di coach Brown funziona splendidamente. I programmi delle altre università potranno anche essere migliori, ma l’idea di ricongiungersi al fratello in un campus non distante da casa è una tentazione troppo forte per Emmanuel. Nell’agosto del 2013, il congolese annuncia di aver scelto i Mustangs, ma soprattutto di aver scelto la famiglia. La famiglia prima di tutto.
Ecco cosa dichiarò all’epoca Larry Brown su Emmanuel: “Mi ha colpito la sua taglia, il suo atletismo e il suo incredibile senso per il gioco. Mi ricorda John Wall, può difendere, può andare a rimbalzo e può andare sempre al ferro. Secondo me durante il liceo avrebbe tranquillamente potuto giocare per qualche squadra NBA”. Stiamo parlando di uno dei prospetti migliori della nazione, forse Il migliore. Un serio candidato alla prima scelta del Draft 2015.
Se la vita fosse lineare, Emmanuel frequenterebbe il primo anno di college per poi rendersi eleggibile per il Draft. E vivrebbero tutti felici e contenti. Peccato che la vita non sia mai lineare, tanto meno quella della famiglia Mudiay.
Mentre Emmanuel sta decidendo a quale programma affidare il proprio futuro, la Texas Education Agency mette ufficialmente sotto inchiesta la Prime Prep Academy, l’ex liceo di Mudiay. Le accuse sono pesanti: livello di istruzione fornita non adeguato, conti in profondo rosso e terribili condizioni degli alloggi messi a disposizione degli studenti. Dopo otto mesi di investigazione la TEA chiude la Prime Prep.
Quando capita una situazione del genere, i primi a pagarne le conseguenze sono gli studenti-atleti poiché sorgono problematiche legate alla loro futura eleggibilità in NBA. Sebbene non arrivi mai un’accusa formale nei confronti di Emmanuel, il congolese ha paura che alla fine della sua unica stagione al college, l’NCAA gli potrebbe impedire di rendersi eleggibile per il piano superiore. Il timore di vedere il proprio sogno andare in fumo è tanto ed Emmanuel inizia a guardarsi intorno per trovare soluzioni alternative.
E poi, inaspettatamente, giunge dal cielo un’opportunità quantomeno stravagante. Ci immaginiamo sia andata più o meno così: in un normale pomeriggio ad Arlington, Emmanuel è seduto sul divano a guardare la TV. Sul tavolino davanti a lui una lettera aperta, tutta spiegazzata, con il timbro della SMU e la firma di Larry Brown.
Di colpo suona il telefono ed è proprio il fratello piccolo a rispondere; dall’altro capo della cornetta inizia a parlare una voce dal chiaro accento orientale, si presenta, dice di chiamarsi Du Feng e di essere il capo allenatore dei Guangdong Southern Tigers, una delle squadre di punta del campionato cinese di basket. Du Feng gli dice di essere venuto più volte negli Stati Uniti per vederlo giocare e che gli piacerebbe inserirlo nel roster dei Tigers per la stagione successiva. Gli dice di pensarci con calma e prima di chiudere la telefonata aggiunge che avrebbe più di un milione di motivi per cambiare continente.
Emmanuel non ha praticamente parlato per l’intera telefonata. È rimasto interdetto. A primo impatto la reazione non è stata positiva: “Assolutamente no. In Cina non vado a giocare”. Poi però piano piano la parte razionale inizia a mettersi in moto. La paura di buttare un anno di college senza potersi rendere eleggibile, la certezza di poter guadagnare un milione di dollari, la possibilità di non dover mai più far lavorare la madre dopo tutti i sacrifici che ha fatto…
Quella sera Theresa torna a casa e non ha neanche il tempo di entrare che Emmanuel le dice: “Mamma, preparati. Andiamo in Cina”.
ORIENT EXPRESS
La scelta di Mudiay di bypassare il college, passando direttamente dal liceo ad una realtà oltreoceano, rappresenta una novità per il mondo cestistico americano, ma non un unicum. Il precedente di maggior rilievo risale al 2008, anno in cui Brandon Jennings, attuale giocatore dei New York Knicks, compie il grande salto firmando un contratto pluriennale (con una clausola NBA escape) con la Lottomatica Roma, rinunciando in tal modo a giocare con i Wildcats dell’University of Arizona.
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L’esperienza di Jennings in Italia dura una sola stagione e non rispetta le aspettative, anzi. Le speranze dei tifosi della Virtus di vedere una futura superstar NBA esplodere definitivamente, vanno in frantumi. Brandon è troppo acerbo per incidere su un campionato, all’epoca ancora piuttosto competitivo, come quello italiano. Risultato finale dell’esperienza di Jennings? Qualche posizione persa al Draft del 2009, in cui verrà scelto dai Bucks con la chiamata numero 10, ma 1 milione e 650mila dollari in più nel conto in banca.
Torniamo adesso alla famiglia Mudiay. Emmanuel si trasferisce nel Guangdong accompagnato dalla mamma e da Stephane. La nuova vita impone alcuni aggiustamenti sia dal punto di vista sportivo sia culturale. Il primo ostacolo che Emmanuel deve superare è la maggiore fisicità con cui deve competere sul parquet. Si ritrova dall’affrontare i pari-età, con cui spesso e volentieri dominava, a lottare con uomini adulti, molto più fisici e smaliziati di lui.
