2°: STEPHEN CURRY
Madison Square Garden, New York, 25 giugno 2009. Armato di cappellino con logo ormai vintage, il figlio di Dell Curry, il piccolo Wardell Stephen, sale sul palco per stringere la mano di David Stern (dopo Hasheem Thabeet e Jonny Flynn, ma questa è un’altra storia). L’allora Commissioner, sollevato dal fatto di non avere al suo fianco uno dei soliti giganti che si susseguono sul palco, non può neanche lontanamente immaginare l’impatto che quel piccoletto avrà sulla sua Lega.
Neppure i tifosi di Golden State a dire il vero: in una squadra in cui la Death lineup non è esattamente composta da Igoudala, Barnes, Thompson e Green, in uno sport in cui una decina di centimetri in più di certo non guasterebbe, il talento del giovane Steph illumina una demotivata Oracle Arena fino a quando la sua caviglia destra non costringe il futuro MVP ai box. I dubbi sulla tenuta fisica e sull’esile struttura del figlio di Dell non spaventano però il front office degli Warriors, che si affida alle giocate del rientrante numero 30, coadiuvato da una serie di innesti davvero niente male.
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Da lì in poi la storia è di dominio pubblico: vittoria dopo vittoria, record dopo record, Curry e soci arrivano per due volte consecutive a giocarsi il titolo nelle Nba Finals contro i Cleveland Cavaliers. Pur riconoscendo l’indiscutibile valore dei Cavs, una parte degli addetti ai lavori ritiene che se il bilancio degli anelli è fermo sul pari, parte della responsabilità sia imputabile agli infortuni che hanno nuovamente tormentato Curry sul finire di una memorabile stagione, lasciando la Death lineup priva di una delle bocche da fuoco più mortifere.
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Smaltita la delusione, Steph non vede l’ora di tornare a combattere per lo scettro perduto al fianco di compagni di tutto rispetto. Gli avversari sono avvisati: l’altezza, persino nel basket, non conta poi molto se ti trovi a dover fronteggiare un Baby-faced Assassin pronto a colpire con una delle sue triple prive di ogni logica.
1°: LEBRON JAMES
Se tra i tuoi soprannomi annoveri nomignoli un tantino impegnativi come “The Chosen One” o “King James” e nessuno osa protestare, è evidente che la piazza più ambita di questa classifica targata NbaReligion non può che spettarti di diritto. Nei tredici anni trascorsi deliziando le platee americane, LeBron James si è imposto come uno dei giocatori più completi nella storia del gioco, capace di ricoprire potenzialmente tutti i ruoli sul parquet: in fondo, non sono certo molti a potersi vantare di saper abbinare una visione di gioco degna dei migliori playmaker ad un fisico in grado di competere con i lunghi più imponenti.
Il personaggio James ha dovuto ben presto pagare il prezzo della sua popolarità in rampa di lancio: idolatrato dalla città di Cleveland e allo stesso tempo schiacciato dal peso della pressione mediatica che neppure il suo fisico è stato in grado di sopportare, ha detto addio al nativo Ohio per rifugiarsi all’esotica corte di Wade e Bosh, dove ha finalmente conosciuto il dolce sapore della vittoria.
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Bello di fama e di sventura, non ha però saputo resistere al richiamo della terra natia, la stessa in cui le sue canotte avevano contribuito a rendere incandescente la già torrida estate del 2010. La vittoria dell’anello nelle scorse Finals ha rappresentato l’ultimo passo di una lenta riconciliazione con la sua gente, quella che aveva visto il giovanissimo LeBron muovere i primi passi della sua difficile infanzia prima e della sua scintillante carriera poi.
Icona dello sport mondiale, personaggio amato da alcuni e detestato da altri, emblema del riscatto dopo una vita di sofferenze: come nel caso di Durant, è necessario concentrarsi solo sul LeBron giocatore, colui che ha riscritto la storia del nostro sport e che, con largo anticipo, ha già staccato l’ambito pass per l’Olimpo del basket.
Haters Gonna Hate, fa parte del gioco.
TUTTI GLI ALTRI NOMI DELLA TOP 50:
Posizione 50-41: gli ultimi saranno i primi?
Posizione 40-31: la strada è ancora lunga
Posizione 30-21: Nowitzki, Wade…
Posizione 20-11: ai piedi dell’Olimpo
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Non sono d'accordo sul mettere Lillard in top ten ed escludere Harden; lo stesso vale per Durant e Curry, avrei invertito le loro posizioni. Poi ovvio, le mie come le loro sono opinioni soggettive.