Se l’impatto a livello sportivo non è semplice, anche quello culturale non è dei migliori. C’è un solo posto vicino la residenza dei Mudiay che serve cibo occidentale e, a detta di Stephane, le pietanze sanno comunque di cibo cinese. Inoltre, poiché gli svaghi in città non sono molti, Emmanuel nel tempo libero si chiude in camera a guardare documentari sull’NCAA e sull’NBA, video su Michael Jordan e su Charles Barkley, cercando di assorbire tutto ciò che vede.
Anche l’atmosfera nei palazzetti cinesi non è particolarmente invitante perché è permesso fumare nei luoghi chiusi e di conseguenza negli stadi si crea una fitta nebbia che non aiuta le prestazioni dei giocatori. In seguito Emmanuel racconterà che alcuni suoi compagni di squadra avevano l’abitudine di fumare e bere alcolici dentro lo spogliatoio. Nel complesso, un mondo completamente nuovo, abitudini poco professionali e la nostalgia di casa non contribuiscono ad un rapido inserimento di Mudiay nella comunità cinese.
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Passati un paio di mesi dall’inizio della stagione, anche se ormai non ci dovremmo più sorprendere, la sfortuna prova a rimettere il bastone tra le ruote di Emmanuel. Durante la decima partita di campionato Mudiay subisce una forte distorsione alla caviglia, procurandosi un infortunio che lo costringe in infermeria per almeno tre mesi. Praticamente per tutto il resto della stagione. Coach Du Feng suggerisce a Emmanuel di tornare negli States e di abbandonare l’avventura cinese. Ma il ragazzo non è d’accordo. Nonostante le difficoltà ad inserirsi, vuole fortemente dimostrare ai Tigers di valere i soldi che hanno speso per lui.
La voglia di rivalsa e la perseveranza nella riabilitazione permettono a Mudiay di tornare in campo a marzo durante i Playoff. I Tigers però non navigano in buone acque. Hanno perso le prime due sfide della serie al meglio delle cinque contro i rivali del Beiing Ducks, guidati dall’ex NBA Stephon Marbury. Mudiay non è al 100% della condizione ma è pronto a dare il suo contributo per tentare una clamorosa rimonta e scende in campo con grande determinazione. I Tigers portano a casa il match e il tabellino di Emmanuel parla chiaro: 24 punti, 8 rimbalzi e 4 assist.
Purtroppo l’avventura del Guangdong finisce due notti dopo, sconfitti in gara 4 dai futuri campioni nazionali del Beijing. Mudiay però, scegliendo di restare e di lottare fino all’ultimo minuto, si è guadagnato il rispetto della squadra, del coach e dell’ambiente.
UN FUTURO TUTTO DA SCRIVERE
Terminata la stagione in terra cinese, Mudiay torna a casa e si rende eleggibile per il Draft del 2015.
“High risk, high reward” è la frase che maggiormente aleggia attorno il profilo di Emmanuel.
I giudizi degli scout su di lui sono infatti discordanti. Da una parte alcuni affermano che date le caratteristiche tecniche, fisiche e l’indubbia tempra morale, sarebbe folle non puntare su di lui. Dall’altra parte in molti non sono così convinti delle sue qualità: una storia di infortuni e un campionato non allenante come quello cinese non renderebbero Mudiay appetibile come altri prospetti. A prescindere da ogni report, le prime quattro franchigie a dover scegliere (Timberwolves, Lakers, Sixers e Knicks) hanno mostrato grande interesse nei suoi confronti.
Il 25 giugno 2015 al Barclays Center di Brooklyn, New York, è il grande giorno del Draft. Come prevedibile Emmanuel è circondato dalle persone a lui care. L’intera famiglia Mudiay è seduta ad uno dei tavoli sotto il palco, dove solitamente sono disposti i giocatori che con più probabilità verranno scelti nelle prime 15 posizioni. Le prime sei chiamate passano veloci, e poi risuona ancora una volta la voce di Adam Silver:
“With the seventh pick in 2015 NBA Draft, the Denver Nuggets select Emmanuel Mudiay, from Dallas, Texas”
Emmanuel si alza con calma e sorride. Abbraccia immediatamente Theresa, poi è il turno dei due fratelli. L’emozione è sicuramente enorme ma fa di tutto per nasconderla. Rispetto agli altri rookie, Mudiay è vestito in maniera abbastanza sobria (fatta eccezione per una “cravatta” quantomeno rivedibile).
Emmanuel mette il cappellino dei Nuggets, abbassa la testa e cerca di chiudere il bottone della giacca, riuscendoci dopo diversi tentativi perché le mani tremano troppo. Si avvia verso il palco, sale gli scalini e finalmente si trova faccia a faccia con il Commissioner. Ed è nel momento in cui stringe la mano ad Adam Silver che probabilmente capisce di avercela fatta.
Emmanuel è nato nello Zaire e sopravvissuto in Congo. È scappato negli Stati Uniti ed è diventato uomo in Cina.
Ed alla fine ha realizzato il sogno di una vita a Brooklyn e l’ha fatto esattamente nella maniera che desiderava: circondato dalla sua famiglia, dalle sue radici.